Il principe, la docuserie su Netflix è da non perdere

Il titolo inglese "The King Who Never Was", il re che non è mai stato, secondo me rende bene quanto racconta la docuserie Netflix Il Principe, che ruota attorno parte della vita di Vittorio Emanuele di Savoia.

Non fatevi trarre in inganno perché nulla è come potrebbe sembrare: lungi dall'essere una cronistoria del vissuto del principe mai diventato re, questa docu-serie, con la regia di Beatrice Borromeo Casiraghi, racconta altro.
Siamo nell'agosto del 1978, nelle acque dell'isola di Cavallo, quando Vittorio Emanuele sparò un colpo di carabina sullo yatch di Nicky Pende, con l'accusa di avergli sottratto un gommone. Sull'imbarcazione però ci sono tanti altri giovani che stavano trascorrendo la notte, fra cui l'appena diciannovenne tedesco Dirk Hamer, che rimarrà gravemente ferito e che purtroppo perderà la vita. Su quella barca c'è anche sua sorella Birgit, all'epoca anch'ella molto giovane, con davanti una carriera da modella.
In una serie di ammissioni, ritrattazioni, una giustizia fallace e una battaglia mai in fondo terminata, Il Principe ricostruisce questa storia e non solo, e secondo me lo fa in un modo comprensibile e completo.

Si parte indubbiamente da Vittorio Emanuele, e la Borromeo non ci fa una noiosissima biografia, ma ci racconta solo i momenti salienti del suo vissuto: dall'infanzia in esilio, subito dopo la proclamazione della repubblica in Italia, fino appunto ai suoi problemi con la giustizia. Perché l'erede di casa Savoia, oltre ad essere stato accusato dell'omicidio di Dirk alla fine negli anni '70, tornerà alla ribalta quando, dopo aver ottenuto la possibilità di rientro in Italia, finirà nello scandalo di Vallettopoli nel 2006. Sembrano due circostanze lontane, ma il documentario mostrerà tutti i collegamenti.
Nel suo voler essere sopra le parti però anche la famiglia Hamer verrà raccontata nelle sue ombre, perché se da un lato Birgit ha chiesto per 40 anni che venisse fatta giustizia grazie a prove in teoria schiaccianti, dall'altro lato, il suo capostipite, il dottor Ryke Geerd Hamer creerà più che qualche momento di difficoltà.

Il Principe riesce secondo me a portare alla luce non solo un fatto di cronaca che all'epoca fu discusso ovunque, e quindi farlo conoscere anche a chi come me era troppo giovane per ricordarlo o addirittura non c'era, ma anche raccontare uno spaccato importante della storia d'Italia come appunto la fine della monarchia.
Il tutto è raccolto in soli tre episodi, disponibili dal 4 luglio, da circa 40 minuti ciascuno, quindi da recuperare in un sorso. Lo stile poi mi è parso curato ma fluido, scorrevole, in grado di trattenere davvero l'attenzione.
Il quadro che esce da Il principe è grottesco, desolante e stranamente ironico, che ti lascia quel desiderio di volerne ancora. Nonostante il documentario non vuole dare un giudizio, Vittorio Emanuele non risulta certamente la vittima di tutta una congiura, come forse a volte tenta di suggerire, che fino all'ultimo dimostrerà la sua incostanza e incoerenza, e la sua incapacità di essere diverso da com'è.

Ad affiancarlo c'è la moglie Marina Doria, che non solo non appare ma parla solo francese, e dal figlio Emanuele Filiberto che cerca di dare un'immagine più contemporanea e pulita di qualcosa che ormai è stantio e malandato. Perché, in fondo, Vittorio Emanuele è figlio del privilegio che l'ha reso, contro i fatti, sopra le parti, e lo dimostrerà fino all'ultimo. 
Birgit Hamer invece ha trovato, in qualche modo, dopo anni di battaglia ed anche accuse a suo carico, la sua pace, seppur sia stata coinvolta in un dramma che alla fine ha distrutto la sua famiglia.




La mia prima maschera viso The Inkey List

Posso dire di aver provato davvero tantissimi dei prodotti di The Inkey List, sia per il viso che per i capelli, ma non avevo ancora testato una delle loro maschere viso. In effetti l'azienda inglese non ha una ampia gamma di questa tipologia di prodotti, ma ha solo tre trattamenti, ed io ho scelto la Madecassoside Mask, che mi sembra anche adatta al periodo estivo.


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Il suo scopo è infatti idratare la pelle, ma soprattutto lenirla e dare istantaneo benessere alla pelle stressata.
The Inkey List fa come sempre una analisi all'INCI sul suo sito dicendo che questa maschera contiene

  • l'1% di Poly Fructol Plus, che è un composto a base di glicerina e inulina, ed pare reidrati la pelle e ne migliori la compattezza e l'elasticità;
  • lo 0.5% di Madecassoside, una delle molecole più importanti della centella asiatica (ne parlai qui), nota per la sua proprietà lenitiva e rinforzante della cute;
  • lo 0.2% di Frescolat, che suona come una azienda casearia, ma in cosmetica è il nome patentato del Menthyl Lactate, una sostanza che crea una delicata azione rinfrescante;
  • lo 0.1% di Symrelief, anche in questo caso, un brevetto patentato composto da estratto di zenzero e bisabolo che ha effetti lenitivi e appunto calmanti.

La Madecassoside Mask contiene anche vari umettanti, mentolo, per rinforzare quella sensazione di freschezza e olio di semi di girasole, che è leggero ma pur sempre nutriente. Ho notato anche l'estratto di alga spirulina, ricca di vitamine e sali minerali, insieme all'Ashwagandha, che conoscevo come integratore ma che sulla pelle apporta comunque ha un effetto anti ossidante.
Si presenta come una crema che ha quasi un tocco gelatinoso, ma nella realtà questa maschera viso The Inkey List ha proprio una consistenza più spessa di quanto si possa pensare, fa una leggera scia bianca tipica appunto di una maschera viso. Durante la posa però non si irrigidisce, ma su di me sembra che svanisca assorbendosi.
Ovviamente la profumazione è mentolata, un po' come un dentifricio e sulla pelle dà una gradevole sensazione di freschezza.

Sull'uso di questa maschera Madecassoside The Inkey List, l'azienda da due modalità: la prima è quella di un trattamento wash off, da lasciare agire per 10/15 minuti su pelle pulita e poi rimuovere; il secondo uso è più simile ad una crema idratante quindi da lasciare agire sulla pelle. Io ho preferito il primo metodo non solo perché si tratta di una maschera e quindi voglio che agisca come tale, ma soprattutto perché come idrante viso, anche per la sera, mi risulta un po' pesante in questo momento dell'anno con così tanto caldo.
Inoltre mi piace lasciarla in posa più di 15 minuti perché non ho alcuna sensibilità al mentolo, e non ho mai sentito formicolii o irritazioni dalla presenza di questa sostanza. Inoltre si sciacqua molto bene, senza lasciare patine unte o appesantire, e se se ne sente l'esigenza si può proseguire tranquillamente con altri prodotti viso. Anzi io lo faccio abitualmente e non ho notato intoppi.

La Madecassoside Mask The Inkey List non è sicuramente la maschera più nutriente che abbia mai provato, io la trovo indicata per questo periodo estivo in cui la mia pelle è più mista ed ha bisogno di una idratazione media, o al massimo per pelli normali, ma le pelli secche non troveranno grossi benefici da questo punto di vista. 
Però noto proprio una azione sfiammante e lenitiva, che rende la mia pelle più fresca, omogenea anche da un punto di vista estetico di colorito, ed anche più morbida. Mi è capitato di usarla proprio dopo l'esposizione solare per ridare al viso freschezza e prima e dopo la rasatura per ristabilire l'idratazione, preparare la pelle appunto alla lametta, e calmare eventuali rossori dopo barba.
La posso definire insomma una maschera viso semplice ma funzionale, che si adatta a pelli facilmente arrossabili o sensibilizzate da fattori esterni. 
The Inkey List ha qualche chicca nel suo catalogo e mi fa piacere condividerle con voi appena le scopro. 



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Barbie: 5 motivi per vedere il film (e 5 per non farlo)👱🏻‍♀️👱🏻‍♂️

Recensione Film Barbie 2023

Stavo per mollare il colpo per tutta questa campagna di marketing così massiccia e ficcante, ma alla fine ho deciso di buttarmi e vedere Barbie (2023), il nuovo film di Greta Gerwig con Margot Robbie e Ryan Gosling.

Genere: commedia, fantastico, avventura, sentimentale
Durata: 114 minuti
Regia: Greta Gerwig
Uscita in Italia: 20 Luglio 2023
Paese di produzione: Stati Uniti d'America, Regno Unito

Ne avrete letto in lungo e in largo, probabilmente anche voi stanchi e saturi di informazioni, meme, canzoni e oggetti rosa più o meno di dubbia utilità. 
Ho pensato di quindi di raccogliere cinque motivi per cui secondo me vale la pena vedere Barbie e cinque per cui potreste evitarlo, sta poi a voi fare la tara.


La storia

Quando ho sentito di un film su Barbie ero perplesso su cosa avrebbe girato la trama, ma poi sono arrivati i vari trailer che mi hanno dato più speranza. C'è però di più ovviamente rispetto alle anticipazioni, e, lungi dal fare spoiler, posso dire che hanno saputo creare una storia di per sé interessante e piacevole da seguire.
Conosciamo la Barbie Stereotipo, l'emblema assoluto nel mondo delle bambole Mattel, che è bella, bionda, impeccabile, e vive a Barbieland insieme ad una nutrita schiera di altre Barbie, le quali, al contrario suo, hanno ruoli e qualità di spicco all'interno del loro mondo, e ad altrettanti Ken che però sono un po' le loro appendici. 

Un giorno però questa Barbie Stereotipo, sempre sorridente, inizia a fare pensieri non propriamente positivi, e soprattutto il suo corpo cambia. Dovrà cercare di scoprire perché e cosa le sta accadendo andando nel mondo reale.

Non c'è solo la stupida avventura di una bambola che cerca di ritornare con i suoi piedi a punta nella trama di Barbie, ma è proprio una scoperta del proprio valore, della propria essenza, al di là della possibile perfezione (o imperfezione). Le avventure della Barbie stereotipo diventano una completa metafora per raccontare l'adesso e soprattutto il peso del patriarcato sull'intera società, sia di donne che di uomini. Se state però pensando ad un mattone woke vi sbagliate perché è tutto raccontato con estrema ironia, ma in modo preciso, puntuale e pungente.
La storia di questa Barbie sa secondo me uscire dallo schermo attraverso una emotività delicata, bilanciando tutti questi elementi.


Greta Gerwig, che ha scritto la sceneggiatura insieme a Noah Baumbach, ha saputo prendere un prodotto di così largo consumo nel mondo, ma altrettanto controverso per questo stereotipo (appunto) che ha "venduto" per tanto tempo e che non funziona più in una società che sta evolvendo, e, con una mossa geniale, l'ha reso personaggio di una critica ampia, che include anche l'autocritica verso quello che per anni ha rappresentato il giocattolo Mattel.
Altrettanto sapientemente studiate sono le scelte della storia, quelle note vagamente kitsch, sopra le righe, che però non sono fuori luogo, ma organiche all'universo che viene creato.
Ci si diverte, ci si commuove, si balla attraverso momenti musicali studiati a tavolino, e risulta un arco narrativo completo, appagante e scorrevole, e che sa gestire e distribuire tutti i suoi momenti salienti da inizio a fine.


Margot Robbie e il cast (quasi tutto)


Che Margot Robbie potesse essere una perfetta Barbie lo vediamo tutti: è bionda e bellissima. Ma c'è altro perché secondo me hanno saputo trovare la giusta attrice che ne incarnasse le fattezze estetiche, ma che riuscisse a rappresentare l'evoluzione più ampia, fatta anche di profondità, dolcezza, e soprattutto attraversare un momento di cambiamento importante, che la renderà adulta (se così si può dire) e consapevole che non deve vivere cristallizzata in una perfezione prestabilita. Serviva insomma una attrice che potesse essere anche matura, e sapesse emanare quell'aurea di positività che la bambola incarna, e lei in questo senso vi riesce a spuntare tutte le caselle.


Barbie inoltre è riuscita a farmi stare simpatico Ryan Gosling: il suo Ken è impeccabile, ed è fondamentale all'interno di questa storia, perché passa dall'essere un accessorio di Barbie Stereotipo, che aspetta che le dia attenzione affinché possa esistere e diventare rilevante, all'essere quasi il villain di Barbie Land. Avrà però anche lui la sua mutazione.
Tutte le altre Barbie sono bravissime ed azzeccatissime, ma è America Ferrera nei panni dell'umana Gloria che secondo me non va sottovalutata. A lei vengono spesso affidati dialoghi importanti, e sono lei e la figlia a ridare forza e speranza a Barbie. Una scelta che ha molto senso considerando che siamo noi che possiamo dare valore o meno ai nostri simboli.
Buono anche Michael Cera che interpreta Allan, un particolare Ken fuori produzione, che però avrà modo di dimostrare il suo valore. Non amo moltissimo il suo tipo tipo di ironia, ma qui è stato perfettamente inserito.
Nel cast ci trovate anche alcune star Netflix, soprattutto da Sex Education

La cura estrema in ogni singolo dettaglio

Tutti sanno che non capisco molto di aspetti tecnici dei film, però Barbie ti dà proprio l'impressione che sia tutto al posto giusto, e che sia appagante come ci si aspetta. Le scenografie sono esattamente quelle che immagini da un film su Barbie, ed hanno secondo me fatto benissimo a ricostruire tutti gli scenari perché danno proprio il senso delle case giocattolo Mattel. Non ho dubbi sul fatto che abbiano finito le scorte di vernice rosa perché è proprio una gioia per gli occhi.
I costumi sono uno più bello dell'altro, e tutta la parte tecnica secondo me è già solo un aspetto per cui vale la pena vedere Barbie: anche se non vi appassiona la storia comunque sarà bello da vedere.
La regia di Gergwig non è mai scontata o banale: ha saputo ricreare un mondo fantastico che vive perfettamente secondo le leggi di Barbie, dove non c'è acqua corrente e non si scendono le scale un gradino alla volta, ma ci si ritrova direttamente al pian terreno.


Lo stesso vale per il mondo reale: si resta sempre in un mood fantasy leggero e frizzante, ma si avverte quel senso di pesantezza e bruttura e trovare questo bilanciamento non è semplice.
La parte che mi ha inoltre incuriosito è stata la scelta di ripescare alcune Barbie e Ken fuori produzione o particolari, diventati outsider in Barbieland, e sfruttarli per risolvere la vicenda, ma che è l'occasione anche di autoironia per quelli che sono stati degli scivoloni commerciali di Mattel.
Ovviamente anche i dialoghi sono perfettamente calibrati per far passare tutti messaggi di empowerment che il film vuole condividere, facendo anche ironia su se stesso.
Inutile dire che è ovvio che con questo livello maniacale di cura, moltissime scene sono già diventate iconiche e cult.


Il messaggio non solo femminista

Si parla di patriarcato in Barbie, si parla di emancipazione femminile, ma anche di piena coscienza di sé in qualunque ambito della società. È quindi un film che si rivolge alle donne, in diverse fasce di età e periodi della loro vita, ma non è un film che vuole andare contro il maschio a prescindere.
In questo senso scende in campo Ken, che si trova imprigionato prima in un ruolo e poi in un altro, ed in entrambi i casi ha bisogno di trovare la sua dimensione.
Prima è infatti solo un bambolotto incapace di esistere di per sé nel mondo, poi è il rappresentante di un patriarcato e un sessismo ottuso e basico imparato nel mondo reale, ma anche lui ha il suo percorso, perché in fondo tutti abbiamo i nostri margini per poter migliorare.
Si arriva quindi ad una situazione di maggiore parità (non totale, visto che Barbie Land è pur sempre lo specchio inverso della nostra società), e di maggiore consapevolezza.

Barbie è un film anche distruttivo, di stereotipi e schemi: la prima scena stessa (anche qui niente spoiler lo vedete nel trailer) con queste bambine che distruggono i loro bambolotti perché è arrivata la Barbie che non le fa più essere delle immaginarie mammine, ma delle giovani ragazze, ne è la riprova.
Ma secondo me non è nemmeno un film ciecamente femminista: se ci pensate, anche il mondo in cui tutte le Barbie sono al potere viene criticato e considerato sbagliato per molte dinamiche. È paradossale che Barbie sia passata dal rappresentare un canone di bellezza irraggiungibile, al quasi tacito obbligo di esistere solo se si raggiunge i vertici della società.
Se infatti un universo come il nostro, basato sul patriarcato, non può funzionare, lo stesso vale un mondo in cui il maschile è assoggettato. Ma qualcuno vuole negare che le guerre più stupide vengono iniziate dagli uomini?

C'è secondo me un bellissimo messaggio anche di libertà, forse un po' più sotterraneo, ma che vi arriverà alla fine se lo vedrete. Tutta la prima parte in cui Barbie è comunque felice della sua perfezione, mi ha dato quasi un senso di disagio, di loop, di gabbia, nonostante sia tutto sgargiante e appunto perfetto. Slegarsi da questo mondo, nonostante tutte le difficoltà che può aver l'altra parte, mi ha messo i brividi, mi ha quasi tolto un peso. Lo stesso varrà per Ken.
Il saper veicolare questi temi con uno stile ed un'immagine del genere secondo me rendono Barbie uno dei film meglio riusciti degli ultimi anni. 


È un film pop adatto a tutti (o quasi)

Strettamente legato al discorso del messaggio che Barbie vuole mandare, c'è secondo me l'ampio pubblico a cui il film si rivolge o può rivolgersi. È indubbiamente creato per un pubblico femminile, specie della mia generazione, ed ha l'estetica per attirare un'audience giovane e queer, ma è soprattutto contemporaneo, prende molto dai social e dalla nostra cultura odierna.
È importante sottolineare che non è un film per appassionati di Barbie o per chi ci giocava.
Anzi, il giocatolo nella forma come lo conosciamo noi, appare ben poco, perché si tratta di una sorta di live action che vuole rivedere, commentare, criticare, ed approfondire tutti i significati che noi abbiamo dato alla Barbie nel corso del tempo.

Ipoteticamente, mettendo da parte tutta la questione di Barbie e Ken, si parla di altro in questo film, e lo si fa con una ironia e un linguaggio alla portata di tutti. In un certo senso fa il lavoro che Una donna promettente (un film semplicemente geniale, con una crudezza che taglia) non riesce a compiere del tutto, specie su un range ampio di spettatori. 
Secondo me Barbie di Greta Gerwig non spinge nemmeno troppo sul fattore nostalgia come ci si potrebbe aspettare: è più una riflessione sul cosa siamo diventati che sul quel che eravamo.
Inoltre, nella sua ironia, non è greve, non è volgare, sa intrattenere a prescindere dalle tematiche, e le parti musicali sono comunque scorrevoli e non troppo invasive, se non amate i musical. 
Ha insomma una ampiezza di contenuti e stili che lo rendono adatto a tutti.
Credo però che i bambini più piccoli, se non abbastanza svegli, possano non apprezzarne l'ironia e coglierne i sottotesti. 

Passando ai motivi per cui, forse, non vale la pena vedere Barbie, sottolineo che si tratta di mie considerazioni più endogene che esogene del film. Sono insomma non dei difetti ascrivibili al film, o considerabili come errori, ma dati da aspettative e preferenze personali. 

Barbara Handler non ha fatto il cameo


Sembra una stupidaggine, ma ci sono rimasto male. C'è una scena che è semplicissima ma molto toccante: Barbie arriva nel mondo reale, e per cercare di capire cosa deve fare, si ferma un attimo a riflettere su una panchina, qui incontra una donna anziana e, sebbene duri pochi istanti, è una delle scene che ho trovato più emotive. Si era detto che si trattava di Barbara Handler, la donna, o meglio la bambina, che alla fine degli anni '50 ispirò la creazione di Barbie. Un momento che poteva essere bellissimo, la chiusura di un cerchio, quell'attimo in cui Barbie Stereotipo vede il suo futuro e ci fa pace. 

In realtà pare che la donna della panchina non sia la Handler ma la costumista Ann Roth, che pare sia molto nota nel mondo del cinema, ed abbia a suo carico 5 nomination agli Oscar per il suo lavoro. Credo quindi che il significato di quella scena sia quello di realizzazione da parte di Barbie di quanto possano essere belle tutte le sfumature della realtà. Però sì, quando l'ho scoperto ci sono rimasto male.


Le parti didascaliche


Barbie è un film leggero, brioso, allegro, ma che ha un suo risvolto impegnato che è palese sin da subito e che passa sia attraverso scelte sottili e calibrate, ma anche passaggi abbastanza diretti e palesi. Io credo che sia un didascalismo voluto, sia per ridicolizzare l'assurdità di certi temi, come il patriarcato, sia quello di mandare un messaggio ampio e forte, appunto comprensibile da tutti. 
È però una scelta che può remare contro il film: da un lato, chi come me è contro le disparità di genere, può trovare questi continui e smaccati riferimenti come troppo ridondanti e appunto ripetitivi. Se vuoi attaccare il patriarcato, sono con te, ma non mi serve che me lo nomini di continuo.
Dall'altro lato, chi invece non ha una posizione netta come la mia, potrebbe percepire una sensazione di predica moralista che può scoraggiarlo o farlo sentire in difetto solo perché non è semplicemente pronto o abbastanza preparato. 


Will Ferrell e l'ironia demenziale

Personalmente amo poco la comicità di Will Ferrell e, per quanto il suo ruolo sia quello emblematico di rappresentare una Mattel patriarcale composta da soli uomini, con un pensiero malamente machista, che vuole legare (in tutti i sensi) Barbie dalla possibilità di diventare qualcosa altro, e soprattutto la raffigurazione di un capitalismo senza scrupoli.

Tuttavia devo dire che le scene che lo riguardavano sono per me leggermente troppo stupide e banalizzanti, troppo forse svilenti per un personaggio/simbolo che invece è davvero temibile. Se non fosse per Margot Robbie e per tutti gli altri personaggi che interagiscono nelle scene con Ferrell/Mattel, allora non mi avrebbero nemmeno fatto sorridere.
Non so poi come leggere il fatto che Mattel sia a capo di tutto, mentre quella che è la creatrice di Barbie, Ruth Handler, diventi quasi un fantasma dello scantinato. È vero che la sua uscita da Mattel non fu proprio brillante, però mi aspettavo che magari spuntasse soltanto alla fine.


Le mosse di marketing smaccate

Questo nuovo film Barbie ha avuto una campagna promozionale ampissima, capillare, trasversale e duratura, che ha fatto vacillare una persona come me che ha provato da subito entusiasmo e curiosità per questo progetto. E capisco che, dopo essere stati martellati così tanto, ci siano persone che alla fine abbiano aspettative così alte da poter restare delusi perché la perfezione non esiste, e la lineare complessità di Barbie potrebbe non essere colta da tutti. Ma c'è altro.

Dall'abbigliamento, al make-up, dalle candele profumate al cibo, dall'arredamento ai filtri AI, fino ad un intero album di canzoni dedicate ed interpretate da alcuni degli artisti più famosi al momento, il reparto marketing di Barbie ha puntato ad una copertura ampissima, creando un po' una contraddizione.
Il settore del cinema è strettamente legato al capitalismo, questo non è l'unico film che ovviamente ha una sua campagna promozionale e il merchandising annesso, ed anche il mondo delle bambole Barbie fa parte di uno dei settori più consumistici della nostra società. Ed è noto che capitalismo e patriarcato spesso camminino di pari passo, ma fa un po' strano pensare che un film che vuole criticare tutto questo, alla fine sia prodotto da chi vive attraverso questi fenomeni, e generi introiti anche per tantissime altre aziende.
È indubbio che Barbie sia una immensa operazione commerciale, che comunque, pur schernendo le mosse fatte da Mattel negli anni, finirà per dare al brand una boccata di aria fresca. Per quanto non stimoli all'acquisto della bambola in sé, credo sia indubbio che il marchio ed il giocattolo puntino ad avvicinarsi anche alla generazione Z, che al contrario di noi Millennials non giocano più con Barbie. 
Inoltre Mattel ha messo in cantiere tantissimi altri progetti simili a questo sui loro prodotti.

Non amate il citazionismo, il rosa e i musical

Barbie non fa sicuramente al caso vostro non solo se avete una repulsione incontrollabile per l'universo Mattel, per il rosa o per qualunque film che abbia delle scene cantate e ballate, ma anche se detestate le citazioni e le autocitazioni. Io ad esempio ho colto quelle per 2001: Odissea nello spazio, Grease e soprattutto ho subito pensato a Toy Story, ma sono sicuro che quelli più bravi di me sappiano trovare altri riferimenti. Ma è anche la stessa Greta Gerwig ad aver elencato una serie di film da cui si è ispirata. Se siete fra quelli che si aspettano un'opera incontaminata da idee altrui (se mai fosse possibile), allora Barbie potrebbe non soddisfarvi.


Voi lo avete visto?




Il siero viso al Bakuchiol potenziato da provare in estate

Era addirittura il 2019 quando ho parlato per la prima volta del Bakuchiol, una sostanza estratta dalla Psoralea Corylifolia, che promette di avere gli stessi benefici rigeneranti del retinolo, ma senza effetti "collaterali" come irritazioni e arrossamenti. Qui trovate tutti i dettagli se volete fare una full immersion, perché se conoscete già questa alternativa naturale, magari vi potrà interessare il prodotto di cui vorrei parlarvi. 
È il Bakuchiol Serum di Benton, uno dei brand coreani più famosi.



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Non sapevo che il nome del brand sia una contrazione del nome del personaggio principale del film "Il curioso caso di Benjamin Button", e questo già mi ha fatto simpatia.
La particolarità di questo siero viso non sta solo nel fatto che contenga l'estratto di babchi, ma che ne abbia il 2.5% che, se sapete, è una percentuale ben più alta sia rispetto ai prodotti che in genere contengono bakuchiol, sia rispetto agli studi che sono stati condotti, che hanno individuato nell'1% la soglia ideale per vedere dei benefici da questo attivo. È uno dei prodotti con la concentrazione più alta che abbia trovato fino ad oggi, e penso che venga raggiunta sia appunto dal principio attivo bakuchiol che dall'estratto del frutto di Psoralea Corylifolia.
Oltre però a questa alternativa naturale al retinolo, e quindi ad un effetto rigenerante ed elasticizzante, questo siero vuole prendersi cura della pelle a 360 gradi, ed infatti troviamo anche niacinamide, adenosina, che ha un potere riparatore per la barriera cutanea, allantoina e tocoferolo. 

Stranamente non sono indicate le percentuali di questi attivi, ma non mi preoccupo. È specificato inoltre che il ph del prodotto è leggermente acido, intorno al 5.0.
Questo color caramello del siero non è dato da coloranti artificiali ma proprio dall'estratto di bakuchiol a così alte concentrazioni. Non temete però perché non va a colorare la pelle ma sparisce quando lo si massaggia.
Vi avviso che non essendoci una profumazione aggiunta, l'odore è un po' terroso e naturale, a me non spiace e soprattutto lo trovo evanescente, ma ho letto anche gente poco entusiasta di questa fragranza, e lo capisco perché è soggettivo.
La consistenza invece di questo siero Benton è particolare: non è acquosa ma non è nemmeno cremosa, è abbastanza sottile, si stende molto facilmente. La definirei quasi una lozione fluida ma che non scivola via immediatamente. È molto facile usarlo in congiunzione ad altri prodotti, o semplicemente in una routine basica ed estiva, siero più protezione solare. 


Appena si stende, questo siero Bakuchiol mi dà una gradevole sensazione di freschezza, tipica di questa sostanza (chi l'ha provata lo sa), ed è secondo me è pensato per pelli normali, ma anche leggermente miste o mature e secche, chi ha invece una pelle grassa forse lo può trovare un velo appiccicoso, e non è comunque quel siero viso acquoso ed evanescente che magari cercano per la skincare diurna. So però che c'è gente a cui piace questa sensazione (quando è tenue) perché fa in modo che il make-up aderisca meglio alla pelle. Ed in effetti questo siero viso Benton è una buona base per il trucco, non contenendo siliconi non va a creare pallini né mi è sembrato che possa cozzare con altre texture e prodotti. 
Il bakuchiol non è fotosensibilizzante ed è fotostabile quindi può essere utilizzato sia di giorno (sempre con protezione solare) che di sera.

Personalmente inserisco periodicamente il bakuchiol nella mia skincare sia per potenziare i benefici del retinolo, quindi affiancando il prodotto con vitamina A che sto usando in quel periodo, sia per mantenerne gli effetti durante l'estate, quando nei mesi più caldi sospendo l'uso dei retinoidi (per mia scelta, non per obbligo, ma ne parleremo). 
Con questo siero Benton mi sono trovato subito bene perché ho notato che appunto ha raggiunto quelle che erano le mie aspettative di mantenermi la pelle morbida, elastica e luminosa, ed indubbiamente ben idratata ed omogenea. Ci vuole costanza come esattamente con il retinolo, ma questo secondo me è insostituibile visto che lo tollero bene, perché comunque credo che agisca meglio sulle irregolarità della texture della pelle.
Il Bakuchiol può esserne un temporaneo sostituto secondo me o appunto affiancarlo, o quell'attivo che può aiutare le pelli sensibili che non riescono proprio ad utilizzare il retinolo nemmeno durante l'inverno. 
Mi fa comunque piacere trovarlo in sempre più formulazioni e concentrazioni alte come in questo caso con Benton, perché può essere una validissima alternativa.


Qual è la vostra esperienza col bakuchiol?



Le seconde stagioni su Prime Video che mi hanno lasciato perplesso 🤔

In queste ultime settimane ho terminato le seconde stagioni di un paio di serie tv che già l'anno scorso stavo seguendo su Prime Video. Nulla di eccezionale, semplici compagnie adatte all'estate, che però mi son sembrate meno incisive in questo secondo ciclo di episodi. 

Il 2 Giugno di quest'anno siamo tornati a scoprire come se la passa la scalmanata famiglia Diaz, al centro di With Love, e soprattutto Lily e Jorge, due giovani ragazzi che si stanno confrontando con più aspetti della vita. 


Nella prima stagione, avevamo visto che Lily era finalmente innamorata di Santiago, e fra di loro, con qualche alto e basso, le cose sembravano andare bene.
Jorge invece sta creando il suo futuro con Henry, ormai parte integrante della famiglia Diaz, visto che i due sono ufficialmente fidanzati.
Nella seconda stagione di With Love però ritroveremo Lily presto single (non vi faccio spoiler ovviamente) e appunto Jorge pronto a fare un passo molto importante come il matrimonio, non senza però tante perplessità.
Il tutto ovviamente girando sempre intorno alle tradizioni, allo stile e alla cultura messicana, che si mescola con quella americana.

C'è un senso di mancanza di idee in With Love 2, visto che le nuove storyline mi sono sembrate sicuramente un logico proseguo degli episodi precedenti, ma anche un continuo rimestare su poche dinamiche. Ad esempio tutto ciò che riguarda Lily è rivolto al suo tira e molla con Santiago, ma c'è poco da fare: i due hanno obbiettivi di vita diversi, e se questo si potrebbe riflettere in un tentativo di far maturare la loro storia, in realtà diventa un pretesto, anche mal celato, di cercare di movimentare le cose.
Anche il rapporto fra Jorge e sua sorella arriva ad uno scontro che mi è suonato abbastanza pretenzioso ed esagerato.
Il protagonista però riesce comunque ad avere la sua evoluzione, soprattutto nel rapporto con Henry (perché non si lavora mica in queste serie tv), ma dedicare loro due interi episodi mi è sembrato comunque eccessivo per le storie che dovevano raccontare.

Questa stagione di With Love fa cose un po' strane: a parte il fatto che su Prime Video l'hanno rinominata Con Amore, mentre la prima mantiene il titolo originale in inglese, adesso hanno aggiunto un sesto episodio (erano 5) che però non aggiunge molto. Infatti sono rimasti un po' indietro alcune trame secondarie, come il rapporto fra i signori Diaz, Beatriz e Jorge Senior, mentre mi è mancato il comic relif che davano gli abuelos, anzi mi è mancata proprio la componente davvero divertente. Ma soprattutto ho trovato Sol Perez cristallizzata in un ruolo rigido, e non mi è sembrato che abbiano aggiunto altri tasselli alla sua storia con Miles: si parla delle difficoltà nel conciliare amore e carriera, ma appunto si resta su un piano teorico.

Anche l'impatto delle festività stesse, che poi sono alla base di ogni episodio intorno a cui dovrebbero girare le storie, mi hanno dato un senso di sfondo sfocato, ed anche più banali, vedi il tipico addio al celibato a Las Vegas. 
L'impressione che ho avuto è che questa seconda stagione di With Love (o Con Amore) sembra costruita per cercare di lasciare un finale gioioso, ma senza riuscirci fino in fondo. Prime Video ha comunque cancellato il rinnovo della serie quindi non ci sarà la terza stagione. 


Ha più o meno lo stesso destino la seconda stagione di The Lake, Al Lago con Papà, disponibile su Prime Video dal 9 giugno.

Lo scontro fra Justin e Maisy per accaparrarsi il cottage di famiglia è stato messo da parte perché ci sono altre gatte da pelare. Il primo infatti deve cercare di risolvere i problemi della sua relazione con Riley (spoiler: sì, anche in questo caso un matrimonio di mezzo), mentre Maisy deve occuparsi della vera proprietaria del cottage, cioè sua madre Mimsy, un tipo non proprio semplice, ma che ha un forte impatto su sua figlia e sulla comunità.
Nel frattempo c'è Billie, che dovrebbe dedicarsi al suo futuro, impegnandosi in un progetto  ambientalista, finisce per subire il fascino di due giovani ragazzi che dovrebbero far parte di questo progetto.

Queste seconde stagioni di Prime Video non sono brutte, non le definirei così perché non hanno le pretese di essere questi gran capolavori, ma solo di essere una gradevole compagnia. Tuttavia da The Lake 2 mi aspettavo maggiore ilarità e frizzantezza, che mi aspetto da quello che è a tutti gli effetti una sit-com. Si perde invece a ripetere più o meno le stesse dinamiche della prima stagione ma risultano più fiacche, meno coinvolgenti, un po' telefonate.
È vero che anche nella prima stagione si girava su un paio di linee narrative orizzontali, ma erano comunque più accattivanti e movimentate.
Al Lago con Papà non era inoltre una serie particolarmente riflessiva, si faceva giusto accenno qui e lì ad alcune tematiche, ma non ci sono mai stati gli intenti né il tempo per approfondirli.

In questa seconda stagione però non solo non ho trovato questi accenni, ma è mancato quel momento un po' più tenero e romantico, come anche qualcosa che facesse ridere davvero. 
Di conseguenza diventa una compagnia parecchio vuota, che non mi ha lasciato granché a fine stagione e che può andare bene se il vostro intento è l'assoluta mancanza di impegno nel guardare lo schermo.
È carino però che, se guardate la serie dal pc, nel riquadro X-Ray, trovate alcune curiosità sulle scene e sul dietro le quinte, anzi alcune volte sono più interessanti della scena stessa.
Alla fine di The Lake 2 comunque l'imbuto narrativo si è stretto per cui temo che, se verrà rinnovata per una terza stagione, avrà poco di interessante da mostrarci.



Maschere Viso Dizao, una bella scoperta!

Mentre mi aggiravo in uno dei negozi di articoli per la casa e la cura della persona che frequento abitualmente ho trovato nello scaffale alcune maschere viso di Dizao, ed è stato un po' un throwback, perché avevo provato i loro patch occhi con soddisfazione ormai doversi anni fa. Poi il brand era finito fuori dalla mia orbita, fino a quel giorno. 

Le maschere viso Dizao sono disponibili anche da Douglas (qui) e da Marionnaud (qui) ed il range è vario, ma ammetto che non mi è chiaro esattamente quale sia il range completo dell'azienda. Da me ad esempio sono solo reperibili quelle della linea Matrioska, la cui particolarità è indubbiamente questa confezione simpatica, ma anche la scelta di inserire il 95% di ingredienti naturali.
La gamma Matrioska Dizao raccoglie tre diverse maschere viso, ma io ne ho provate due.



DIZAO Hyaluronic Maschera Viso Idratante Acido Ialuronico



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🔎 Douglas, Marionnaud, Online
💸 €1.99
🏋 25 gr
🗺 Made in Corea
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Confesso che quando ho acquistato queste maschere non ho letto con attenzione tutto l'INCI, ma in questo caso mi sono ritrovato una formulazione invitante.
Si inizia con acido ialuronico e collagene idrolizzato, che hanno un'ottima efficacia umettante; si continua con una serie di estratti vegetali di fiori e piante, principalmente ad azione anti infiammatoria, lenitiva e anti ossidante. Poi la parte per me più interessante: un terzetto di peptidi, Matryxil, Argireline e Peptide di rame, seguiti da centella asiatica.
Questa maschera in tessuto Dizao è composta da 100% cotone molto ben imbevuta e ha una gradevole, ma tenue, fragranza. Indossarla è stata molto semplice, visto il tessuto sottile ed abbastanza elastico. Ho dovuto però fare un paio di tagli lungo il naso perché la maschera non li ha, ma nulla di troppo difficoltoso da gestire. Anzi è stato molto comoda da tenere sul viso anche più a lungo dei 15 minuti consigliati da Dizao, perché non casca e non goccia ovunque.

Premetto che l'azienda suggerisce un trattamento prolungato con queste maschere di 5 giorni consecutivi, e poi passare ad un uso settimanale.
Ciò però non toglie che già dalla prima applicazione ho trovato dei benefici. La maschera idratante all'acido ialuronico Dizao mi è piaciuta molto perché lascia la pelle davvero tonica, compatta e ben idratata. Magari se avete il viso molto secco, una crema dopo dovrete mettercela comunque, mentre per pelli più normali e miste andrà bene da sola. Io ad esempio ho proseguito con la mia routine più per aggiungere altri attivi, e completare la mia routine serale che per necessità. A tal proposito posso dirvi che questa maschera lascia un leggero residuo appiccicoso, che su di me ha impiegato circa 10 minuti per svanire del tutto, quindi se contate di usarla per un evento, calcolate un po' i tempi. Una volta passata questa sensazione però applicarci sopra qualche altro siero non mi ha creato problemi, come ad esempio pallini o comunque contrasti fra le diverse texture.
Questa maschera Dizao promette anche di essere rinfrescante, ma io l'ho trovata solo moderatamente lenitiva durante la posa. Un bel prodotto. 



DIZAO Strawberry and Collagen Maschera Viso Rassodante Fragola e Collagene


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🔎 Douglas, Marionnaud, Online
💸 €1.99
🏋 25 gr
🗺 Made in Corea
⏳  monouso
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Questo secondo trattamento viso Dizao presenta similarità ma anche differenze con l'altra. In primis il tessuto è differente: intanto è nero perché è infuso con polvere di carbone, inoltre ha un taglio diverso, un po' più tipico rispetto alle maschera viso coreane, tanto che quasi non ho avuto bisogno di fare alcun taglio. Ovviamente anche la profumazione è diversa, non fruttata come ci si potrebbe aspettare, ma vi posso dire che per me è comunque gradevole.

Idem la quantità di siero che è sempre abbondante ma senza sporcare comunque ovunque. 
La formulazione della maschera rassodante non si discosta troppo da quella idratante: troviamo sempre collagene e acido ialuronico, e la stessa combinazione di estratti vegetali, a cui ovviamente si aggiunge quello di fragola, ricco di antiossidanti. Inoltre troviamo quella miscela di peptidi che vi avevo raccontato poco più su. Tuttavia l'esperienza generale è stata differente. 


Dopo l'uso di questa maschera viso Dizao la pelle era indubbiamente carina all'aspetto, mi sembrava ben idratata, leggermente più luminosa e un po' più tonica. Non mi è parso che fosse più compatta o soda, e soprattutto aveva lasciato un film appiccicoso che ha richiesto diversi minuti prima che si attenuasse. Non è mai andato via del tutto e questo mi fa pensare che possa essere più adatta a pelli a tendenza secca o durante la stagione fredda. Al momento in cui l'ho usata, fra le alte temperature e l'umidità, forse non era forse il prodotto più ideale per la mia pelle mista in quel momento. Però ammetto che tenerla in posa è stato piacevole, è vagamente rinfrescante e non mi ha dato irritazioni o fastidi.
Inoltre, nonostante la buona idratazione, dopo ci ho applicato altri prodotti per completare la mia skincare serale e non ho notato intoppi, quindi funziona bene in sinergia ad altri cosmetici.
Magari la riproverei nel periodo autunnale.




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Ha senso piangere per un social che muore?

Quelle che seguono sono pure riflessioni forse troppo sincere, di un non esperto, senza lo scopo di consigliare la strada più giusta da seguire, e che non sono da cristallizzare a vita, ma sono il frutto di un esame sulla situazione attuale in base a ciò che vedo, sento ed esperienzare. 

Non ricordo la prima volta che ho avuto accesso ad internet, ma ricordo il primo vero computer funzionante che entrò in casa mia (perché prima mio zio ci diede una sorta di IBM con quei floppy disk giganti, che era praticamente inutile). Credo fossero i primi anni del 2000, internet era lentissimo e non c'era moltissimo da fare, o per lo meno io non sapevo farlo. Infatti finivo, non so come, per guastare quel povero computer.
Col tempo però la rivoluzione: quel pc è diventato un vero e proprio mezzo di comunicazione con MSN Messenger, una delle prime chat (ne esistevano già altre) che consentiva di scambiare messaggi, trilli ed altre robe più o meno utili con persone lontane da te e senza i limiti della Summer Card. Io lo adoravo, ma ho saltato la fase Netlog, Myspace ed affini perché non avevo questa gran voglia di stare davanti allo schermo né di condividere con chicchessìa i fatti miei. Quante cose sono cambiate eh?!

Ma c'è stata davvero una rapidissima escalation con l'arrivo di telefoni sempre più avanzati, gli smartphone, e delle applicazioni. Così MSN è stato sostituito da WhatsApp, o meglio Viber fra le prime app di messagistica che ho provato, e i vari siti-blog hanno sofferto l'arrivo di uno dei social più potenti.

Era il 15 aprile del 2009 quando per la prima volta mi sono iscritto a Facebook, non sapendo quello che sarebbe avvenuto dopo.
All'inizio infatti ricordo che ero reticente, rimandando l'iscrizione, perché non mi convinceva, ma in quegli anni non avere un profilo Facebook era come essere tagliati dal mondo, non esistere quasi, essere lo sfigato della comitiva con cui non si poteva parlare.
Per anni è stato il social dove condividere pensieri, ricordi, tradimenti, lamentele, trovare vecchi compagni di scuola o affini che vivono dall'altra parte del mondo. Sono certo che ci siano coppie ancora in vita che si sono conosciute su Facebook, e gente che ci ha anche trovato lavoro.

Le cose sarebbero cambiate presto però.
Col tempo è cambiata la percezione di Facebook, non solo per tutti i problemi di sicurezza e trattamento dei dati o per la diffusione di fake news, link scemi o truffe di varia natura, ma è diventato il social dei boomer, di tutti coloro che cascano facilmente a quelle bufale, che condividono 10 modi per fare la pasta senza accendere il gas e finiscono su Canale 5 per aver creduto che il giovane Abdul fosse innamorati di loro o che potevano davvero vincere un iPhone con un click.
Dall'interno all'esterno, e dall'esterno all'interno le cose erano cambiate, e noi tutti ci siamo ritrovati a non sopportare più che tutto quello che avevamo condiviso su Facebook, tutte le persone che avevamo aggiunto, ci ritorcessero improvvisamente contro in vario modo, a lavoro o al pranzo di natale in famiglia.

Inizia l'evacuazione, la voglia di andare altrove, e molti non si guardano nemmeno indietro, anzi la vivono come una liberazione.
Da molto tempo si parlava di Twitter, dove si era tornati, pubblicamente, ad apprezzare l'anonimità che può dare il web, potendo esprimere liberamente i propri pensieri senza il peso del giudizio della dirimpettaia, ma anzi con la possibilità che un hashtag ti aiutasse a trovare la tua tribù. Io mi ci sono iscritto ad aprile del 2012, e per me non fu subito particolarmente intuitivo.
Nel frattempo è arrivato anche un altro social, ovvero Instagram, dove si ripartiva da zero, ma questa volta non più con pensieri vagamente interessanti ma con delle foto dai pixel grossi come arance tarocco.
È vero di mezzo c'è stato anche Tumblr, ma diciamolo: era troppo per intelletualoidi, nerd o amanti di citazioni sbagliate, e quando nel 2018 hanno tolto i contenuti friccicarelli, è praticamente sparito da ogni discussione.

Eppure, devo fare un passo indietro, perché fra tutti questi social, alla fine del 2011 ho creato questo blog, dando vita al "mio" personalissimo social, dove cantarmela e suonarmela come volevo. Certo, il lavoro dietro ad un blog anche solo appena più elaborato, non è esattamente paragonabile a quello di inviare un tweet random, e soprattutto, se vuoi che questo lavoro riesca a raggiungere più persone possibili, non basta scrivere un testo, ma concettualmente la questione è simile.

Fun Fact: prima di aprire il blog qui, provai anche Tumblr, ma appunto, non avendo la possibilità di ricevere o rispondere ai commenti, era inutile per me.
Nel 2012 anche io inizio ad abbandonare sempre più Facebook, e mi sposto più su Twitter (a Marzo) e su Instagram (a Giugno), che mi aiutavano anche a condividere pezzetti del blog (soprattutto il primo).
In questi 11 anni su Twitter e Instagram ne ho viste di ogni, e purtroppo non mi è sempre sembrato che fossero meglio dell'odiato Facebook.

Instagram è il paese dei balocchi che ha fatto suo il motto "barcollo ma non mollo". Dal semplice diario su cui raccogliere foto di viaggi o di piatti non così memorabili, è diventato un punto di riferimento socio-culturale positivo e negativo al tempo stesso, ma anche una piattaforma per fare business.
È anche per Instagram che i blog sono sono morti o quasi, avendo aperto la strada ad una immediatezza che degli articoli lunghi non possono reggere. Ed è più o meno intorno al 2013 che ho visto il maggior numero di blog spegnersi o essere abbandonati, ed anche lì, se per me era come perdere delle pagine a cui mi ero affezionato, i loro creatori non si sempre sono fatti grandi remore nell'andare avanti. 

L'impatto psicologico che Instagram, ha avuto sui singoli è immane, e la fame di like e follower ha spinto alcuni ad inventarsi una vita che non esiste, mettendo in pratica idee al limite della legalità. Raccontare tutti i cambiamenti che Instagram ha subito ed ha imposto nel corso di questi anni sarebbe stancante per voi e per me. Ma anche da un punto di vista più pratico non sta messo meglio: già solo per il fatto che è uno di quei social molto legato al dispositivo su cui viene utilizzato e che migliora o peggiora da un giorno all'altro, ne inficia l'usabilità. Ma se sei uno di quelli definiti "creator", cioè creatore di contenuti, saprai quanto possa diventare ostico e frustrante avere a che fare con l'algoritmo.

Non so più quante volte ho letto di utenti Instagram stanchi e arrabbiati perché i loro post raggiungono poche persone anche (ma non solo, è importante dirlo) per i costanti cambi di algoritmo, ottenendo pochi like.
Io ho il feed esplora pieno di gente che ti vuole spiegare l'Instagram, con guide tutte diverse fra loro.
O ancora, come dimenticare quando a Marzo di quest'anno improvvisamente sono scomparse tutte le canzoni e gli audio dai reel (che fino a quel momento erano stati stra spinti e sponsorizzati da Instagram) per un problema fra SIAE e Meta rendendo tutti i contenuti di milioni di creator più o meno alla pari di un film muto.

La spunta blu a pagamento su Instagram, alla modica cifra di 16.99 euro, è la ciliegina sulla torta: è vero che si tratta di un abbonamento che vuole offrire assistenza al profilo, ma non dovrebbe esserci per tutti questa assistenza? Pare che comunque ne abbiano vendute a pacchi.
Già da tempo molto gli instagrammers si erano affacciati su TikTok, vista l'enorme ascesa che ha avuto e visto che fa leva sulla generazione dei nati intorno al 2000, nonostante fosse sempre stato considerato il social di balletti cringe per ragazzini. E ancora di più secondo me hanno inciso tutte quelle problematiche a cui facevo riferimento sopra. 
Ad oggi ho un profilo in cui non ho mai creato contenuti, non ho mai provato molto appeal per Tik Tok, non ci ho mai trovato un video che potesse essermi utile, ed è comunque un social al centro di tante discussioni sull'integrità dei video diffusi e sul trattamento dei dati.

Inoltre ad oggi, nelle classifiche Instagram sta sopra Tik Tok, quindi anche se uno è sempre sulla graticola, l'altro non l'ha ancora superato.

Il social dell'uccellino blu invece, diventando il sostituto di Facebook, oltre che un libero sfogo di idee, è stato per molti il luogo in cui fare conoscenze da portare fuori dal web. C'è chi ci ha trovato addirittura il partner della vita o un lavoro, e io stesso ho avuto modo di imbastire diverse amicizie, oltre a considerarlo uno strumento di informazione rapida validissimo. Il rifugio quando tutti gli altri social sono in down.
Tuttavia non sempre si respirava (e si respira) l'aria di apertura, divertimento, leggerezza e spensieratezza tanto agognata, ma sono tante ancora oggi le occasioni di violenza verbale e abusi che si possono subire su Twitter. Ed è inutile che vada a ripescare le implicazioni negative sociali e politiche che ha avuto nel corso del tempo, e soprattutto negli ultimi anni.
Moltissime volte io stesso mi sono confrontato con casi di vero analfabetismo funzionale, esattamente come quello riscontrato su Facebook.

Inoltre sono da sempre convinto che chi utilizza Twitter con costanza finisca per convincersi che ogni tweet siano davvero lo specchio esatto della realtà che ci circonda, ma inutile dire che non è così. Anche a me a volte è capitato di condividere qualcosa di Twitter a qualcuno non presente sul social, ma le persone esterne non riescono a coglierne il sapore, tanto è forte il linguaggio, gli argomenti, le chiavi di lettura che girano fra un tweet e l'altro.

Twitter però sta lentamente annaspando: oltre ai problemi strutturali che sono sempre esistiti, e scelte della nuova gestione di Elon Musk sono alquanto discutibili e lacunose, basti pensare al caos creatosi per la possibilità aperta a chiunque di comprarsi il badge di verifica, spacciando un profilo inventato per uno ufficiale. Ma il panico da fuggi fuggi si è scatenato quando, temporaneamente, il caro Elon (o chi per lui) ha messo il tetto massimo di 600 tweet visualizzabili al giorno. Un grosso limite per i fan dello scrolling costante, ovvero uno dei punti di forza di Twitter. 
Non ho contato le lamentele lette in quella giornata, soprattutto considerando non si sapesse che fosse temporaneo, e credo di non aver mai assistito ad una cosa del genere. 
Non per MSN o MySpace, che vengono ricordati più con nostalgia, non per Facebook, che tutto sommato continua a funzionare, non per Tumblr, se non per l'eliminazione dei contenuti per adulti, e nemmeno per il blogging.
C'eravamo lamentati quando Instagram copiò le storie a Snapchat, eppure ad oggi nessuno ne parla più.

In contemporanea ai problemi di Twitter sotto la gestione Musk, è arrivato Threads di Meta, che è praticamente la copia di Twitter partorito da Mark Zuckemberg. 

In 5 giorni Thread pare abbia ottenuto 100 milioni di iscritti, nonostante non sia ancora disponibile ovunque, Italia inclusa, ed ha la comodità di essere già implementato ad Instagram.
Se avrà fortuna si vedrà nel tempo, ma oltre al chiedersi se è giusto che una persona (ed una società) sola abbia il controllo dei social più utilizzati, mi sono chiesto noi, da utenti, come dovremmo approcciarci a questo caos.

So bene che non si parla più solo di faceto, di virtuale, perché i social si sono legati a più nodi alla nostra vita. So pure che molti riconducono dei ricordi importanti ad essi, e lasciarli andare non è semplice. Eppure lo abbiamo già fatto in passato, e lo faremo ancora più avanti. L'impressione che ho è che tutti questi siti siano più o meno destinati, su larga scala, a far parte di mode e temporaneità. 
E soprattutto, ogni singolo social ha i suoi difetti, per quanto ne possiamo essere affezionati o far finta che tanto non ci toccano, o lo fanno solo collateralmente. 
Ad oggi si sprecano i messaggi, pubblici e privati, su qualunque social, di persone che non capiscono cosa io faccia qui, pensando che venda prodotti o simili, per farvi capire che il pubblico del web non è facile e non sempre coglie sfumature così palesi.

Credo che tutti i social siano destinati a morire in qualche modo, a sparire dalla nostra orbita, a non far più parte del nostro quotidiano. L'unica strada, quando quel social non è più come lo ricordavamo e la apprezzavamo, secondo me è portare fuori, nella nostra vita vera, tutto quello che di buono abbiamo raccolto su di essi, salvare come possiamo i nostri ricordi, e so già che conoscete tanti modi. Cercare poi di goderci quel che di buono c'è ancora d'oggi su questi strumenti, contribuendo noi stessi ad evitare ciò che ci dà fastidio nell'altro utente. 

Ormai da un po' ho volutamente smesso di seguire tutti i singoli dettami delle tante guide su come far funzionare Instagram o Facebook perché era per me come correre su una ruota per criceti, anche se per Meta io sono un creator. I numeri sui miei social non corrispondono ai numeri che poi ottengo qui, dove riesco ad esprimermi e a condividere al meglio le mie passioni, ed è su questo blog che per me ha più senso impiegare il mio tempo, contro tutte le mode "social" del momento.
Ed è necessario secondo me essere pronti a ricominciare, perché questi spazi online non ci appartengono mai davvero, non sono nostri, anche se siamo noi a farli andare avanti.



La recensione aggiornata dello shampoo e balsamo solidi Cien Nature

Dopo il detergente viso, ho voluto provare le nuove formulazione dello shampoo e del balsamo solidi di Cien Nature

In questo caso avevo molte titubanze perché, se ricordate, i primi prodotti che Cien aveva lanciato, per me erano pessimi. Ad oggi li ho tenuti per lavarci pennelli, spugnette ed affini, ma non si sono più avvicinati giustamente ai miei capelli. 
Quando da Lidl ho visto che c'erano questi nuovi prodotti solidi, mi sono accertato che fossero davvero differenti rispetto agli INCI della precedente versione ed anche da quelli di PHBio che tanto li ricordano. 
Cien Nature propone adesso due linee capelli per esigenze diverse, una per capelli grassi con tè verde e timo, e l'altra, che è quella che ho acquistato, per capelli secchi, argan e semi di lino.

Purtroppo anche questi shampoo e balsamo hanno lo stesso problema della gamma precedente per quanto riguarda il packaging, poco sicuro da eventuali manomissioni, e i panetti dei prodotti sono praticamente identici con la conseguenza che tocca tenerli per forza separati se acquistate entrambi. Onestamente in questo senso vedo del lassismo: fare uno dei due con una forma o un colore diverso non credo possa essere così difficile.


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Per quanto riguardo lo Shampoo Solido Argan e Semi di Lino, nell'INCI troviamo anche altri attivi che fanno bene ai capelli, come ad esempio l'olio di ricino, spesso usato come ricostituente. C'è anche glicerina e alcuni agenti districanti e condizionanti. La profumazione è invece fresca, neutra e delicata, che non mi pare riesca a permanere sui miei capelli.
Come per quanto riguarda il detergente viso, questo shampoo solido Cien può essere utilizzato sia sfregando il prodotto fra le mani, e creando una schiuma da massaggiare sui capelli, oppure direttamente sulla capoccia. Io preferisco la prima opzione perché mi regolo meglio sulla quantità di prodotto che utilizzo. 
In questo modo crea subito una buona quantità di schiuma che si distribuisce facilmente fra i capelli.

Questa nuova riformulazione dello shampoo solido Cien Nature mi è piaciuta, ma non è il mio prodotto preferito. Infatti pulisce bene il cuoio capelluto, senza darmi fastidio, irritando o seccando anche con un uso costante, ma non ha comunque quella delicatezza ed emollienza che cerco in un prodotto che possa "coccolare" la mia cute sensibile e appunto propensa a seccarsi.
Per quanto riguarda invece le lunghezze non le va ad indurire o seccare, anzi le rende tutto sommato morbide, ma tende un po' ad annodare, ed ha indubbiamente bisogno di un balsamo. Diciamo che visti gli ingredienti nutrienti, mi aspettavo una azione condizionante maggiore, ma secondo me è comunque utilizzabile.
Inoltre non mi appesantisce i capelli, e me li lascia abbastanza corposi e si sciacqua velocemente, quindi è tutto sommato promosso, specie se avete capelli normali e non troppo lunghi o sottili. 


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Per quanto riguarda il Balsamo Solido Cien Nature non ho molto da dirvi sull'INCI perché gli attivi sono praticamente uguali a quelli dello shampoo, quindi olio di argan, semi di lino, e ricino, ma mi ha fatto sorridere trovarci dentro anche polvere di spinaci, verdura che in genere aborro, che pare abbiano un effetto condizionante generale. La profumazione è anche uguale a quella dello shampoo, anche in questo caso non mi pare persistente, e l'uso è sempre quello. Io però nel caso del balsamo solido, preferisco sfregare il panetto direttamente fra i capelli perché, se lo strofino fra le mani mi sembra quasi di non prelevarlo, o comunque mi sembra di perdere tempo e non mi va.

Questa nuova versione del balsamo capelli solido è secondo me decisamente migliore rispetto alla precedente, che secondo me alla fine era una sorta di shampoo che non lavava: intanto non fa schiuma, ma appunto si scioglie e si distribuisce facilmente fra i capelli.
Inoltre ha un buon potere ammorbidente e districante quasi immediato, molto utile se utilizzato appunto insieme allo shampoo solido Cien. In generale, il balsamo argan e semi di lino mi sembra davvero adatto a capelli a tendenza secca e che hanno bisogno di essere ammorbiditi e districati. Non è però un trattamento urto: secondo me non può salvare una situazione di capelli decolorati o comunque particolarmente stressati e danneggiati (e non credo nemmeno che qualcuno si aspettasse tanto). 


Su di me, che ho dei capelli comunque difficili, invece funziona appunto abbastanza bene, ma pecca un po' sia nel dare lucentezza, sia nella capacità di condizionare i capelli e renderli più facili da mettere in piega. Nulla che non si possa recuperare con un prodotto che aiuti lo styling, come un gel o un olio. 

Il balsamo solido Cien non va a togliere corpo o volume ai miei capelli, né li sporca in anticipo, ma mantengono comunque, nel corso dei giorni la stessa morbidezza. Inoltre si sciacqua abbastanza bene, pur applicandolo sfregandolo direttamente fra i capelli. 
Questa nuova combo di prodotti solidi Cien Nature, che funziona bene insieme, per me è assolutamente un upgrade rispetto alla versione precedente, e per quanto non siano i migliori mai provati, in questo caso mi sento di dirvi di dargli una chance.


 A questo link trovate la recensione dei bagnodoccia. 


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