Cosa ho visto su Prime Video in queste settimane

Mi sembra sempre di non sfruttare al meglio il mio abbonamento a Prime Video, che per quanto non sia alla pari di Netflix quando si parla di nuove uscite e produzioni originali, ha comunque un catalogo abbastanza ricco. Mi sono così messo d'impegno ed ho visto nelle ultime settimane tre film ed è il momento di chiacchierarne un po'.


Flaminia (2024)


Genere: commedia
Durata: 100 minuti
Regia: Michela Giraud
Uscita in Italia: 11 Aprile 2024  (cinema)/ 7 Settembre 2024 (Prime Video)
Paese di produzione: Italia

Flaminia De Angelis (Michela Giraud) è una ragazza di Roma Nord che fa di tutto pur di essere accettata da quella borghesia altolocata e snob a cui lei e la sua famiglia agognano. Nonostante il padre faccia il chirurgo plastico (che di questi tempi è tanto ricercato), infatti, i De Angelis sono visti come degli arricchiti un po' burini, e devono far del loro meglio a mantenere le apparenze perché Flaminia sta per sposare il rampollo di una famiglia romana molto importante, sebbene sembrino più nozze di convenienza per entrambi.
Mentre i preparativi fervono, tutto però sembra precipitare: nella vita di Flaminia si catapulta la sorella(stra) Ludovica (Rita Abela), la quale è nello spettro autistico ed è uscita da una comunità in cui viveva. La spontaneità e l'irruenza di Ludovica metteranno in difficoltà i modi ormai costruiti di Flaminia che cerca di spacciarsi per ciò che non è.

Opera prima di Michela Giraud, che ne firma la regia oltre che la scrittura e appunto l'interpretazione, Flaminia non era esattamente il film che avrei voluto vedere al cinema quando uscì ad aprile, ma è stato un buon recupero in streaming. 
Dalla stand up comedy, Giraud ha saputo espandere il suo personaggio e già in Maschile Singolare e Maschile Plurale aveva mostrato alcune note più drammatiche della sua recitazione, ma qui oscilla proprio su due poli opposti. Perché Flaminia inizia come una commedia, con una protagonista che sembra quasi una Bridget Jones borgatara che cerca di evolvere, ma poi si scontra con una realtà che aveva da sempre rifiutato, che però la aiuterà a riscoprire se stessa, una emotività che aveva messo da parte ed una unicità che aveva quasi dimenticato. 

Flaminia cerca quindi di essere non solo una commedia ma anche un film un po' più di spessore, ma non riesce a mettere radici profonde a queste due anime. La parte commediale è carina, ma nulla di più, non ci si fa grandi risate, anche se Michela Giraud gioca molto con riferimenti alla romanità, fa satira anche più o meno velatamente ad un certo tipo di ceto e provenienza sociale, ma altri passaggi funzionano meno bene, come l'auto citarsi o il cadere in stereotipi già visti.
Nessun personaggio, ad eccezione forse della protagonista, riesce ad avere una sfaccettatura che lo renda un po' più approfondito.

Tutta la parentesi più drammatica può essere toccante, ma resta trattata in modo decisamente superficiale rischiando di risultare un po' fine a se stessa e non riuscire a portare a quella riflessione che invece il film vorrebbe far nascere nei suoi spettatori. Mi è capitato di vivere una situazione simile a quella di Ludovica e Flaminia, ma la prospettiva qui come dicevo non è né originale né particolarmente accurata, sebbene sembri che Giraud ci abbia messo anche una vena biografica.

A questo aggiungete una regia e una estetica abbastanza standard, che non rendono il film particolarmente di appeal, specie nell'ottica di una sala cinema.
Salvo sicuramente la recitazione di un po' tutto il cast, fra cui anche Antonello Fassari, Nina Soldano ed Andrea Purgatori, ma sono tutti attori rodati che hanno alle spalle tanta carriera e che qui si trovano in ruoli di passaggio.
Flaminia si trova secondo me bene in streaming, come un intrattenimento semplice con un pizzico di attenzione in più, ma senza mai trovare una sua anima.



Una famiglia di cuccioli (2023)


Titolo originale: Puppy Love
Genere: 
commedia sentimentale
Durata: 106 minuti
Regia: Richard Alan Reid, Nick Fabiano
Uscita in Italia: 11 Settembre 2024 (Prime Video)
Paese di produzione: Stati Uniti

Nicole (Lucy Hale) è una ragazza estroversa, energica ma un po' casinista, che non è riuscita a sviluppare il suo amore per l'arte finendo per diventare una home stager, la quale un po' per caso si imbatte in un randagio che decide di adottare e chiamare Channing Tatum. Un giorno spinta da un'amica dopo l'ennesima delusione amorosa, Nicole si iscrive su una app di incontri per cercare un compagno, e qui conosce Max (Grant Gustin) il quale ha anche lui una cagnetta, Chloe, che ha adottato su suggerimento della sua terapeuta, con lo scopo di liberarsi di parte delle paure che lo tengono chiuso in casa post Covid.
Fra i due l'appuntamento non va al meglio, anzi, ma fra i loro cani invece le cose vanno fin troppo bene, al punto che Chloe resta incinta e Nicole e Max finiscono per dover collaborare per il bene dei loro cuccioli.

Metto le mani avanti con Puppy Love perché è a tutti gli effetti una rom-com, che prende le mosse, lo stile, le dinamiche dal genere e quindi non ha un crea un effetto sorpresa unico e particolare. Però Una famiglia di cuccioli si muove su alcune sfumature che secondo me lo rendono un po' più apprezzabile. Ad esempio la coppia Nicole e Max non nasce come una enemies to lover, perché le cose fra di loro, in primissima battuta, non vanno tanto male, ma semplicemente entrambi sono ancora troppo reticenti nei confronti dell'altro e quindi non si trovano nei rispettivi modi di fare.

O ancora, l'essere chiuso e germofobico di Max non è un comportamento campato in aria, ma si ricollega al Covid, quindi una circostanza che molti possono comprendere, e che poi svelerà anche una ulteriore ragione.
L'aggiunta dei cani rende poi tutto più carino e puccioso, specie se amate gli animali.

Probabilmente per i miei gusti non mi ci sarei soffermato ma mi aveva invece incuriosito la presenza di Lucy Hale, che dopo Pretty Little Liars ha costellato la sua carriera di commedie romantiche in cui secondo me riesce molto bene, ma anche Gustin sta bene in questa parte, e il cameo di Jane Seymour non guasta.
Purtroppo non ho amato i personaggi secondari, troppo spesso eccentrici, e non tutte le situazioni comiche sono vicine alla mia idea di ironia, ma non per questo credo che sia brutto nel suo insieme.
Quindi penso che un film come Puppy Love faccia il suo dovere: è esattamente quello che ci si aspetta da una comedy che vuol essere un porto sicuro per una serata tranquilla. Il vero inghippo secondo me sta nella durata, che sfora troppo per la storia che racconta e per la tipologia di film, ma comunque non ci si annoia troppo, e per le future giornate autunno-invernali può andare bene.


CODA - I segni del cuore (2021)


Genere: commedia, drammatico
Durata: 111 minuti
Regia: Sian Heder
Uscita in Italia: 31 marzo 2022 (cinema)/ Prime Video
Paese di produzione: Stati Uniti d'America, Francia, Canada

Nonostante il nome, CODA non parla di animali, ma è l'acronimo di Child of Deaf Adults, perché questo film racconta la storia di Ruby Rossi (Emilia Jones) unica persona udente della sua famiglia. Ruby è soltanto una adolescente, ma per tutta la sua vita è stata il filtro, o meglio l'interprete per la sua famiglia con il resto del mondo. Si sveglia infatti all'alba per aiutare suo padre Frank (Troy Kotsur) e suo fratello Leo (Daniel Durant) nell'attività di famiglia su un peschereccio, ma nonostante sia dovuta crescere in fretta, a scuola viene vista come una persona da emarginare e bullizzare.
Ruby ha però una grande passione per il canto, e quando un insegnate di musica finalmente inizierà a credere in lei e darle lezioni, per la ragazza si aprirà un bivio: seguire la sua passione, che potrebbe diventare il suo futuro, o aiutare la famiglia che ha parecchi problemi economici?

Quando uscì nel 2022 non sono riuscito a vederlo al cinema, né ho visto il film francese da cui è tratto, che si intitola La famiglia Bélier, e che si trova sempre su Prime Video, quindi ero del tutto libero da preconcetti, ma ero solo mosso dalla curiosità, visto che CODA si era aggiudicato in quell'anno ben tre premi Oscar fra le svariate candidature e vittorie. 
Coda alla fine è quasi un coming of age, perché abbiamo una protagonista che è già matura per certi aspetti, ma deve fare il passo successivo, deve trovare il coraggio di uscire dal nido; dall'altra parte anche la sua famiglia però deve imparare a lasciarla andare, a mettere da parte quell'egoismo forse spontaneo e capire che Ruby deve fare la sua strada.
In questo senso Coda - I segni del cuore dà una doppia chiave di lettura: da un lato quella specifica di una intera famiglia che, a causa della sua disabilità, non solo ha paura di lasciare andare l'unica persona che riesce a tenerli a contatto col mondo, e anche a riparo da alcuni pericoli, ma non può apprezzarne il talento concretamente.

Dall'altro questo è un discorso che può valere per qualunque altra circostanza in cui uno dei figli deve lasciare la casa natia per cercare un futuro migliore, pur sapendo che i genitori potrebbero o hanno bisogno di aiuto, o anche quando deve seguire la propria passione nonostante non venga del tutto compresa dalla famiglia. 
La questione del canto (che onestamente avrei ridotto nel film) è quindi sicuramente collaterale al messaggio che in realtà vuol far passare CODA, ma è calzante.
Pare inoltre che, rispetto alla versione francese, in questo adattamento abbiano scelto davvero attori non udenti, quindi creando una maggiore sensazione di realismo delle dinamiche.

Pur aprendosi però a tante riflessioni ed una certa universabilità, Coda non diventa mai troppo pesante, perché dà aria alle sue tematiche anche serie con una spolverata di ironia.
Non lo definirei un capolavoro in generale, sia perché qui e lì può risultare un po' troppo studiato, un po' troppo sistemato a tavolino per suscitare emozioni, così come c'è una sensazione di prevedibilità man mano che il film si sviluppa, ma comunque merita una opportunità senza dubbio. 



I (quasi) terminati di Settembre Viso, Corpo e Capelli... cosa riacquisto?

È arrivato quel periodo del mese in cui mettere in rassegna un po' dei prodotti che sto utilizzando da qualche tempo a questa parte, con qualche scoperta per me e alcuni in dirittura d'arrivo.


AMA Cosmesi Milano Bagno Doccia Orchidea e Cocco


NFO BOX
🔎Grande Distribuzione
💸 €3.50
🏋 500ml
🗺 Made in Italia
⏳  12 mesi
🔬 //


Mentre cercavo un gel doccia, mi sono imbattuto in questa azienda, colpito soprattutto dalla confezione colorata e differente. AMA Cosmesi Milano è un brand italiano, prodotto dalla Cerichem Biopharm, ed il Bagno-doccia Orchidea e Cocco ha caratteristiche interessanti: non contiene petrolati e siliconi, ma attivi vegetali come l'estratto di mandorle dolci, lenitivo ed emolliente, ma anche glicerina, sorbitolo, entrambi dall'effetto umettante e idratante, e il tocoferolo per proteggere la pelle dai radicali liberi. 

Si presenta come un gel fluido che crea a contatto con l'acqua davvero una schiuma molto cremosa, avvolgente e piacevole, ancora di più se usate una spugna o un tool per la doccia. Questa schiuma richiede qualche secondo extra per essere risciacquata, ma nulla di troppo dispendioso o complicato.


Questo di Ama Cosmesi è un docciaschiuma che a me è piaciuto molto per la sua delicatezza, perché lascia davvero la pelle molto morbida, setosa, si averte proprio che rilascia una bella emollienza (da qui anche l'esigenza di un risciacquo appena più lungo), al punto che mi è capitato anche di non dover applicare dopo una crema corpo.

La profumazione è anche molto gradevole, ma ammetto che non la riconduco molto al cocco, ma più che altro ad una profumazione floreale vagamente dolce e fresca. Si avverte abbastanza bene al momento della doccia, ma sulla pelle non mi pare permanga, o per lo meno, si capisce che non ho utilizzato un prodotto completamente neutro e inodore, ma non si distingue bene una fragranza.
Questo è forse l'unico neo che riesco a trovare a questo Bagno Doccia Schiuma Ama, perché è un ottimo prodotto. Vorrei provare anche il resto della linea, quindi fatemi sapere se la conoscete.


Alverde Schiuma detergente Viso per pelli sensibili 3in1


INFO BOX
🔎 dm-drogeriemarkt.it, catene DM
💸 €2.99
🏋 150ml
🗺 Germania
⏳ Scadenza sulla confezione
🔬 Natrue, Vegan
Seconda mousse viso detergente di Alverde che provo quest'anno, ma questa versione per pelli sensibili, che dovrebbe detergere, schiarire e tonificare, non mi ha convinto del tutto. Contiene appunto ingredienti che dovrebbero dare una azione lenitiva e antiinfiammatoria, come gli estratti di camomilla e di foglie di amamelide da agricoltura biologica e una sostanza derivata dalla radice di liquirizia. C'è anche olio di semi di girasole per nutrire e tocoferolo come antiossidante. In più troviamo agenti idratanti come glicerina e lecitina, ma il problema della schiuma detergente secondo me è la tanta presenza di alcol.

Infatti io non riesco nemmeno a sentire l'odore che Alverde ha inserito perché avverto solo zaffate di alcol durante l'utilizzo. 


Se per me non è un problema, perché non ho una pelle particolarmente reattiva o in generale che non sopporta l'alcol nei cosmetici, mi chiedo una pelle che invece è davvero sensibile come possa reagire con questa formulazione. A me per fortuna non ha dato fastidio anche sugli occhi, quindi l'ho potuta usare con costanza.
In generale non ho trovato particolari differenze tra questa schiuma e quella per pelli miste e normali: è una mousse abbastanza soda, che non si affloscia troppo rapidamente e consente un buon massaggio sul viso. Ha un potere detergente devo dire più che buono, al punto che secondo me si adatta proprio a pelli che tendono a produrre sebo e meno a quelle secche.
È forse qui il mio problema: se avessi preso questa Schiuma Alverde per utilizzarla in pieno inverno, quando la mai pelle è più secca, proprio per la sua promessa di dolcezza e delicatezza, non credo mi avrebbe soddisfatto perché al massimo l'avrei potuta usare per la doppia detersione serale. 
Anche da questo punto di vista, nonostante l'azienda la presenti come un prodotto struccante, addirittura del trucco water-proof, non credo che da sola possa fare molto, ma è necessario associarla ad un altro detergente viso.

Quindi questa schiuma detergente Alverde è un promosso a metà: se avete una pelle misto-normale, che non soffre per la presenza di alcool, allora può fare al caso vostro, altrimenti meglio evitare.



Neve Cosmetics Nascondino Double Precision Concealer
Correttore viso doppia mina 
Fair


INFO BOX
🔎 Sito dell'azienda, profumeria, bioprofumeria
💸 €11.90
🏋  0,7 g / 2,1 g
🗺 Italia
⏳ 12 Mesi
🔬 Cruelty Free

Facciamo un salto al 2016, quando in questo post un po' datato ormai vi ho parlato di diversi correttori per il viso, fra cui l'allora famoso Nascondino di Neve Cosmetics, che era contenuto in un barattolino. Col tempo l'azienda ha aggiornato la formulazione e l'ha trasformato in Double Precision un matitone a due mine con due diverse colorazioni e texture: quella più spessa e cremosa, chiamata Creamy Coverage, per coprire le occhiaie, mentre la Total Accuracy, dalla punta più sottile e una consistenza leggermente più asciutta per camuffare imperfezioni mirate.

Quando uscì Nascondino ha avuto anche un buon successo, vista la formulazione naturale, e infatti mi incuriosì fin da subito, ma ammetto che l'ho presa più per sfizio che per reale interesse perché nel tempo la mia filosofia sui correttori viso è cambiata. 

Un tempo infatti una formulazione come questa proposta da Neve mi sarebbe piaciuta moltissimo: questo correttore è infatti composto da oli e cere vegetali, ma anche tocoferolo, estratto di aloe e persino ceramidi, come tocco skincare che non guasta. Si tratta poi di una formula vegana.
Attualmente ammetto che per un correttore viso, magari anche economico, guardo meno all'INCI e più alla performance e alla facilità di utilizzo generale, ma Nascondino ha davvero tante caratteristiche valide.
L'idea di una doppia texture e tonalità ad esempio è davvero una bella idea: la mina più spessa infatti ha un sottotono più caldo per camuffare meglio il violaceo delle occhiaie e la consistenza un po' più idratante per essere più facile da sfumare su una zona così delicata, mentre quella più sottile ha una colorazione vicina all'incarnato e una consistenza un po' più compatta per resistere meglio sulle imperfezioni.

Entrambe le texture si sfumano bene sia con le mani che con un pennello, ma secondo me anche il calore delle mani ne perfeziona la stesura, quindi meglio alternare i due metodi.


La colorazione Fair di Nascondino Double Precision è pensata per pelli chiare e chiarissime, ma secondo me se siete dei fantasmi, sono certo che ormai ci siano correttori molto più chiari. È una tonalità che va bene ad esempio su di me, che sono abbastanza chiaro perché fa un effetto naturale, non va ad illuminare troppo e non crea stacchi. Inoltre credo abbia un sottotono abbastanza neutro ma a leggera tendenza gialla, quindi, anche la Total Accuracy, non ha questa freddezza che alcuni potrebbero ricercare. 
Per la mia necessità la coprenza è buona, direi media, sia su occhiaie che sui rossori, ma non consiglio di stratificarlo troppo, perché può diventare pastosino. Infatti secondo me non è il prodotto ideale per camuffare brufoli, zone secche o con pellicine, perché ha una consistenza più spessa di un correttore liquido che potrebbe evidenziare il problema.

La sua pecca più grande su di me è la durata: anche fissandolo con una cipria, sebbene non mi si incastri in rughe e pieghette, dopo circa 5 ore tende a sparire e far riaffiorare le imperfezioni, nel mio caso quindi non fa pasticci, ma non ha una performance particolare.
Per le mie esigenze un prodotto come questo Concealer Neve Cosmetics ha un altro problema: doverlo temperare. Infatti mi sembra che le mine si consumino abbastanza velocemente e doverle temperare ogni volta o quasi (vi assicuro che sfregare la parte in legno sulla pelle non è piacevole) non solo comporta sempre un po' di spreco, ma è un'operazione che non sempre ho tempo di fare. Se sono di fretta infatti non prendo mai Nascondino, così come non l'ho portato in viaggio. 

Nascondino Double Precision secondo me è un buon prodotto se cercate una formulazione naturale e non avete esigenze particolari, ma solo un ritocco veloce e facile per un uso quotidiano.



Balea Lacca Capelli Tenuta Extra Forte
Resistente al vento


INFO BOX
🔎 dm-drogeriemarkt.it, catene DM
💸 €1.99
🏋 300ml
🗺 Germania
⏳ Scadenza sulla confezione
🔬 //

Ultimo prodotto di questa ondata e spendo due parole su questa lacca per capelli di Balea perché mi ha convinto. Non mi sono soffermato più di tanto sulla formulazione perché mi è bastato leggere che non conteneva siliconi, ma se per voi è importante vi sottolineo la presenza di pantenolo ed un filtro solare per immagino dare una sorta di effetto protettivo dagli UV.
A me faceva sorridere che la definiscono non solo a tenuta Extra Forte, quindi con un livello 7 che per Balea è il più alto, ma anche resistente al vento, e mi sento di confermare.
È una lacca dal getto abbastanza sottile, non troppo concentrato, e con una profumazione piacevole e non troppo pesante e intenso, e senza troppi giri di parole, vi posso dire che è una lacca che letteralmente incolla.

Sembra una connotazione negativa ma l'effetto duraturo di uno spray fissante essenzialmente è dato dalla capacità di tenere insieme i capelli. Non parlo quindi di una lacca dal fissaggio morbido, magari particolarmente volumizzante o elastico, anche se non affloscia i capelli, ma di un prodotto pensato per far stare in piega delle acconciature più statiche e che devono durare diverse ore. Questa lacca Balea io infatti l'ho utilizzata proprio quando sapevo che i miei capelli sarebbero dovuti stare in piega per diverso tempo, o quando li ho più lunghi e pesanti, e di star su non c'è verso, o appunto quando magari c'è vento e pioggia e inevitabilmente i capelli ne risentono.
Mi piace anche che questa Lacca Balea si rimuova con abbastanza facilità, semplicemente pettinando i capelli e senza lasciare residui, tipo quella polverina bianca che molti prodotti per lo styling fanno.

Questo suo potere fissante così forte ha due risvolti negativi: il primo è che contribuisce a sporcare i capelli in anticipo, specie se la si usa tutti i giorni in quantità abbondanti, e la seconda è che un po' li va a seccare. Al tatto infatti risultano un po' induriti e un po' stopposi, motivo per cui il mio uso è sempre stato calibrato e misurato nel tempo, usando magari uno spray più leggero su alcune zone dei capelli e questa lacca Balea in quelle aree in cui necessito maggiore tenuta. 
Considerando il costo, io credo che sia un prodotto ottimo se usato con consapevolezza, e lo riacquisterò.

Le serie tv Netflix più viste del momento: cosa vedere e cosa skippare

Appena aprite il catalogo di Netflix è molto probabile che ancora vi ritroviate queste serie tv di cui sto per parlare nelle prime posizioni della classifica dei più visti del periodo.
Ed erano anche due delle novità che attendevo con più curiosità per questo settembre e che avrei visto a prescindere perché gli argomenti e i generi mi sono affini, ma non per questo è tutto comunque da vedere o recuperare.


The Perfect Couple
Miniserie 

Per tanto, tantissimo tempo  le celebrità di Hollywood hanno evitato di partecipare alle serie tv, ritenendole produzioni inferiori, ma con gli anni le cose sono cambiate. Lo streaming e l'intrattenimento seriale è infatti ormai gestito da colossi e la qualità è generalmente aumentata e così, anche star A-list, sono ormai habitué delle serie tv, e fra questi ormai c'è anche Nicole Kidman.
Da Big Little Lies a The Undoing, da Nine Perfect Strangers a Expats, Nicole è praticamente la regina dei prestige drama, e non poteva che essere la miglior scelta per The Perfect Couple, miniserie disponibile su Netflix dal 5 Settembre, tratta dall'omonimo romanzo di Elin Hilderbrand, che ha avuto un discreto impatto e seguito.

Kidman interpreta Greer Garrison Winbury, rigida scrittrice facoltosa di successo, sposata con Tag Winbury (Liev Schreiber), i quali sembrano avere una famiglia perfetta. Il loro secondogenito Benji (Billy Howle, già bravissimo in Chloe) sta per sposarsi con Amelia (Eve Hewson, che ho visto di recente in Bad Sisters), che viene da una famiglia meno abbiente e tutto sembra pronto per le nozze, quando però la migliore amica della sposa e damigella Merritt (Meghann Fahy) viene trovata morta proprio nella tenuta dei Winbury.

Così si inizia ad investigare, a cercare nelle crepe della famiglia così blasonata e ricca ma così piena di scheletri dell'armadio, dove nessuno in fondo è senza peccato e tutti possono essere colpevoli.

The Perfect Couple ovviamente ci farà scoprire nei suoi sei episodi tutti i sospetti e i possibili moventi, in un giallo che nel suo insieme mi è sembrato piacevole, ben messo insieme, con interpretazioni abbastanza convincenti, con un ritmo che spinge al binge watching senza troppa fatica.

È una miniserie che però non lascia molto, bisogna dirlo: al netto della coreografia iniziale che secondo me non solo è stata pensata per la viralità, ma anche setta l'intento più leggero che la storia vuol avere, The Perfect Couple è una produzione che non si distingue molto da un punto di vista puramente narrativo.

Le vibe alla The White Lotus ma anche alla Knives Out, proprio per quel sapore vagamente ironico che si miscela ad una storia drammatica e gialla appunto, sono troppi forti per poter dare anche solo la parvenza di originalità alla serie. Inoltre non c'è un lavoro particolare sia nello sviluppo della storia che in quello dei personaggi, che risultano racchiusi in un bozzolo di stereotipia. 
Il figlio maggiore dei Winbury, Tom (Jack Reynor), è lo spaccone, mentre sua moglie Abby (Dakota Fanning) si è adattata bene allo stile della famiglia; lo stesso vale per l'amica francese di famiglia Isabel Nallet (una sempre liscissima Isabelle Adjani), un po' naïf, ma in fondo ben sveglia. I genitori invece di Amelia vengono quasi abbozzati come due campagnoli mangia hamburger e patatine. 

Non voglio però che passi solo una impressione negativa di The Perfect Couple perché, sebbene sia skippabile e per quanto sia importante spingere per avere contenuti di qualità, alla fine è una miniserie giusta per il luogo attraverso cui si fruisce, e che non mi ha dato l'impressione di voler rivoluzionare il genere, ma di essere esclusivamente intrattenimento facile da seguire, che sullo sfondo parla anche di disparità socio-economiche e di famiglie disfunzionali e marce, nonostante le apparenze.

Non ci sono chiaramente intenzioni di proseguire con altre stagioni, visto che nasce come una serie limitata, ma sono certo che Nicole non mancherà di presenziare al prossimo gialletto con una ambientazione lussuosa. Speriamo con una parrucca migliore.


Kaos
Miniserie

 
Sulla cima dell'Olimpo c'è una magica città e i suoi abitanti sono le divinità, ma non c'è una bambina che ancora non è dea ma Zeus (Jeff Goldblum) che vive in una mega villa vestito da bibitaro arricchito e che teme l'avverarsi di una profezia che ne comporterebbe la caduta e inizia a spadroneggiare a più non posso, e insieme a lui c'è Era (Janet McTeer) moglie stilosissima, gelosa, ma anche libertina, e Dionisio (Nabhaan Rizwan) che ha preso alla lettera il suo ruolo di dio dei piaceri, passando da una discoteca all'altra, ma con la voglia di essere apprezzato dal padre, come in una qualunque famiglia disfunzionale. 

E poi ci sono i cretesi che sono ancora fortemente legati al culto degli dei, al punto che il loro presidente Minosse (Stanley Townsend), padre di Arianna (Leila Farzad), prende parte a sacrifici umani per questa o quella divinità. Fra questi cretesi seguiamo soprattutto le avventure di Orfeo (Killian Scott) ed Euridice detta "Riddy" (Aurora Perrineau), dove lui è una rock star e lei la sua fidanzata che ha una visione meno disincantata e più di rottura rispetto a questa società così credente e ottusa.

Creata da Charlie Covell, già papà di The End of the F***ing World, Kaos non ha stentato affatto a raggiungere i primi posti della classifica dei più visti di Netflix e si capisce anche perché. L'idea di rimestare i miti greci, con tutto il carrozzone di dei e dee che si portano dietro, non è operazione nuova, visto che già American Gods (che io avevo abbandonato alla seconda stagione) ci aveva provato, ovviamente sfruttando altri culti e storie, e ma Kaos ha dalla sua una scrittura più precisa, puntuale, accurata, che si traduce in una serie molto più avvincente e divertente.

Perché nel suo essere una dark comedy, ha anche i suoi momenti più brillanti, che si basano principalmente sui caratteri dei vari personaggi, che più o meno consociamo dagli anni di scuola.
Covell infatti piega a suo favore il mito greco, non solo rendendolo più contemporaneo e calandolo in una realtà quasi identica alla nostra, ma anche spostando le pedine a suo favore, per creare una storia che funziona anche nei dettagli, e nella cura che mette in scena.

Uno degli obbiettivi di Kaos è però anche toccare temi più grandi, come i rapporti genitoriali, l'amore visto attraverso coppie che non funzionano più, e anche della contrapposizione fra potere religioso e politico rispetto al libero arbitrio. Più in generale c'è una critica rispetto all'élite che si erge come migliore del "popolino" e delle religioni che obnubilano le coscienze.
Tutto bello, ma qui arrivano le mie perplessità, che però non sono così mastodontiche, come ad esempio la scelta delle location, tipo Siviglia utilizzata per rappresentare Creta: bellissimi posti, ma non ci azzeccano forse molto, e sono troppo riconoscibili. 

Nonostante poi abbia "solo" 8 episodi che hanno una buona fluidità e colpi di scena nei punti giusti, Kaos secondo me si perde un po' nella parte centrale, quando il tempo della storia non tiene il passo al tempo del racconto, perdendosi un po' in lungaggini senza un reale scopo. 

Lungi dallo spoilerare, c'è anche un finale che, per quanto non sia completamente aperto, lascia uno spiraglio ad una seconda stagione che però non ci sarà, visto che Netflix ha cancellato il rinnovo.
O ancora, se i miti greci non vi appassionano o vi appassionano troppo potreste trovarvi da un lato a dover seguire una roba che non vi coinvolge, o dall'altro a non apprezzare tutti i cambiamenti fatti per raccontare una storia collaterale alla tradizione greca classica.

Non è un dramma, perché credo che nel suo insieme Kaos sia una delle proposte più interessanti che Netflix ha lanciato da un po' di tempo a questa parte, anche solo per quella curiosità che lascia di riprendere il manuale di mitologia e mettere insieme i pezzi di tutti i rimandi che la serie utilizza.

Maschere e Patch Purificanti al Carbone di Skin Station, le recensioni

Ho pescato un po' nel mio reparto della maschere viso dove ho trovato alcuni trattamenti di Skin Station, una azienda italiana che non provavo da diverso tempo.

Le mie recensioni su questo brand risalgono addirittura a quattro anni fa, e man mano che avevo smaltito le varie maschere, non ne avevo più acquistate se non più di recente. Ho voluto infatti negli ultimi tempi tutta la linea con Carbone Detox, dall'effetto purificante e assorbente del sebo, visto che ancora la mia pelle è mista.

Skin Station ha ben tre diversi trattamenti con questo attivo, con scopi per certi versi differenti e che sono stati piacevoli da usare. Se non lo conoscete, SkinStation è appunto Made in Italy, è prodotta dalla Eurosirel e viene distribuita dal gruppo Gottardo a cui appartiene anche Tigotà.



Skin Station Black Mask Hydrogel
Maschera in Tessuto Hydrogel al Carbone Detox
Purificante Esfoliante


NFO BOX
🔎 Tigotà, Grande Distribuzione
💸 € 2.99
🏋 1 maschera hydrogel
🗺 Made in Italia
⏳  Maschera monouso
🔬 //

Le maschere viso con questo tipo di hydrogel proposto da Skin Station sono un'ottima alternativa per chi non ama le tipiche sheet mask che possono essere gocciolose e troppo cariche di siero. L'azienda la chiama tecnologia Dermo Science Cryo Effect, dove da un lato c'è un supporto in tessuto plastificato e microtraforato e sul lato che va a contatto con la pelle ci sono tutti gli attivi trattenuti da un sottile strato in hydrogel. È una tipologia di trattamento che aderisce perfettamente alla pelle, non casca con facilità, infatti le chiamo "effetto cerotto".

Nel caso della maschera Carbone Detox, gli attivi sono appunto il carbone, che sulla mia confezione non appariva ma immagino sia un errore di stampa, e poi c'è anche camomilla dall'effetto lenitivo, la bava di lumaca che ha un potere rigenerante, oltre alla vitamina E che invece è antiossidante. In più c'è anche glicerina che non fa mai male.
Questa Maschera Hydrogel Skin Station ha un profumo delicato e fresco e non devo spiegarvi io come si utilizza, ma posso dirvi che sebbene si adatti facilmente sul mio viso, non amo quando queste maschere sono intere e non divise in due parti. Infatti questo tipo di hydrogel non è particolarmente elastico e quindi tocca fare sempre dei tagli extra per far in modo che segua e aderisca tutti gli angoli del viso.


Un'altra perplessità è che questa maschera venga definita esfoliante: la bava di lumaca infatti contiene in parte acido glicolico, ma è alla fine un insieme di proteine per cui l'effetto di per sé non è appunto quello di un alfaidrossiacido puro.
A parte queste annotazioni, mi è piaciuto molto usare questa maschera Skin Station perché su di me è certamente idratante, mi ha lasciato la pelle fresca, un po' più luminosa, e anche un pelo più compatta e liscia. Erano davvero pochissimi i residui che mi sono rimasti sul viso, più che alto sui bordi esterni, e mi è bastato un pannetto in microfibra umido per rimuoverli senza dover sciacquare tutto. In generale la mia pelle ha assorbito bene il siero nel giro di circa venti minuti, senza restare appiccicosa e quando dopo un po' ci ho messo su altri sieri e creme non ha creato problemi.

Quando l'ho usata non avevo ad esempio impurità o brufoletti quindi non so dire se l'effetto purificante ci sia, ma ammetto che le maschere in hydrogel (come quelle in tessuto) secondo me sono quelle meno adatte a tale scopo, o per lo meno io lo associo o a qualcosa che riesca fisicamente ad assorbire il sebo, o ad attivi antibatterici come l'acido salicilico.
Per il resto, la Black Mask Hydrogel Skin Station secondo me è adatta, per il suo livello di idratazione ed effetto in generale, a pelli miste, normali e magari leggermente irritate o spente.



Skin Station Patch Punti Neri al Carbone Detox


INFO BOX
🔎 Tigotà, Grande Distribuzione
💸 € 3.99
🏋 8 patch 
🗺 Made in Italia
⏳  Patch monouso
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Nella sua missione di purificare la pelle, Skin Station propone anche dei cerottini anti punti neri che si focalizzano sulle impurità della zona T. In totale sono otto: quattro per il naso mentre due contengono 4 triangolini da applicare su naso e fronte, che però io finisco per adattare sempre al naso.
In questi Patch troviamo acido citrico e acido glicolico per esfoliare e purificare e facilitare quindi l'eliminazione delle impurità.
Sull'uso di questi cerottini anti punti neri Skin Station nessuna novità: si applicano su pelle pulita e si attivano con l'acqua, quindi inumidiamo le aree in cui vogliamo applicarli, e si lasciano asciugare per almeno 15 minuti o fin quando sono asciutti, e quindi si rimuovono delicatamente.
In caso di residui, ma io non ne ho notati in questo caso particolarmente, si sciacquano semplicemente con acqua.



Usare questi Patch Punti Neri Skin Station devo dire che è stato soddisfacente. Intanto non puzzano, cosa che non è scontata per questa tipologia di prodotto, poi sono sottili abbastanza da avere una buona adesione e seguire le forme del viso. E poi trovo che faccia il suo portandosi via punti neri e filamenti sebacei, lasciandomi il naso un po' più pulito ed omogeneo, sebbene però non siamo al livello dei miei preferiti del momento
Ovviamente non aspettatevi che rimuovano tutte le impurità in un solo colpo, perché fino ad adesso non ho trovato un unico prodotto che lo faccia, ma è un insieme di azioni e appunto trattamenti che possiamo utilizzare per cercare di rendere i pori meno dilatati e visibili. E soprattutto serve costanza, specie nelle aree più problematiche.
Inoltre questi cerottini Skin Station non mi hanno mai creato irritazioni o fastidi, e in generale non è doloroso rimuoverli, quindi non posso che darvi la mia approvazione qualora usiate questi tipi di strips e vorreste provare il marchio.


Skin Station Black Mask Peel Off Carbone Detox
Purificante Punti Neri e Impurità


INFO BOX
🔎 Tigotà, Grande Distribuzione
💸 € 1.99 
🏋 15 ml
🗺 Made in Italia
⏳  3 mesi
🔬 //

Credo che la moda delle black mask peel off si sia molto affievolita rispetto ad anni fa perché abbiamo tutti un po' scoperto che, per quanto simpatico spellicolarle dal viso, difficilmente riescono ad avere quella forza, quel grip che consenta loro di tirare via dai pori anche i filamenti sebacei più piccoli. Anche qui sul mio blog ne parlo ormai sempre più raramente perché preferisco investire i miei soldi e quel tempo che impiego per fare la maschera, verso altri trattamenti, eppure questa di Skin Station non è del tutto bocciata.
Si presenta come quel tipico gel nero che sembra lattice liquido e non ha un odore atroce come altre maschere simili. Va stesa su pelle pulita, creando uno strato omogeneo e uniforme e si lascia asciugare, almeno per 20 minuti, o comunque fin quando non è completamente asciutta e risulta appena tirante. Vi consiglio di lasciarla asciugare benissimo perché poi questa tipologia di maschera è più noiosa da rimuovere se non è completamente asciutta.


La Black Peel Off Mask Skin Station contiene ingredienti lenitivi come aloe, allantoina e camomilla, ma anche idratanti come glicerina e acido ialuronico. 
Appena stesa sul viso dà una sensazione di freschezza data sia dall'alcol che dal Menthyl Lactate, ed è gradevole in questo senso tenerla in posa. Una volta asciutta viene via facilmente e senza dolore, ma come dicevo su non è in grado di portarsi via qualche impurità come fanno ad esempio i cerottini, tuttavia ho notato che la pelle resta molto liscia, e anche particolarmente opaca, effetto che resta anche una volta che vado a sciacquare via gli eventuali residui. L'ho infatti usata esclusivamente su fronte e mento per sfruttare questa sua capacità sebo assorbente.

Questa maschera Skin Station ha anche un leggero effetto astringente che quindi mi dà un aspetto più omogeneo e liscio, ma è vero che non è adatta a pelli sensibili. Alla prima applicazione infatti ho notato alcuni rossori, che sono stati temporanei e che non sono diventati irritazione, ma immagino che può diventare un problema per chi ha una pelle reattiva.
La Black Mask Peel Off può essere utile secondo me proprio per chi ha una pelle sebacea e magari vuole variare dalle tipiche maschera a base di argilla. Skin Station ha poi ben pensato di farla in due formati, bustina richiudibile e full size, quindi si può provare senza troppi sprechi. 


Avete notato questo brand da Tigotà?



Beetlejuice e Beetlejuice 2: era necessario un sequel?

Quando uscì nel 1988 non ero ancora nato, ma quando lo vidi negli anni seguenti, Beetlejuice non è riuscito a diventare per me il lavoro di Tim Burton alla quale sono più legato, incapace di superare la poetica di Edward Mani di Forbice, pur riconoscendone l'impatto e trovando quegli elementi più o meno embrionali che saranno la firma del regista da quel momento in avanti.
Con l'uscita del sequel, che prima o poi avrei visto, ho pensato di riprendere in mano proprio il primo Beetlejuice, che probabilmente non vedevo da 10 anni o più, e che tanto trovate su Prime Video, per capire se ancora mi avrebbe suscitato le stesse impressioni.


Genere: commedia, fantastico, grottesco
Durata: 92 minuti
Regia: Tim Burton
Uscita in Italia: 8 Settembre 1988  (cinema)/ Prime Video
Paese di produzione: Stati Uniti

Beetlejuice - Spiritello porcello unisce gotico e grottesco, horror e commedia, prende quei personaggi inquietati e inquietanti dei classici del genere per raccontare una storia di fantasmi, di morti che, in una fila interminabile tipo quella alle poste, aspettano di sapere cosa sarà del loro destino, se uno spirito può averne uno, e di famiglie disfunzionali.

Ma Burton lo mette in scena a modo suo, non ne fa appunto un horror tradizionale, ma ne prende alcuni elementi (quanti film su case infestate da fantasmi erano già usciti anche all'epoca?!) e li rilegge con la sua ottica e il suo estro.
Beetlejuice non è nemmeno un horror da jumpscare, ma più una commedia truculenta che ha pure un ritmo incalzante e coinvolgente, che ti fa arrivare alla fine con un sorriso e tutto sommato con leggerezza. 

A portare avanti tutta la baracca è appunto lo spiritello porcello (una volta tanto i sottotitoli italiani ci azzeccano) di Michael Keaton, che sotto un trucco che ne nasconde quasi completamente l'aspetto, sa essere folle, istrionico, infantile, cattivo e con quella volgarità che ti aspetti da un soggetto del genere.

Catherine O'Hara e Jeffrey Jones sanno invece rappresentare perfettamente Delie e Charles Deetz, coppia di snob troppo egoriferiti per comprendere e supportare la loro figlia Lydia dalle chiare tendenze depressive. Una giovanissima Wynona Ryder riuscirà però, con questo ruolo da adolescente darkettona, ad iniziare una carriera che la renderà uno dei volti più noti nel cinema internazionale e anche dei più riconosciuti della generazione.

Ai Deetz si contrappongono Adam e Barbara Maitland (Alec Baldwin e Geena Davis), novelli sposi e fantasmi che si dimostreranno molto più dolci e accoglienti verso Lydia.

Nonostante le idee originali e innovative, Beetlejuice 1 è però un film che sente i suoi anni, con quegli effetti poco speciali che sembrano fatti di das, con personaggi poco sfaccettati, i momenti di satira limitati e l'assenza di una morale, di un tema, di un dialogo che possa uscire dalla pellicola per restare nello spettatore. È più un buon lavoro giovanile burtoniano, che è diventato un cult per la capacità di creare un mondo forse anche anticipando i tempi. Molto probabilmente oggi la sequenza della cena con "possedimento" sulle note di Day-O di Harry Bellafonte sarebbe rimbalzata su Tik Tok fin da subito, ma all'epoca il termine viralità faceva riferimento solo ad un quadro clinico.

Pare che la genesi di Beetlejuice Beetlejuice non sia recente, un po' come per Hocus Pocus, ma nonostante il tempo passato, in questo sequel le cose non sembrano essere cambiate, o quasi.



Genere: commedia, fantastico, grottesco
Durata: 104 minuti
Regia: Tim Burton
Uscita in Italia: 5 Settembre 2024  (cinema)
Paese di produzione: Stati Uniti

Per questo secondo film Tim Burton ha infatti ripreso tutti i suoi personaggi ed attori, escluso chi è ha qualche problema con la legge raccontandoci cosa gli è accaduto in tutti questi anni.
Lydia, ormai cresciuta, ha conservato la sua capacità di vedere gli spiriti, ma adesso ha "commercializzato" le sue doti con un programma televisivo in cui si parla di improbabili case infestate e paranormale. La sua matrigna continua Delia ha continuato la sua passione per l'arte, creando delle vere e proprie performance, ma c'è anche una nuova generazione della famiglia. Astrid (Jenna Ortega) è infatti la figlia adolescente di Lydia che non solo non crede al potere della madre, è rimasta orfana e le due hanno un rapporto conflittuale, che però saranno costrette ad affrontare con la morte del nonno Charles. Le tre protagoniste si ritroveranno quindi dove tutto è iniziato ed Astrid scoprirà il famoso plastico con cui comunicare con Beetlejuice, ma avrà un altro scontro con la madre che la farà scappare di casa e con l'occasione conoscerà un ragazzo con cui sembra andare molto d'accordo.

A proposito dello spiritello porcello, anche lui non se la passa bene: sembra abbia organizzato la sua agenzia di "bio-esorcisti", ma è perseguitato dalla sua ex moglie Dolores (Monica Bellucci), sebbene sia ancora convinto di voler sposare Lydia. 

Queste sono solo alcune delle tante linee narrative che il sequel di Beetlejuice mette sul tavolo, forse anche troppe per un film che non dura nemmeno due ore e che deve parlare del passato e del presente, fra vecchi e nuovi personaggi. 
Restare in bilico fra omaggi all'originale che possano attirare i fan storici, cercando di portare nuove idee, non è una impresa mai semplice e Burton secondo me non riesce sempre a rispettare questo patto. 
Trova ad esempio un modo coerente per raccontarci la quasi assenza di Jeffrey Jones, accusato di molesti anni fa, ma non spiega una soluzione brillante per l'uscita di Adam e Barbara, i cui fantasmi non potevano invecchiare come gli attori reali.

O ancora, Beetlejuice Beetlejuice suggerisce quella che poteva essere la nascita dello spiritello, con il cameo di Monica Bellucci nei panni di Dolores, ma non ne sviluppa mai bene l'origine, probabilmente per non confondere prequel e sequel.

Tutte queste linee narrative si incrociano bene fra di loro, e tutto il film ha una sua compattezza, un suo senso e un suo modo di intrattenere che non si discosta troppo dall'originale, ma la sensazione è che qualche trama potesse essere lasciata indietro senza azzoppare il film nel suo insieme. L'umorismo nero di Burton in fondo è sempre lì, seppur appannato dagli anni, e sono arrivato ai titoli di coda soddisfatto, seppur consapevole che i tempi sono cambiati e il cinema adesso è diverso.
Penso che con la stessa consapevolezza abbiano scelto di inserire una scena di ballo che richiama il primo film, sapendo che l'impatto mediatico sarebbe stato oggi differente.
Allo stesso modo è più scafata l'idea di inserire una Jenna Ortega, nuova attrice ossessione di Burton dopo Mercoledì, che richiama la Gen Z come mosche sul miele. 

Beetlejuice Beetlejuice non trasmette insomma l'inconsapevolezza del primo film, e non credo fosse un sequel così necessario, specie nell'ottica di non saper rispondere a tutti i dubbi che si creano lasciando indietro alcuni personaggi o storie, e nella voglia di mettere tanta carne al fuoco.
Ma la commedia gotica di Tim Burton è una bella avventura che si lascia guardare e se lo piazzano in streaming in vista del prossimo Halloween potrebbe anche trovare un pubblico folto pronto ad accoglierlo. 



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