Le serie tv Netflix più viste del momento: cosa vedere e cosa skippare

Appena aprite il catalogo di Netflix è molto probabile che ancora vi ritroviate queste serie tv di cui sto per parlare nelle prime posizioni della classifica dei più visti del periodo.
Ed erano anche due delle novità che attendevo con più curiosità per questo settembre e che avrei visto a prescindere perché gli argomenti e i generi mi sono affini, ma non per questo è tutto comunque da vedere o recuperare.


The Perfect Couple
Miniserie 

Per tanto, tantissimo tempo  le celebrità di Hollywood hanno evitato di partecipare alle serie tv, ritenendole produzioni inferiori, ma con gli anni le cose sono cambiate. Lo streaming e l'intrattenimento seriale è infatti ormai gestito da colossi e la qualità è generalmente aumentata e così, anche star A-list, sono ormai habitué delle serie tv, e fra questi ormai c'è anche Nicole Kidman.
Da Big Little Lies a The Undoing, da Nine Perfect Strangers a Expats, Nicole è praticamente la regina dei prestige drama, e non poteva che essere la miglior scelta per The Perfect Couple, miniserie disponibile su Netflix dal 5 Settembre, tratta dall'omonimo romanzo di Elin Hilderbrand, che ha avuto un discreto impatto e seguito.

Kidman interpreta Greer Garrison Winbury, rigida scrittrice facoltosa di successo, sposata con Tag Winbury (Liev Schreiber), i quali sembrano avere una famiglia perfetta. Il loro secondogenito Benji (Billy Howle, già bravissimo in Chloe) sta per sposarsi con Amelia (Eve Hewson, che ho visto di recente in Bad Sisters), che viene da una famiglia meno abbiente e tutto sembra pronto per le nozze, quando però la migliore amica della sposa e damigella Merritt (Meghann Fahy) viene trovata morta proprio nella tenuta dei Winbury.

Così si inizia ad investigare, a cercare nelle crepe della famiglia così blasonata e ricca ma così piena di scheletri dell'armadio, dove nessuno in fondo è senza peccato e tutti possono essere colpevoli.

The Perfect Couple ovviamente ci farà scoprire nei suoi sei episodi tutti i sospetti e i possibili moventi, in un giallo che nel suo insieme mi è sembrato piacevole, ben messo insieme, con interpretazioni abbastanza convincenti, con un ritmo che spinge al binge watching senza troppa fatica.

È una miniserie che però non lascia molto, bisogna dirlo: al netto della coreografia iniziale che secondo me non solo è stata pensata per la viralità, ma anche setta l'intento più leggero che la storia vuol avere, The Perfect Couple è una produzione che non si distingue molto da un punto di vista puramente narrativo.

Le vibe alla The White Lotus ma anche alla Knives Out, proprio per quel sapore vagamente ironico che si miscela ad una storia drammatica e gialla appunto, sono troppi forti per poter dare anche solo la parvenza di originalità alla serie. Inoltre non c'è un lavoro particolare sia nello sviluppo della storia che in quello dei personaggi, che risultano racchiusi in un bozzolo di stereotipia. 
Il figlio maggiore dei Winbury, Tom (Jack Reynor), è lo spaccone, mentre sua moglie Abby (Dakota Fanning) si è adattata bene allo stile della famiglia; lo stesso vale per l'amica francese di famiglia Isabel Nallet (una sempre liscissima Isabelle Adjani), un po' naïf, ma in fondo ben sveglia. I genitori invece di Amelia vengono quasi abbozzati come due campagnoli mangia hamburger e patatine. 

Non voglio però che passi solo una impressione negativa di The Perfect Couple perché, sebbene sia skippabile e per quanto sia importante spingere per avere contenuti di qualità, alla fine è una miniserie giusta per il luogo attraverso cui si fruisce, e che non mi ha dato l'impressione di voler rivoluzionare il genere, ma di essere esclusivamente intrattenimento facile da seguire, che sullo sfondo parla anche di disparità socio-economiche e di famiglie disfunzionali e marce, nonostante le apparenze.

Non ci sono chiaramente intenzioni di proseguire con altre stagioni, visto che nasce come una serie limitata, ma sono certo che Nicole non mancherà di presenziare al prossimo gialletto con una ambientazione lussuosa.


Kaos
Miniserie

 
Sulla cima dell'Olimpo c'è una magica città e i suoi abitanti sono le divinità, ma non c'è una bambina che ancora non è dea ma Zeus (Jeff Goldblum) che vive in una mega villa vestito da bibitaro arricchito e che teme l'avverarsi di una profezia che ne comporterebbe la caduta e inizia a spadroneggiare a più non posso, e insieme a lui c'è Era (Janet McTeer) moglie stilosissima, gelosa, ma anche libertina, e Dionisio (Nabhaan Rizwan) che ha preso alla lettera il suo ruolo di dio dei piaceri, passando da una discoteca all'altra, ma con la voglia di essere apprezzato dal padre, come in una qualunque famiglia disfunzionale. 

E poi ci sono i cretesi che sono ancora fortemente legati al culto degli dei, al punto che il loro presidente Minosse (Stanley Townsend), padre di Arianna (Leila Farzad), prende parte a sacrifici umani per questa o quella divinità. Fra questi cretesi seguiamo soprattutto le avventure di Orfeo (Killian Scott) ed Euridice detta "Riddy" (Aurora Perrineau), dove lui è una rock star e lei la sua fidanzata che ha una visione meno disincantata e più di rottura rispetto a questa società così credente e ottusa.

Creata da Charlie Covell, già papà di The End of the F***ing World, Kaos non ha stentato affatto a raggiungere i primi posti della classifica dei più visti di Netflix e si capisce anche perché. L'idea di rimestare i miti greci, con tutto il carrozzone di dei e dee che si portano dietro, non è operazione nuova, visto che già American Gods (che io avevo abbandonato alla seconda stagione) ci aveva provato, ovviamente sfruttando altri culti e storie, e ma Kaos ha dalla sua una scrittura più precisa, puntuale, accurata, che si traduce in una serie molto più avvincente e divertente.

Perché nel suo essere una dark comedy, ha anche i suoi momenti più brillanti, che si basano principalmente sui caratteri dei vari personaggi, che più o meno consociamo dagli anni di scuola.
Covell infatti piega a suo favore il mito greco, non solo rendendolo più contemporaneo e calandolo in una realtà quasi identica alla nostra, ma anche spostando le pedine a suo favore, per creare una storia che funziona anche nei dettagli, e nella cura che mette in scena.

Uno degli obbiettivi di Kaos è però anche toccare temi più grandi, come i rapporti genitoriali, l'amore visto attraverso coppie che non funzionano più, e anche della contrapposizione fra potere religioso e politico rispetto al libero arbitrio. Più in generale c'è una critica rispetto all'élite che si erge come migliore del "popolino" e delle religioni che obnubilano le coscienze.
Tutto bello, ma qui arrivano le mie perplessità, che però non sono così mastodontiche, come ad esempio la scelta delle location, tipo Siviglia utilizzata per rappresentare Creta: bellissimi posti, ma non ci azzeccano forse molto, e sono troppo riconoscibili. 

Nonostante poi abbia "solo" 8 episodi che hanno una buona fluidità e colpi di scena nei punti giusti, Kaos secondo me si perde un po' nella parte centrale, quando il tempo della storia non tiene il passo al tempo del racconto, perdendosi un po' in lungaggini senza un reale scopo. 

Lungi dallo spoilerare, c'è anche un finale che, per quanto non sia completamente aperto, lascia uno spiraglio ad una seconda stagione che ancora non è stata confermata. 
O ancora, se i miti greci non vi appassionano o vi appassionano troppo potreste trovarvi da un lato a dover seguire una roba che non vi coinvolge, o dall'altro a non apprezzare tutti i cambiamenti fatti per raccontare una storia collaterale alla tradizione greca classica.

Non è un dramma, perché credo che nel suo insieme Kaos sia una delle proposte più interessanti che Netflix ha lanciato da un po' di tempo a questa parte, anche solo per quella curiosità che lascia di riprendere il manuale di mitologia e mettere insieme i pezzi di tutti i rimandi che la serie utilizza.

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