Ancora serie tv terminate su queste sponde, ma questa volta mi voglio concentrare su due titoli molto diversi fra loro, che però avevano le carte per diventare due delle mie serie tv preferite. Ci saranno riuscite?
La strada stretta verso il profondo nord
Miniserie
Il 18 settembre, decisamente in sordina, è arrivata in Italia su Tim Vision la miniserie ispirata al romanzo omonimo di Richard Flanagan, che si collega a fatti realmente accaduti, seppur con personaggi inventati.
Siamo nel 1940, e conosciamo il giovane medico australiano Dorrigo Evans (Jacob Elordi, Saltburn) che si ritroverà in una strana relazione amorosa con Amy (Odessa Young, Black Rabbit) la giovane moglie di suo zio. Il loro rapporto però, oltre che complesso, sarà breve: ritroviamo infatti Dorrigo nel 1943 in guerra, a comando di un gruppo di soldati che è stato fatto prigioniero dai giapponesi e che è stato impiegato per la costruzione di una ferrovia nella giungla, fra la Thailandia e la Birmania.
Un'opera impossibile, che verrà soprannominata la Ferrovia della Morte proprio per le migliaia di uomini che persero la vita nella sua costruzione.
Dorrigo sopravvisse, diventando un chirurgo affermato, ma anche decenni più tardi, nel 1989, lo rivedremo segnato, da quell'amore mai vissuto e dalla tragedia della guerra.
Diretta da Justin Kurzel (sempre regista di Black Rabbit), La stretta strada verso il profondo nord è stata una miniserie inaspettata per me. Infatti in prima battuta si apre con Jacob Elordi nei panni di un Dorrigo che non ci dice nulla di nuovo rispetto alle doti dell'attore che già conosciamo: bello, sensuale, spigliato, sognante, pieno di speranze. Poco dopo però ci ritroviamo catapultati una pagina di storia che ignoravo e che la serie rappresenta giustamente in modo doloroso ed intenso. Decine di uomini prostrati dalla fatica, dalle sevizie, dalla fame, da malattie che venivano curate con metodi altrettanto rudimentali, costretti a lavorare sotto le peggiori minacce.
Un calvario che vediamo sui protagonisti in modo molto diretto, e che è raccontato attraverso attori bravissimi, tutti non solo i principali, e una cinematografia che partecipa alla storia. La fotografia, i colori, le luci non sono solo curati, ma collaborano ed accentuano le emozioni della storia.
Ottimo anche il Dorrigo maturo, interpretato da Ciáran Hinds (Gli Anelli del Potere), un uomo ancora forte, ma sicuramente provato e bloccato da tutto quello che ha vissuto.
La strada stretta verso il profondo nord sfrutta le tre linee temporali mischiandole fra di loro in un ordine che non sempre rende facile il raccapezzarsi, con dei passaggi po' netti, ma secondo me la storyline alla fine risulta coesa, comprensibile, e tutto sommato scorrevole.
Se vi aspettate una serie tv romantica sappiate che si ci sono dei momenti più teneri, ma emotivamente è secondo me più di impatto la parte storiografica e di guerra.
Il problema però è che si tratta di soli 5 episodi, che finiscono per essere forse un po' pochi.
Non so come sia il romanzo da cui è tratto (che immagino ricco viste le 500 pagine di cui è composto), ma a me è mancato un po' di approfondimento sia delle dinamiche sentimentali di Dorrigo, specie della sua relazione giovanile che scompare ad un certo punto, del suo vissuto nel presente del 1989 e di quel che è stato dopo quel periodo. Ma anche nella stessa costruzione della ferrovia e del periodo storico in generale, mi è sembrato che potesse lasciare qualche incognita se non si sa molto della vicenda.
L'ultimo episodio, commovente non lo nego, cerca proprio di raccogliere tutti i pezzi che ha distribuito lungo le puntate precedenti, ma qualche tassello in più era necessario.
Questo non toglie la qualità di La strada stretta verso il profondo nord che anzi si mette uno scalino sopra tante altre produzioni.
House of Guinness
Prima stagione
Steven Knight, sceneggiatore di alcune delle opere più interessanti degli ultimi anni, e non solo di Peaky Blinders ma anche di Maria, Spencer e della serie tv A Thousand Blows, è tornato con un altro period drama. Sotto la sua lente d'ingrandimento questa volta ha messo la famiglia Guinness, colosso della birra irlandese che ancora oggi porta un nome di tutto rispetto.
Ci troviamo nel 1868 alla morte di Benjamin Guinness, nipote del fondatore del famoso birrificio, che lascerà ai suoi quattro figli un patrimonio ingente da spartirsi e la non semplice gestione dell'attività di famiglia.
C'è Arthur (Anthony Boyle, Il Complotto contro l'America), che da primogenito viene vincolato dal testamento ad occuparsi del birrificio direttamente, anche se i suoi desideri sono altri; c'è Edward (Louis Partridge, Enola Holmes, Disclaimer), che invece è ben pronto a prendere le redini dell'azienda; c'è Anne (Emily Fairn), lasciata fuori dal testamento del padre in quanto donna; e infine Benjamin Lee (Fionn O'Shea), dipendente da alcol e droghe e quindi praticamente estromesso dagli affari di famiglia.
Sullo sfondo delle vicende dei Guinness, ma estremamente legate a loro, c'è una Irlanda ancora sofferente dalla carestia e divisa da lotte interne fra "unionisti" e "feniani" (un movimento a favore dell'indipendenza irlandese).
House of Guinness mi ha fatto subito pensare a House of Gucci, con cui non c'entra nulla, lo so, e non solo per l'assonanza del nome, ma pensavo che la serie vertesse su lotte intestine fra fratelli che devono spartirsi un impero mastodontico. In realtà fra i Guinness regna tutto sommato una certa armonia, o quantomeno sono unanimi, e ognuno contribuisce come può proprio a far sopravvivere al meglio l'azienda. I problemi diciamo arrivano più che altro da fuori, dagli scontri fra cattolici e protestanti, dalla tesa situazione socio-politico-economica e appunto dagli scontri civili.
Tutto questo diventa abbastanza avvincente in questa serie tv Netflix, che scorre fluida e chiara lungo gli 8 episodi di cui è composta. Funziona da un punto di vista del cast, visto che ogni interpretazione è precisa, curata, e bilanciata nel non far diventare i personaggi delle caricature. Fin da subito ognuno dei componenti Guinness dimostra i suoi tratti principali, per poi comunque avere una sorta di evoluzione.
A supporto di questo troviamo un cast rodato di volti noti, come Jack Gleeson (Il Trono di Spade) e James Norton.
Anche la messa in scena, la cura di scenografie ed abiti rendono House of Guinness visivamente appagante e piacevole da seguire. Bisogna però specificare che non si tratta di una serie tv storiografica, sebbene renda abbastanza chiare quelle che erano le problematiche dell'Irlanda dell'800.
Chiunque online vi dirà che sulla vita privata dei Guinness si sapeva abbastanza poco, ad eccezione ovviamente dei loro ruoli pubblici. La serie tv ha preso infatti un po' di dicerie e pettegolezzi più o meno credibili per dare un po' di pepe alla storia dei birrai, creando un prodotto che intrattiene bene.
Come spesso accade, anche House of Guinness si prende delle libertà creative, non aderendo perfettamente ad una serie ambientata in quell'epoca: i dialoghi, i modi e le musiche tendono la mano alla contemporaneità. L'obbiettivo credo fosse più che altro dare una sferzata più fresca alla serie e adeguarsi al pubblico di Netflix, ma capisco che tanti sono stanchi di questo approccio.
Il risultato è soddisfacente, ma ammetto quello che mi è mancato davvero è un impatto forte che mi aspettavo. Nonostante House of Guinness abbia i suoi momenti riusciti, non c'è nel corso delle puntate un reale stravolgimento emotivo in grado di far risaltare davvero la serie tv rispetto alle tante produzioni che vedo.
Mi viene spontaneo un confronto con A Thousand Blows, sempre di Knight, imperfetta sicuramente ma che comunque mi ha lasciato la voglia di approfondire i suoi protagonisti e le loro storie. Con House of Guinness diciamo che la voglia è un po' meno pungente.
Certamente se ci dovesse essere una seconda stagione, su cui non ho letto conferme ancora, la seguirò molto volentieri, ma non è serie tv che ho preferito in assoluto in questo 2025.
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