Vi avevo anticipato nel recap di Agosto che ero rimasto indietro con le recensioni delle serie tv che stavo seguendo, complici una sequela di deviazioni dal pc. Ma intanto spunto un paio di caselline con due serie tv Netflix che ho appunto terminato, e vediamo cosa mi è piaciuto e cosa no.
Hostage
Miniserie
Creata da Matt Charman (che magari non vi dirà nulla ma era stato sceneggiatore de Il Ponte delle Spie) Hostage è arrivata su Netflix il 21 Agosto, diventando una delle serie tv più viste ma che a me ha subito attirato per la sua protagonista, interpretata da Suranne Jones, attrice ottima che io ho conosciuto in particolare con Gentleman Jack.
Jones indossa i panni di Abigail Dalton, una prima ministra inglese che sta attraversando una impasse politica non da poco: non sta riuscendo a mantenere le promesse fatte in campagna elettorale e il suo paese sta attraversando una grossa crisi sanitaria a causa di alcuni farmaci irreperibili. Così chiede aiuto alla sua controparte francese, la presidente Vivienne Toussaint (Julie Delpy, The Lesson) che invece è in piena campagna elettorale. A circostanze già complesse si aggiunge un problema che fa precipitare Downing Street nel caos, visto che il marito di Dalton, il dottor Alex Anderson (Ashley Thomas) viene fatto prigioniero in Ghana durante una missione per Medici Senza Frontiere.
Toussaint offrirà il suo appoggio a Dalton, essendo il Ghana un territorio francese, ma entrambe si ritroveranno in un fuoco incrociato e sotto scacco di un ricatto che ha origini ignote.
Se il cast è stata la spinta a vedere Hostage, è stata la storia a farmi proseguire, convincendomi per la maggior parte del tempo. Seguendo lascamente le orme di The Diplomat, la serie è un thriller politico che cerca di attualizzarsi con alcune tematiche, come la crisi climatica e le difficoltà sociali e di sicurezza che tutti i paesi stanno attraversando da anni.
Emergenza sanitaria, terrorismo, ma anche problemi di politica estera, e la necessità di non creare un precedente che possa destabilizzare le democrazie mondiali. Hostage però pone attenzione alla prospettiva di chi si trova nella sala dei bottoni, in questo caso due donne che devono lottare per mantenere il proprio ruolo e che portano il peso della solitudine di una posizione a tratti scomoda.
A rendere questi temi credibili ci pensano due brave interpreti, che hanno la maturità necessaria per i rispettivi ruoli.
Questa serie tv Netflix funziona però anche grazie al suo ritmo, e al fatto che, quando la trama si intreccia e si arricchisce di altri colpi di scena e snodi, tutto risulta comunque comprensibile. La durata di soli cinque episodi contribuisce a rendere Hostage facilmente approcciabile.
Tutto questo ha però un costo che la piattaforma non ci sconta, e che purtroppo finisce per rendere la serie piacevole ma non insuperabile o particolarmente indimenticabile.
In un quadro di verosimiglianza infatti ci sono più di qualche momento in cui tocca mettere da parte il realismo e accontentarsi del fatto che lo sceneggiatore stia forzando le cose per movimentare la storia.
Inoltre la centralità del duo Dalton/Toussaint e la durata generale, fanno sì che alcune linee narrative siano abbozzate e i personaggi secondari risultino poco più che figuranti, come ad esempio il ruolo di Corey Mylchreest (Il mio anno a Oxford) o di Isobel Akuwudike nei panni di una insopportabile figlia della prima ministra.
Tocca quindi prendere Hostage per quello che è: una produzione di intrattenimento, con buoni spunti contemporanei ma con qualche problema di scrittura.
She The People / Miss Governor
Prima stagione / Seconda Parte
Il 14 agosto sempre su Netflix è arrivata anche la seconda parte di She The People, comedy prodotta da Tyler Perry che tutto sommato mi aveva convinto, come vi raccontavo qui. A vincere qui è lo stile leggero e rapido, quasi da sit-com, che ci porta fra le tante difficoltà che deve affrontare Antoinette Dunkerson (Terri J. Vaughn) diventata la prima vicegovernatrice afro discendente del Mississippi, quindi in un ambiente conservatore e a tendenza bianca.
La seconda parte di She The People, che ha improvvisamente (forse a seguito di una causa legale) quanto inutilmente cambiato titolo in Miss Governor, ci riporta in alcune di queste dinamiche tossiche che spesso finiscono per cacciare nei guai la governatrice, il tutto però con l'intento di provocare una risata. Peccato che però questi nuovi episodi rivelino tutte le problematiche di una serie tv che non vuole trovare una sua profondità.
Infatti 16 episodi, per quanto non raggiungano la mezz'ora ciascuno, sono a mio avviso troppi per questa tipologia di serie tv, e tocca sorbirsi situazioni e sketch che alla fine si ripetono e che non portano poi a nulla di nuovo. Pensavo che infatti, visto anche il cambio di titolo, la protagonista finisse per avere un altro ruolo e quindi altre difficoltà, ma questo switch non avviene mai del tutto.
Antoinette inoltre mi era sembrata l'ago della bilancia della sua carriera: seppur circondata, suo malgrado, da una serie di collaboratori poco professionali, lei doveva essere quella che porta tutto ad un piano di maggiore serietà e concretezza. Alla fine purtroppo questo non capita, e alla lunga risulta ridicolo.
Le situazioni strampalate e i personaggi caricaturali che troviamo in Miss Governor non sono per me il massimo della comicità e quindi potete immaginare la sensazione nel doversi sorbire sempre le stesse circostanze per così tante puntate.
Sebbene capisca l'urgenza di satirizzare un argomento serio e complesso come il razzismo istituzionale, credo che Miss Governor/She The People collassi un po' in questo intento, e questa seconda parte non aveva nemmeno tanto di nuovo da raccontare. Ad oggi non ho letto alcuna conferma per il rinnovo di una vera e propria seconda stagione, ma personalmente non fremo per proseguire.
Come quindi compagnia che non richiede troppa attenzione, questa serie tv può andar bene, se però cercate anche solo la parvenza di profondità, lasciate perdere.
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