|Sotto la copertina|
Li ho apprezzati, ma non mi sono innamorato di queste storie

Vorrei farlo diventare prima o poi un appuntamento mensile, ma intanto Sotto la Copertina torna con tre nuovi libri che ho terminato. Già il titolo questa volta vi suggerisce che si tratta di romanzi che mi hanno comunque preso, ma di cui alla fine non mi sono del tutto innamorato.


Isabel Allende - Il mio nome è Emilia del Valle 


Titolo originale: Mi nombre es Emilia del Valle 
Genere: narrativa, storico
Editore: Feltrinelli
Pagine: 320
Data di pubblicazione: Maggio 2025
Prezzo: €25/ ebook €11.99

Ogni nuovo libro della prolifica Isabel Allende si fa sempre notare, ma mi sono reso conto che sono trascorsi 5 anni dall'ultima volta in cui avevo letto qualche sua produzione e quindi ho voluto recuperare con Il mio nome è Emilia del Valle
Ammetto che La città degli spiriti non mi aveva convinto del tutto, ed invece questo nuovo romanzo è stata una piacevole lettura.

Il mio nome è Emilia del Valle ci porta a San Francisco, verso la seconda metà dell'800, dove conosciamo appunto Emilia del Valle Walsh, figlia della volitiva Molly Walsh. Subito scopriamo che la donna è stata sedotta da giovane da un aristocratico cileno, quando stava per diventare suora, e da questa unione nacque proprio Emilia, che da sempre saprà il nome del suo vero padre. 

A crescerla, oltre alla madre, ci sarà però il suo "papo" adottivo, che non solo istruirà Emilia, ma la spingerà ad essere coraggiosa, testarda e sveglia. Proprio con questa tempra la ragazza inizia a scrivere dei brevi racconti con uno pseudonimo maschile, visto che le donne non venivano prese sul serio al di fuori del focolare domestico. E da lì Emilia Del Valle si farà strada diventando la prima giornalista donna del San Francisco Examiner, riuscendo persino a convincere il suo editore a prendere parte ad una missione molto complessa: diventare una inviata e raccontare il dramma della guerra civile in Cile del 1891.

C'è davvero tanto ne Il mio nome è Emilia del Valle: sembra partire come un romanzo di formazione, con la giovane protagonista che si scopre sia in ambito privato che lavorativo, passando verso una lunga parentesi storiografica della guerra in Cile, che Allende approfondisce nelle sue dinamiche. Di mezzo c'è anche la tematica della famiglia, sia essa naturale o qualche modo per scelta, e ovviamente l'amore, che Emilia conoscerà nonostante le sue reticenze.
È insomma un romanzo che ti porta in una avventura a tratti dolorosa, ma sostenuta sempre da un personaggio femminile forte, indipendente, coraggioso, ma anche riflessivo che si tuffa nella vita a pieno e che cerca le sue radici senza la paura di restare delusa. Una protagonista a cui ci si affeziona in qualche modo, anche nelle scelte meno positive. 

La scrittura di Isabel Allende rende la lettura molto piacevole, scorrevole per buona parte dei capitoli, e sa essere dettagliata ma non ridondante, io infatti ho letto tutto il romanzo nel giro davvero di poco tempo.
L'unico aspetto che mi ha rallentato a volte sono i resoconti dalla guerra che Emilia invia al giornale per cui lavora: sembrano infatti quasi una ripetizione di quello che la stessa protagonista racconta a noi lettori. Avrei voluto inoltre che alcune parti avessero qualche approfondimento in più: c'è un momento in particolare in cui la protagonista confessa una parte del suo passato ad un altro personaggio e questo dovrebbe essere un passaggio delicato, intenso ed emotivo. Invece Isabel Allende lo risolve quasi improvvisamente, togliendo parte del romanticismo, ma anche delle sfaccettature emotive della sua storia e dei suoi protagonisti.
È per questo che Il mio nome è Emilia del Valle non mi ha fatto innamorare: per quanto ben scritto non scatta poi mai del tutto empatia per la sua protagonista. 


Andrea Bajani - L'anniversario


Genere: narrativa
Editore: Feltrinelli
Pagine: 128
Data di pubblicazione: Gennaio 2025
Prezzo: €15 ebook €10.99


Vincitore del Premio Strega, Andrea Bajani sta cavalcando le classifiche dei libri più letti da diverso tempo con L'anniversario, che definire romanzo non è forse del tutto corretto. Sembra quasi un lungo diario, una autoanalisi psicologica in cui vengono esposte le dinamiche sottili di una famiglia disfunzionale. Le definisco "sottili" proprio perché non si parla di un contesto degradato, magari legato alla malavita, ma di una famiglia all'apparenza comune ma che in realtà nasconde una quotidianità difficile, all'ombra di un padre autoritario, violento non solo fisicamente ma soprattutto psicologicamente. Un uomo che purtroppo ha potuto mettere le sue radici marce in un terreno morbido, avendo sposato una donna che si è annientata fino a scomparire pur di stargli accanto. L'unica salvezza per un figlio in questo caso è quello di tagliare tutti i ponti con la famiglia di origine, cercare di elaborare i traumi per poter andare avanti.

L'anniversario di Andrea Bajani mi ha fatto scoprire uno scrittore dallo stile preciso, che calibra bene le parole, a volte asciutto, altre più approfondito. Il suo è un romanzo che parte sicuramente dal singolo, forse dal biografico, per universalizzarsi e trovare in altre famiglie magari anche solo pezzi di quello che accade in casa del protagonista. Indubbiamente sono tematiche che purtroppo colpiscono molti proprio perché, come accennavo, non si tratta di un contesto fuori apparentemente dalla norma, ma di situazioni piccole che però scavano a fondo. 
In maniera meno diretta si parla ovviamente anche di salute mentale, e di uomini che sono lo specchio del patriarcato, incapaci di guardare in faccia le proprie fragilità e incapacità emotive. 

Il fatto è che però L'anniversario sembra appunto un lungo, intimo, monologo, che si tiene lontano dal dare dare giudizi, e alla fine risulta freddo, a volte anche ridondante. È come se Andrea Bajani abbia preso qualche avvenimento, come ad esempio l'istallazione di un telefono in casa, e ci abbia ricamato attorno anche troppo. Un approccio che capisco se sei dentro alle cose, ma che funziona meno se sei esterno.

Lo stesso protagonista sembra quasi uno spettatore della sua vita, ma io solo a tratti ho capito cosa provasse, o che reazioni potesse avere di fronte ad un padre del genere. Ma anche sua sorella, che viene definita come quella che cerca di tenere testa al padre-padrone, ma non si capisce mai bene cosa faccia per attuare la sua ribellione.
Ho avuto poi l'impressione che L'anniversario di Andrea Bajani tenti di rendere il concetto di allontanamento dalla famiglia di origine quasi come se sia una situazione rarissima e che quindi lo scrittore stia raccontando qualcosa di unico. Purtroppo però non è così.
Mi spiace dirlo, ma alla fine, anche in questo caso, pur capendo razionalmente cosa vuol raccontare L'anniversario, l'impatto emotivo è stato al di sotto delle mie aspettative. 



Angela Marsons - Una mente assassina 


Titolo Originale: Killing Mind
Genere: poliziesco, thriller
Editore: Newton Compton Editori
Pagine: 384
Data di pubblicazione: Gennaio 2025
Prezzo: copertina rigida € 12.20 / ebook € 6.99


A proposito di scrittrici, era dal 2019 che non leggevo uno dei tanti romanzi della regina del giallo inglese Angela Marsons, che ha creato una vera e propria saga sulla detective Kim Stone. Io ho fatto un percorso tutto mio, partendo dal primo libro, Urla nel silenzio, per arrivare all'ultimo, Una mente assassina, ma saltando tutto quello che sta in mezzo.

In questo caso, l'ispettore Stone, che abbiamo appunto conosciuto nel primo romanzo sarà impegnata nello scoprire chi ha ucciso la giovane Samantha Brown, la quale sembra essersi suicidata, tagliandosi la gola, ma qualcosa non quadra. Kim intuisce infatti che la scena del crimine ha una nota stonata, e i signori Brown non si dimostrano subito particolarmente collaborativi nel cercare chi può aver ucciso la figlia. La verità è che Samantha era coinvolta in qualcosa più grande di lei, da cui stava cercando di scappare: una setta, la Unity Farm, che adesca persone fragili per farne degli adepti. 


Ho letto Una mente assassina proprio durante l'estate, perché credo che i gialli di Angela Marsons siano i classici romanzi che vanno bene sotto l'ombrellone, non solo per le storie che raccontano, ma anche per la struttura stessa dei libri. Infatti i singoli capitoli sono molti ma brevi, creando così nel lettore sempre più curiosità e rendendo il tutto più scorrevole. A questo si aggiunge uno stile di scrittura molto chiaro e approcciabile.
Il fulcro in questo caso è farci entrare nel mondo delle sette, non per forza legate ad un culto, e alle dinamiche al loro interno.
Il romanzo però ha ben due casi da sciogliere, scelta che in verità non ho amato moltissimo. La seconda linea narrativa, che ruota più intorno all'agente Bryant, e quindi ci dà un quadro sul suo approccio, porta secondo me un po' di squilibrio, con il caso più importante che prende più il sopravvento, rendendo l'altro troppo collaterale. 

Questo nuovo romanzo di Angela Marsons è comunque legato ad una indagine autonoma, quindi ho potuto fare quel salto dal primo libro proprio perché comunque conoscevo già il detective Stone e i suoi modi di lavorare. In Una mente assassina in effetti Kim risulta quasi in disparte, non c'è una evoluzione caratteriale, che immagino sia avvenuta nei tanti libri precedenti. Resta sempre una donna decisa, testarda, capace e con quel guizzo intuitivo che la aiuta sul lavoro.

Pare che la scrittrice abbia già un nuovo romanzo sempre con protagonista Kim Stone, intitolato Un grido fatale, e probabilmente lo leggerò la prossima estate.



Ci rileggiamo presto per un'altra puntata di Sotto la Copertina.





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Paula's Choice Barrier Protect Mineral Sunscreen SPF 30, TOP o FLOP?

L'estate è ufficialmente uscita di scena, ma l'attenzione al sole deve comunque restare alta anche in altre stagioni, anzi secondo me un po' sottovalutiamo i raggi solari durante l'inverno. Io sono contro qualunque allarmismo o estremismo, ma comunque continuo ad utilizzare l'SPF tutto l'anno, semplicemente cercando le formule giuste più adatte ai cambiamenti che può fare la mia pelle.

Così ho pensato che fosse arrivato il momento di mettere alla prova il Barrier Protect Mineral Sunscreen SPF 30 di Paula's Choice.


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🗺 Made in USA
⏳ 12 Mesi
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È la quarta protezione solare del brand che provo e ho pensato che potesse essere adatta alla mia pelle in un periodo più fresco per due fattori. Il primo è il livello di SPF: nella stagione più fresca infatti possiamo usare un fattore di protezione 30, che è comunque alto e performante, e generalmente risulta più leggero sulla pelle. 
Il secondo aspetto è che il Barrier Protect Mineral Sunscreen viene presentato da Paula's Choice come un solare delicato, idratante e lenitivo, quindi in linea con le caratteristiche che un prodotto deve avere per me durante l'autunno.

In questo caso, la sua delicatezza è data dalla presenza di soli filtri fisici inorganici (che no, non schermano e basta la pelle, lo ripeto), cioè biossido di titanio e ossido di zinco, entrambi ad ampio spettro (UVB + UVA) e in forma nano così da ridurre il white-cast.

Com'è consuetudine per Paula's Choice, anche in questo solare troviamo attivi che si prendono cura della pelle: ci sono umettanti come glicerina, trealosio e inulina, ma anche emollienti leggeri come l'olio di jojoba, di semi di lino e di echium. C'è poi una combo di antiossidanti quali il tocoferolo e un derivato della vitamina C, e tanti attivi condizionanti per la pelle. Da sostanze lenitive come allantoina e centella, ad un vero e proprio probiotico, l'alfa-glucano oligosaccaride, che nutre il microbiota cutaneo e quindi lo rinforza. 

Da questa descrizione secondo me si può già capire che il Barrier Protect Mineral Sunscreen SPF 30 non può che essere una emulsione, abbastanza soffice e molto facile da stendere, e che a tutti gli effetti può sostituire la crema idratante per il giorno. Inoltre non ha profumazione aggiunta, anzi io non ci sento proprio alcun odore, in linea con le esigenze di pelli sensibili. 
Un'altra cosa secondo me deducibile è che, sebbene Paula's Choice lo indichi come un prodotto adatto a tutti i tipi di pelle, secondo me non è così: la presenza di oli già lo rende meno adeguato per pelli grasse o miste, specie quando le giornate sono ancora un po' umide e calde.

Devo però ammettere che sono rimasto piacevolmente sorpreso dalla texture di questo solare viso perché si stende molto bene e tutto sommato fa davvero pochissima patina bianca, che tra l'altro si attenua ulteriormente dopo qualche minuto sul viso. Credo che solo le pelli più scure possano avere difficoltà a farlo funzionare sulla propria pelle, perché su di me non ho visto stacchi, né mi è sembrato che si accumulasse fra sopracciglia e peli del viso.

Inoltre il Barrier Protect Mineral Sunscreen SPF 30 mi è sembrato leggero sul viso, non lo percepisco, ed è stato semplice integrarlo nella mia routine: non ho notato ad esempio pilling o strane interazioni con gli altri prodotti che utilizzo. Funziona bene anche come base per il trucco ma devo fare una precisazione, che è anche la criticità di questo solare Paula's Choice ovvero il suo finish lucido.

È uno di quei prodotti che su di me tende un po' a restare sulla superfice della cute, risultando più luminoso. Di conseguenza secondo me è una protezione solare che, come dicevo, va bene per pelli un po' più secche, mature, che assorbono e accolgono meglio una crema del genere.

Su di me ad esempio sento il bisogno di mattificare con una cipria, ma devo ammettere che nel corso delle ore il Barrier Protect Mineral Sunscreen resta comunque confortevole, non si appesantisce né diventa fastidioso durante la giornata. Certamente lo avrei trovato meno gradevole durante la stagione calda, ma adesso posso apprezzarlo meglio.

Mi sento poi di confermare la delicatezza promessa visto che non mi dà fastidio sul contorno occhi, né mi ha creato irritazioni nel tempo.

Paula's Choice non fa riferimento ad una eventuale resistenza all'acqua di questo solare, e infatti io lo trovo abbastanza facile da rimuovere, anche se preferisco fare una doppia detersione per essere sicuro che tutto il prodotto è venuto via. Una volta rimosso, ho notato che il Barrier Protect Mineral Sunscreen non agisce né in negativo né in positivo sulla mia pelle: non lo trovo idratante o essiccante.
Non posso quindi definirlo un flop perché ha aspetti positivi che secondo me possono piacere a molti, ma ammetto che non è uno di quei solari che comunque riacquisterei, sia perché preferisco prodotti che posso usare tutto l'anno, sia perché ormai ho trovato la mia quadra con i filtri chimici.

Voi l'avete provato?




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Due belle Serie Tv da vedere su Paramount + (già rinnovate)

Ammetto che aver saputo del rinnovo da parte di Paramount+ per una seconda stagione, mi ha spinto a recuperare queste serie tv uscite nel corso del 2025. Erano titoli che mi incuriosivano già ma, rallentato dalla mole delle produzioni Netflix, avevo bisogno di sapere che fossero dei progetti più strutturati per lanciarmi. E alla fine mi hanno convinto.



Mobland 
Prima stagione


Dal 30 maggio al 18 Luglio di quest'anno su Paramount+ è arrivata la prima stagione di Mobland, scritta da Ronan Bennett (già padre di The Day of the Jackal) e prodotta da Guy Ritchie, due nomi che già settano più o meno il tono della serie.

Conosciamo infatti Conrad Harrigan (Pierce Brosnan), potente boss del mondo del narcotraffico, e sua moglie Maeve (Helen Mirren), i quali però sono sempre in contrasto col altre famiglie rivali, in particolare gli Stevenson che vogliono spodestarli nei traffici internazionali. Al loro fianco c'è Harry Da Souza (Tom Hardy) un problem solver spietato e meticoloso che cerca di far restare a galla gli Harrigan, visto che i loro figli e nipoti sono poco più che inetti. Il secondogenito di Conrad e Maeve, Kevin (Paddy Considine, House of The Dragon, Deep Cover) ad esempio non ha il polso per dirigere gli "affari di famiglia", ma sarà soprattutto suo figlio Eddie (Anson Boon), scapestrato, viziato e ribelle, a scatenare una vera guerra fra bande. 

Non mi serve proseguire con la trama di Mobland perché il concetto è chiaro: si tratta della tipica serie tv in stile Guy Ritchie con violenza, scazzottate, colpi di scena, tradimenti e lotte fra famiglie essenzialmente malavitose e mafiose. Potrei dire una versione meno ironica, più drammatica e sanguinolenta di The Gentlemen, che però funziona proprio perché spunta tutte le caselline delle qualità del suo genere specifico e si rivolge ad un pubblico di appassionati. 

Tutti coloro che invece non amano il contesto tracciato da Mobland potrebbero trovarla tutto sommato poco originale e non così eclatante, e non mi sentirei di dargli torto. 
Infatti questa serie tv Paramount+ non punta ad un intreccio narrativo rivoluzionario, ma sfama tutti coloro che vogliono tensione e quell'accumularsi di fuocherelli che poi portano alla deflagrazione. 
Un gioco ad incastri fatto di voltafaccia e lotte di potere che poi sfociano appunto in momenti di suspense.


Io ad esempio non sono un fan dell'ipermachismo di Guy Ritchie, né amo troppo la violenza sullo schermo ma questa prima stagione di Mobland mi ha intrattenuto esattamente come mi aspettavo, e soprattutto mi sono fatto coinvolgere dal cast perfetto.

Infatti il merito della riuscita di questa serie secondo me è in buona parte dovuto agli attori coinvolti. Sebbene siano a tratti quasi iperboliche, le caratterizzazioni sono precise e subito riconoscibili, senza bisogno di approfondire i singoli personaggi. In effetti Mobland non tenta nemmeno di raccontare delle dinamiche psicologiche sottili o una qualche evoluzione dei protagonisti: non si scava davvero a fondo, ma è come se ogni carattere trovasse la sua espansione nel corso dei 10 episodi.

L'accoppiata Brosnan/ Mirren - che mi ha fatto strano ritrovare in ruoli completamente diversi in Il Club dei Delitti del Giovedì - ad esempio è perfetta nell'oscillare fra una innata cattiveria e una buona dose di follia, esattamente come ci si aspetta dai "villain". Due attori comunque che hanno saputo fare della loro maturità un punto di forza nelle loro interpretazioni. 

Anche Tom Hardy è perfetto nei panni del freddo Harry, che però nel privato diventa quasi tenero, bilanciato anche dalla presenza di sua moglie Jan (interpretata da Joanne Froggatt, Downton Abbey) forse l'unica sana di testa fra tutti i personaggi.

Anche da un punto di vista tecnico/scenografico, l'impatto visivo è forte e curato.
Mobland non sarà quindi il capolavoro dell'anno, nel suo essere imprevedibile non è sempre sorprendente, però risponde direttamente ad una esigenza specifica e per questo va più che bene. La seconda stagione ha ancora molto da esplorare quindi la seguirò.



Matlock 
Prima stagione

Cambia del tutto il tono con Matlock, serie tv arrivata su Paramount+ dal 27 Luglio con protagonista una grande Kathy Bates.

Non è un sequel o un reboot della serie tv degli anni '80 con Andy Griffith, ma qui Madeline "Matty" Matlock (Bates appunto) è una adorabile avvocata di 75 anni che sembra voler tornare a svolgere il suo lavoro dopo decenni di assenza dalle aule di tribunale. Così Matty si intrufola nel grande studio legale Jacobson Moore attirando l'attenzione dell'ambiziosa avvocata Olympia (Skye P. Marshall) e del suo forse ex marito Julian (Jason Ritter), che è anche figlio del fondatore dello studio, Howard Markston (Beau Bridges).
Matty si dimostra subito esperta, attenta, volitiva, empatica ma soprattutto scaltra nell'usare la sua aria da docile nonnina a suo vantaggio. Tuttavia il suo percorso non sarà semplice, non solo perché deve risolvere casi su cui non sempre ha la giusta intuizione, ma perché nasconde un segreto. In realtà Matlock sta infatti cercando informazioni sulla morte di sua figlia, vittima della epidemia di oppioidi. 

Non credo di aver mai visto la serie tv originale, ma penso di poter dire con quasi certezza che la nuova Matlock sia completamente autonoma da un punto di vista narrativo. Si tratta di un legal drama procedurale abbastanza tradizionale, con i vari casi legali che nel corso degli episodi devono essere risolti, ma con una linea narrativa orizzontale che comunque continua a dare colpi di scena fino alla fine. 

Matlock ha sicuramente dei toni soft, anche quando si occupa di tematiche complesse come ingiustizie a più livelli o appunto dei problemi legati a droga e corruzione, ma la stessa protagonista è l'emblema di una questione più complessa. Matty/Madeline è infatti una donna in età matura che, almeno sulla carta, ha ancora necessità di lavorare, ma che per molti risulta invisibile proprio perché considerata anziana. Lei ne fa un'arma di attacco, sfruttando questa sua "trasparenza sociale", e la stessa Kathy Bates si mette in gioco con autoironia in questo ruolo che le calza come un guanto. L'attrice dice che si tratta dell'ultimo ruolo che intende interpretare prima di un possibile pensionamento, ma è comunque una parte che la sta facendo risaltare in un range ampio di sfumature.

Come anticipavo Matlock a volte ha quasi le sembianze di una dramedy, può essere anche molto leggera, qui e lì inserisce qualche storyline secondaria romantica, si parla spesso di amicizia e i dialoghi a volte sono leggeri.
Questo significa che se cercate un legal teso e denso, potrebbe non fare per voi, ma secondo me gli aspetti da tenere in considerazione sono altri.

Parliamo infatti di una prima stagione composta da 19 episodi, tutti con un buon ritmo, ma in effetti tocca ammettere che non siamo più abituati a serie tv così lunghe. Inoltre capita che Matlock richieda di mettere da parte un po' la razionalità, visto che la protagonista sembra sempre un passo avanti a tutti, quasi prevedesse ogni singola mossa dei suoi colleghi. A volte sembra che abbia degli strumenti che nemmeno una spia esperta saprebbe usare, ed è un po' troppo considerando che ha contro una schiera di avvocati rodati.


O ancora, nel corso di queste tante puntate, abbiamo a che fare con altrettanti casi legali, quindi si viene un po' coperti da nomi e situazioni che poi magari a fine episodio possiamo anche scordare. È vero che qualche personaggio ritorna, ma il focus resta su Madeline e i suoi colleghi dello studio.
Se poi cercate originalità ad ogni costo, anche in questo caso potete saltare: si tratta di un'altra serie tv che ha comunque una immagine, una direzione e quindi un'audience ben precisa.

Per il resto, per me, è stata un'ottima compagnia, con una attrice che ancora dimostra il suo talento, supportata comunque da un cast valido. Matlock è stata rinnovata per una seconda stagione e la seguirò con curiosità.

I’m From Rice Whip Facial Cleanser: un detergente, 3 usi diversi

Inutile sottolineare ancora che i cosmetici coreani hanno una marcia in più e che si dimostrano i più versatili. In uno dei miei ordini su YesStyle ad esempio avevo preso il Rice Whip Facial Cleanser di I'm From, perché volevo un detergente viso cremoso, ma mi sono ritrovato con un prodotto che è molto di più.



INFO BOX
🔎 Yesstyle (codice sconto PIER10YESTYL), Stylevana
💸 €14
🏋 150ml
🗺 Made in Corea 
⏳ 12 Mesi
🔬 Vegan


Non è la prima volta che parlo di I'm From ed è uno di quei marchi che vorrei conoscere meglio. La loro filosofia è infatti quella della chiarezza verso i consumatori, specificando ad esempio la provenienza degli attivi principiali. Ma anche a guardare le loro formulazioni, mi sembrano compatte, con delle liste degli ingredienti mirate a svolgere una funzione specifica.

Anche il Rice Whip Facial Cleanser I'm From segue questa logica: è un detergente viso cremoso arricchito con estratti di riso e di crusca di riso provenienti da Yeoju, in Sud Corea. Già questo ci fa capire che il prodotto vuol essere lenitivo sulla pelle, ma c'è ovviamente anche altro.
La sua base detergente è composta da tensioattivi delicati, che si uniscono alla glicerina per un'azione ancora più bilanciata sulla pelle.

In più il Rice Whip Facial Cleanser ha una serie di attivi che si occupano anche dell'aspetto della cute. Non manca la niacinamide, che migliora la barriera cutanea, uniforma il tono, lenisce, ma c'è un blend di acidi esfolianti molto particolare.

I'm From ha unito infatti alfa, beta, poli e lipo idrossiacidi, molecole più delicate ma che dessero un effetto esfoliante a più livelli, e fornendo anche idratazione alla pelle. 

Non c'è però alcuna fragranza aggiunta nella formulazione, e l'odore del prodotto è neutro.

Tutto questo è racchiuso in una consistenza che i coreani chiamano "whip" o "whipped" a ricordare la panna montata. Infatti, sebbene la consistenza sia cremosa, non appena questa tipologia di detergenti viso entra a contatto con l'acqua, crea subito una schiuma molto cremosa e avvolgente. 

I'm From spiega che il Rice Whip Facial Cleanser può essere usato con le mani umide per creare appunto una mousse schiumosa, ma se si vuole una pulizia più profonda si può stendere su pelle asciutta e poi emulsionare con acqua, massaggiare e poi sciacquare via tutto il prodotto. 
Io però ho scoperto che il Rice Cleanser ha tre diversi utilizzi, anzi offre tre diversi livelli di pulizia. 


Il primo livello è come detergente viso da solo per un effetto delicato. Si prende davvero poco prodotto - non ne serve molto a prescindere - più o meno quanto un acino di uva sultanina, e si miscela subito con acqua. Così il detergente I'm From diventa subito una schiuma che deterge bene il viso, ma nel modo più delicato possibile. Così usato ad esempio a me piace molto per la skincare mattutina, quando non voglio una pulizia troppo profonda, e più in generale va bene per pelli normali e secche.

Il secondo grado di pulizia è come unico detergente per la skincare serale ma da usare asciutto sul viso. In questo caso io prelevo un po' più prodotto, lo massaggio sulla pelle, e solo dopo inizio ad aggiungere gradualmente acqua così da attivare il Rice Whip Facial Cleanser. Sfrutto questo metodo quando sul viso ho più prodotti, come protezione solare, magari i residui di poco make-up, ma non ho necessità, tempo o voglia di una pulizia ancora più approfondita. Così funziona bene anche su pelli miste.

Però il Rice Whip Facial Cleanser I'm From è perfetto anche nella doppia detersione, e funge sia come primo che come secondo step anche qui a seconda della necessità del momento. Se non ho troppi prodotti sul viso, procedo con una prima pulizia con un'acqua micellare, e subito dopo questo detergente coreano. Se invece devo fargli fare un lavoro più pesante, magari dopo una giornata in cui ho riapplicato l'SPF o ritoccato la base viso, il Rice Cleanser diventa il primo step, seguito magari da un prodotto in gel o in mousse comunque più sgrassante In questo senso ad esempio l'ho usato molto con i due nuovi detergenti di Cien Nature, ma in generale funziona bene con qualunque altro prodotto con cui l'abbia fatto collaborare.

Il Rice Whip Facial Cleanser I'm From è un detergente molto versatile, che pulisce a fondo ma rispetta la barriera cutanea, non lascia la sensazione di secchezza o di pelle che tira.
Se vi preoccupa l'effetto esfoliante, sappiate che  molto delicato, anzi, essendo a risciacquo è adatto a chi non tollera molto gli idrossiacidi. 
Aggiungo che non mi dà alcun fastidio sugli occhi, ma che sicuramente necessita di un secondo in più per essere risciacquato.
Ma, ripeto è estremamente performante, quindi non serve mai esagerare con le quantità.

Se siete arrivati a questo punto convinti, ma insicuri, sappiate che come molti brand coreani, anche questo detergente viso I'm From è disponibile in minitaglia, perfetta per un primo test o da portarsi dietro. La trovate qui.



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Downton Abbey - Il Gran Finale, è davvero un addio?

Mettiamoci in cerchio e respiriamo dolcemente perché potrebbe essere arrivato il finale definitivo di Downton Abbey.
Dopo due anni dall'uscita del secondo film, intitolato Una Nuova Era (ne avevo parlato qui), l'imponente progetto di Julian Fellowes prosegue con Downton Abbey: Il Gran Finale, che sembra voler concludere la saga dei Crawley. 
Ci saranno davvero riusciti nel migliore dei modi?




Titolo originale: Downton Abbey: The Grand Finale
Genere: drammatico
, commedia
Durata: 123 minuti
Regia: Simon Curtis
Uscita in Italia: 11 Settembre 2025 (cinema)
Paese di produzione: UK, USA

Abbiamo conosciuto Lord Grantham (Hugh Bonneville) e la sua famiglia in un momento storico e culturale importante come l'affondamento del Titanic, e da lì, nel corso dei decenni, ci siamo mossi con loro attraverso altrettanti fatti che hanno segnato gli inizi del '900, come la Prima Guerra Mondiale e adesso, Il Gran Finale ci porta negli anni '30.
Certo, sfavillanti ma non privi di ombre, anche per gli abitanti di Downton Abbey, le cui vite sono state segnate dal tempo e da tutti quegli accadimenti dell'epoca.

Così ritroviamo proprio i Crawley alle prese con la stagione londinese, fatta di eventi e spettacoli, ma qualcosa non va come deve. Lady Mary (Michelle Dockery), sempre più in vista come erede, deve attraversare un divorzio finito sui giornali e che la farà diventare una reietta agli occhi dell'aristocrazia inglese. 
Un contraccolpo che peserà anche su Robert e sulla sua decisione di lasciare lo scettro a qualcun altro.


Le finanze per il mantenimento di Downton non sono infatti esattamente floride, e sembra che i tentativi di Cora (Elizabeth McGovern) di sfruttare al meglio l'eredità lasciata da sua madre non siano andati a buon fine. Suo fratello Harold (Paul Giamatti) infatti non ha saputo superare il crollo della borsa del 1929, ed un nuovo socio lo sta aiutando.

Anche al piano di sotto però molte cose stanno cambiando, e ci sono un paio di passaggi di testimone: la signora Patmore (Lesley Nicol) e il signor Carson (Jim Carter) vanno entrambi in pensione, e al loro posto avanzano di carriera gli ormai esperti Daisy (Sophie McShera) e Andy (Michael Fox).

Downton Abbey quindi deve cercare nuovi equilibri per sopravvivere ad un'epoca sempre più caotica e veloce, mentre altre famiglie nobili, come dirà lo stesso Lord Grantham, stanno gettando la spugna sotto il peso di una borghesia che avanza e di nuovi modi di vivere il pubblico e il privato.
Ma è necessario fare un passo indietro, per poter fare dei passi avanti.


Nonostante gli anni che passano, tornare a Downton Abbey è come tornare a casa, in famiglia, nell'abbraccio caldo e accogliente di una persona a cui vogliamo bene. E Julian Fellowes non si è smentito in questo Gran Finale, che continua a mantenere alta la qualità che conosciamo, anzi se vogliamo è anche aumentata rispetto ai film precedenti.
Le scenografie interne ed esterne, i costumi, e le comparse sono tantissime, con la solita cura che gli amanti della serie tv ricorderanno.

Ma soprattutto Downton Abbey ha saputo preservare una sua coerenza, muovendosi in un naturale, logico sviluppo narrativo, con la spinta anche del maturare degli attori. Ognuno, chi più chi meno, ha infatti una evoluzione ed anzi c'è anche un assaggio del futuro, ma questa ricchezza è equilibrata.

Anche in Il Gran Finale permane infatti quella capacità di portarci in un'altra epoca ma con gentilezza, con delicatezza, con ironia e intelligenza.
Credo sia una qualità che poche produzioni così longeve possono vantare: non si è mai scesi a compromessi, nonostante sia ovvio che questo nuovo film altro non è che un (grosso) regalo per i tantissimi fan della saga. 


Fa gioco, in questo senso, anche una grossa operazione nostalgia, unita alla volontà di fare un omaggio a colei che è stata per anni la colonna portante di Downton Abbey, Dame Maggie Smith venuta a mancare l'anno scorso. La sua assenza si è sentita, ma hanno saputo omaggiare Lady Violet in modo secondo me perfetto.

Quindi sì, sono arrivato al finale di questo terzo film col magone e gli occhi lucidi perché la sensazione è quella di voltare pagina, ma anche di un cerotto che deve essere strappato. 
È vero che per la natura stessa del progetto ci sono sempre stati dei margini affinché tutto proseguisse, specie sotto la spinta di quel fanbase nutrito e appassionato.
Ma per quanto vorrei che continuasse, razionalmente mi rendo conto che, come qualunque produzione televisiva o cinematografica, anche Downton Abbey non può durare per sempre, perché può succedere che le strade da percorrere si restringano e restino quelle meno interessanti.


Si parla di un possibile sequel dedicato a Lady Mary e soprattutto a suo figlio George quando sarà cresciuto, ma anche di un prequel sulla giovinezza di Lady Violet.
Questi sarebbero già progetti più polposi, ma la trilogia di film ha secondo me raggiunto il suo compimento. E poi c'è sempre The Gilded Age, che invece ha ancora molto da dare.

Downton Abbey Il Gran Finale mi è sembrato proprio il commiato perfetto, il migliore che potessero darci, dolce e nostalgico, ma necessario, riuscendo ad includere tutto quello che mi aspettavo, fra passato e presente. 
Non resta quindi che ringraziare Julian Fellowes e augurare lunga vita ai Crawley. 


Recensione Maschera Crema Viso Lenitiva 20% di Aloe Bottega Verde

Sto continuando ad esplorare il catalogo delle maschere viso proposte da Bottega Verde perché il prezzo è troppo piccolo per non dar loro una chance e perché ce ne sono per tutti i gusti.
L'ottava maschera viso che provo di questa azienda è la Maschera Crema Lenitiva Super Idratante, con il 20% di succo di aloe.


INFO BOX
🔎 Negozi Bottega Verde, Sito dell'azienda, Amazon
💸 €2.50
🏋 8ml
🗺 Made in Italia
⏳  //
🔬 Vegano


È pensata come un
prodotto doposole e dalla doppia funzione: infatti può essere usata come una crema viso lenitiva, applicandone una piccola quantità e massaggiandola fino a completo assorbimento, oppure come una maschera viso; in questo caso si utilizza maggiore prodotto, si stende in modo omogeneo e si lascia agire per 5/10 minuti oppure per tutta la notte se lo si desidera.

La Maschera Crema Lenitiva Super Idratante è arricchita con addirittura il 20 % di succo aloe, ma l'azione idratante e addolcente di questa sostanza è supportata da altri ingredienti. Glicerina e zuccheri del grano biomimetici contribuiscono a dare e trattenere l'idratazione cutanea, mentre allantoina e bisabololo svolgono una azione sfiammante e lenitiva.

In più Bottega Verde ha aggiunto emollienti come squalano e insaponificabili dell'olio d’oliva, ma la texture di questa Maschera Crema si mantiene sempre leggera e setosa. La sua consistenza è quella di una crema leggermente gelificata, facile da stendere e con un buon profumo fresco.

Lo specifico perché magari qualcuno potrebbe pensare che non ci ho fatto caso, ma credo che questo sia il primo prodotto Bottega Verde che utilizzo e che contiene siliconi, ma concettualmente in questo caso non mi dispiacciono e ora vi spiego perché.

Parto col dire che ho usato questa Maschera Crema Lenitiva come un trattamento più lungo, lasciandola agire sul viso per circa 30/ 40 minuti, per poi rimuoverla con acqua. Bottega Verde dice che i residui andrebbero rimossi con una velina, ma io credo che si farebbe un pasticcio e si avrebbe una sensazione sgradevole se poi si decide di applicare altri prodotti. Quindi ascoltate Pier e sciacquate. 

Mettendo da parte la questione pratica, questa Maschera Viso mi è piaciuta e l'ho trovata perfetta per la mia pelle mista durante l'estate. Infatti appena applicata, pur non risultando estremamente fresca o balsamica, dà subito sollievo alla pelle. Dopo averla lasciata agire e persino dopo averla sciacquata, noto che il mio viso è più elastico, idratato, e morbido.


Personalmente non l'ho usata dopo l'esposizione al sole semplicemente perché io evito a prescindere di scottarmi o di arrossarmi. Può capitare, è vero, ma personalmente fra protezione solare e ombra ormai sono ben lontano dalle scottature. L'ho però messa alla prova ad esempio dopo la rasatura, ed immagino possa funzionare bene anche dopo una giornata fredda e ventosa. La Maschera Crema Bottega Verde infatti mi ridà subito comfort, e mi consente, se voglio, di proseguire con la mia skincare abituale senza problemi.
Il suo livello di idratazione secondo me è pensato per pelli mediamente miste e con poche aree disidratate, per le cuti più secche è necessario farla seguire da altri prodotti.

Veniamo a due punti critici di questo prodotto: il primo la presenza di siliconi. Secondo me, in un cosmetico che vuol aiutare una barriera cutanea sensibilizzata non sono un problema, anzi danno uno strato occlusivo utile. Il secondo punto è l'uso come crema viso che comprendo poco. Bottega Verde ha creato questo prodotto come fosse monodose, ma con una bustina inevitabilmente si fanno più applicazioni. Usarla come una crema viso, quindi in piccole quantità, significherebbe che il prodotto resti aperto per forse troppo tempo. 
Se l'azienda magari desse alla Maschera Crema Lenitiva (ma anche agli altri trattamenti) un packaging richiudibile, sarebbe perfetto.

Per il resto è un prodotto economico, efficace e piacevole da usare, che merita sicuramente una chance.


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Mercoledì Addams è tornata, le mie impressioni sulla serie tv più attesa 🦇

Dopo il successo spaziale della prima stagione, Mercoledì è tornata con la seconda stagione divisa in due parti. Il 3 Settembre sono arrivati gli ultimi quattro episodi, e quindi vediamo un po' com'è andato questo nuovo ciclo, cosa ha funzionato o meno, e quali novità ci ha portato.

Nella mia precedente recensione ero arrivato a due considerazioni in particolare: la prima era che il progetto Mercoledì mi è piaciuto molto sin dal principio. Dare nuova vita alla famiglia Addams, e trasformare la primogenita di Morticia e Gomez in una sorta di investigatrice, alle prese con crimini di varia natura e nuovi amici più o meno sovrannaturali, mi sembrava una idea coerente col personaggio.

Il tutto poi, supportato dalla creatività di Tim Burton, che magari non sarà più brillante come una volta ma resta uno dei maestri della regia, è risultato ancora più appagante esteticamente. 

La seconda considerazione riguarda il fatto che Wednesday è pur sempre una produzione Netflix, e come tale deve rispondere ad un pubblico di giovani o giovanissimi, siano essi amanti del gotico, o che conoscano o meno la famiglia Addams. Questo può essere un plus o un minus a seconda di come la vediate: io non sono nel pubblico target della serie e quindi non sempre ho apprezzato le scelte narrative della prima stagione.
In Mercoledì 2 però alcune cose migliorano, mentre altre forse no.

La Mercoledì di Jenna Ortega deve adesso confrontarsi con più di un caso su cui investigare, messa in difficoltà da tante peripezie, incluso uno scambio di corpi inatteso, e nuovi personaggi.

Alla Nevermore Academy ci sono alcune novità: è infatti arrivato un nuovo preside, il signor Dort (Steve Buscemi), che toccherà tener d'occhio; ma anche Pugsley (Isaac Ordonez), il fratello di Mercoledì, inizia a frequentare la scuola, con la conseguenza che tutta la famiglia Addams si ritroverà molto più nei paraggi. 

La stessa Mercoledì dovrà confrontarsi più volte con sua madre Morticia (Catherine-Zeta Jones), con la quale ha un rapporto conflittuale, specie adesso che sta esplorando il suo potere di preveggenza. Ma la mela (marcia) non cade mai lontana dall'albero e quindi scopriremo che anche la matriarca Addams ha avuto qualche intemperanza con sua madre, nonna Hester, interpretata da Joanna Lumley, che tornerà sfavillante sulla scena.
Non è però solo con la sua famiglia che Mercoledì finirà per scontrarsi, visto che ha avuto inquietanti visioni sulla sua amica Enid (Emma Myers), e si ritroverà ad avere a che fare con una stalker invisibile.

Mercoledì 2 quindi prosegue il suo percorso di intrattenimento dalle tinte goth e thriller, con svariati colpi di scena ed un crimine da risolvere mentre la polizia non riesce a stare al passo con le "stramberie" dei reietti. Ma c'è una maggiore coralità, ci sono nuovi volti e c'è anche qualche gradito ritorno e, come speravo già dalla prima stagione, si approfondisce molto di più il legame fra Morticia e sua figlia, e le vicende familiari in senso ampio.

Nell'ottica più sentimentale, trova spazio anche il rapporto fra Enid - comunque alle prese con i suoi problemi personali - e Mercoledì, che dimostrano una amicizia forte, seppur entrambe vivano i sentimenti e la comunicazione in modo diverso. In fondo la serie è una sorta di porta sul mondo degli adolescenti e tutto quello che li riguarda.

Ottima, secondo me, la scelta, spinta pare dalla stessa Jenna Ortega, di non dare a Mercoledì alcun interesse amoroso: sarebbe una vera forzatura. 


L'ampliamento delle linee narrative rende la serie più corale e variegata, ma non è una scelta sempre efficace: alcune sotto trame risultano frammentate o poco approfondite. Penso ad esempio a Bianca (Joy Sunday), coinvolta in un ricatto che appare improvviso e poco contestualizzato, legato a personaggi secondari che restano troppo marginali e di cui si sa poco o nulla. 

Inoltre questa vasta gamma di storie da raccontare non ha sempre la stessa potenza o originalità. Vi avevo anticipato ad esempio lo scambio di corpi che non è una trovata così nuova, ma anche buona parte del finale di Mercoledì 2, dove i richiami a Frankenstein sono urlati in faccia allo spettatore, risultano un po' telefonati.

Ci sono però nuovi elementi che ho apprezzato. Non vi faccio spoiler ma io sono fra quelli che promuove la parentesi su Mano, trovandola ben congeniata. 

Mi si potrebbe dire che non era necessario, che tutto questo progetto porta a delle evoluzioni strutturali che la famiglia Addams, inteso come classico, non avrebbe avuto bisogno di rimaneggiamenti. Tuttavia è da anni che comunque la loro storia viene rimaneggiata e riutilizzata, e credo che comunque questa versione di Mercoledì sia efficace. 

Come nella prima stagione, anche il ritorno di Wednesday è un po' un quadro (dark): visto da lontano è appassionante, ti rapisce con l'impianto tecnico e con la capacità, tipica di Tim Burton, di contaminare generi e stili, ma anche con un cast che si amplia sempre di più ed aggiunge valore alla serie tv.
No, non mi riferisco al micragnoso minuto in cui è apparsa Lady Gaga.

Se però guardiamo questo quadro da vicino, si notano le crepe della vernice, fatte di momenti meno d'impatto, in cui il ritmo non è al meglio e in cui l'effetto sorpresa non produce risultati se non siete parte di quel pubblico giovanissimo a cui Netflix si rivolge. Non ha giovato, in tal senso, anche la divisione in due parti della stagione, come sempre più una mossa di marketing che creativa. 
Non ci resta quindi che aspettare la terza stagione di Mercoledì, ormai confermata, sperando faccia altri passi avanti.


Ho provato il nuovo Sulfur 10% Powder-to-Cream di The Ordinary: la mia esperienza

Anche questa estate quelli di The Ordinary non si sono riposati, ed anzi hanno voluto lanciare una novità che credo sia uno dei prodotti più originali non solo del marchio ma degli ultimi anni.

Il settore della cosmesi per trattare acne, imperfezioni e lucidità da tempo ormai si sta dirigendo verso trattamenti più mirati. Se un tempo questa tipologia di cute poteva contare al massimo su detergenti specifici o maschere sebo assorbenti, l'approccio più moderno è quello degli spot treatment che agiscono in modo specifico sulle singole imperfezioni, senza intaccare aree sane del viso.

The Ordinary ha quindi cercato di dire la sua in questo ambito, e così è nato il Sulfur 10% Powder-to-Cream Concentrate.



INFO BOX
🔎 TheOrdinarySephoraLookFantastic
💸 €10
🏋 5g
🗺 Made in Canada
⏳ 12 Mesi
🔬 //


🔍Cos'è il Sulfur 10% Powder-to-Cream Concentrate The Ordinary?


Come vi anticipavo, The Ordinary ha voluto creare il suo spot treatment facendo evolvere il concetto alla base dei patch idrocolloidali che stanno spopolando in questo periodo.
Lo scopo di questo concentrato è proprio quello di ridurre in modo preciso l'aspetto delle imperfezioni, quindi il loro diametro ed il rossore, ma anche di controllare la produzione sebacea.

The Ordinary afferma che il Powder-to-Cream Concentrate sia in grado di dare risultati visibili in meno di un'ora, anzi di iniziare ad agire già dopo mezz'ora, e sottolinea la praticità della sua formulazione. Un flacone di Sulfur 10% Concentrate infatti dovrebbe equivalere ad oltre 150 pimple patches, quindi molti di più di quanti ne contengano le confezioni in commercio. Ha però un packing piccolo, estremamente facile da portarsi dietro.


Questo trattamento si presenta appunto come una polvere che va applicata con le mani picchiettandola direttamente su brufoli o imperfezioni, e che a contatto con la pelle svanisce diventando una emulsione invisibile, senza creare alcun spessore. Inoltre possiamo decidere noi quanto prodotto utilizzare, a seconda della dimensione dello spot che vogliamo trattare.



🔬 Cosa contiene questo Spot Treatment The Ordinary?


Secondo me la formulazione è la parte più interessante del Sulfur 10% Powder-to-Cream Concentrate perché combina più attivi per pelle mista e grassa, ma in modo molto originale. Al suo interno infatti troviamo
  • il 10% di zolfo, attivo antimicotico, antiinfiammatorio, antibatterico e cheratolitico, che se come me siete un po' più navigati, vi ricorderete essere stato in passato molto comune per trattare acne e pelli impure; The Ordinary ha scelto però la forma colloidale affinché le particelle siano piccole quindi risulti poco visibile, con un rilascio efficace e non abbia quel tipico odore pungente dello zolfo.
  • Niacinamide che regola il sebo, calma eventuali infiammazioni, aiuta ad uniformare l'incarnato e supporta barriera cutanea;
  • L-Carnitine che, aiutando a bilanciare la produzione di sebo, agisce sulle cause di pori ostruiti e brufoli
  • Polylysine, sostanza poco nota che agisce come antimicrobico, e quindi aiuta a frenare la proliferazione batterica che può causare acne.
  • Caolino e Silice sililato, sostanze assorbenti ed opacizzanti perfette per le aree con eccesso di sebo.


Il Sulfur 10% Powder-to-Cream Concentrate contiene anche glicerina e una piccola parte di acqua, per creare quell'effetto da polvere ad emulsione ed avere una formulazione bilanciata. Infatti dovete immaginare questa polvere quasi come fosse costituita da micro capsule. L'involucro esterno è composto dalle polveri, quindi caolino e silica, che trattengono all'interno gli attivi come appunto lo zolfo e la parte liquida. 

Questo trattamento non contiene però siliconi, alcol o oli, ma nemmeno fragranze aggiunte. 
Sono andato ad annusare il prodotto con molta attenzione, perché mi era capitato di leggere che qualcuno sentisse odore di zolfo, ma io non capisco come sia possibile: al mio naso è una polvere completamente inodore. Solo utilizzando una quantità eccessiva di trattamento si può sentire vagamente l'odore di questa sostanza.

Il Sulfur 10% Powder-to-Cream Concentrate non entra in conflitto con altri attivi, e può essere usato con altri sieri e trattamenti, ma ovviamente The Ordinary specifica di non sovrapporlo ad ingredienti aggressivi perché si creano più danni che benefici.



☝🏻 Come usare il Sulfur 10% Powder-to-Cream Concentrate?


Ho trovato molto semplice ed intuitivo usare questo spot treatment The Ordinary: la confezione ha un forellino che dosa bene la polvere, e si può versarla su un dito per poi picchiettarla sul brufolo o far cadere direttamente un po' di polvere sull'imperfezione da trattare e quindi attivare il prodotto affinché rilasci i suoi attivi.

Quello che il brand non spiega secondo me chiaramente è in che parte della skincare routine vada inserito questo Sulfur 10% Concentrate. Sul sito The Ordinary ci sono esempi di possibili regimi da seguire con i prodotti dell'azienda, e questa polvere viene menzionata fra i "treat", quindi quei trattamenti che seguono la detersione, ma prima di creme viso. 


Il mio approccio è stato in parte diverso. Se infatti uso questo Powder to Cream Concentrate di giorno, lo applico dopo i sieri acquosi, ma ovviamente prima della protezione solare. Se invece lo utilizzo la sera - quando preferisco usarlo in verità - diventa l'ultimissimo passaggio della mia routine, sopra tutti gli altri step. Ammetto che però non generalmente, nemmeno in pieno inverno, utilizzo creme o oli molto corposi su tutto il viso, quindi è necessario regolarsi di conseguenza.

Ovviamente presto attenzione a non "disturbare" troppo il prodotto: se sopra devo applicarci un SPF o del make-up, cerco di essere delicato nella stesura e di far asciugare bene il Powder to Cream Concentrate prima di proseguire; se invece è l'ultimo step della skincare serale mi premuro di non concentrare troppi strati nelle zone in cui applicherò questo spot treatment.
Sono accorgimenti semplicissimi, più facili da fare che da raccontare.



💡 Tutto quello che dovreste sapere sul Sulfur 10% Powder-to-Cream Concentrate


Dopo tutti questi aspetti tecnico-pratici arrivo alla mia esperienza, che posso definire assolutamente positiva. Questo trattamento The Ordinary come dicevo è stato facile da inserire nella skincare, non si sente minimamente sulla pelle, ma soprattutto l'ho trovato efficace.
Il suo effetto su di me in effetti è abbastanza rapido: in circa un'ora inizio a notare che il brufolo diventa meno arrossato, più "concentrato" e si accelera la sua asciugatura, evoluzione e miglioramento. Nel giro di un paio di giorni, le impurità che ho trattato sono completamente sparite.

È ovvio che la rapidità con cui agisce questo 10% Sulfur Concentrate dipende dalla tipologia di imperfezione che devo trattare: se è più sottocutanea, cistica, profonda e grande o se è più superficiale e quindi più vicina alla guarigione.

The Ordinary ha pensato a questo trattamento come un sostituto ai patch idrocolloidali che si trovano già in commercio, e che purtroppo, per quanto sottili e trasparenti, creano comunque della texture sulla pelle, specie se ci si applica sopra del make-up.


A mio avviso però ci sono delle differenze da sottolineare e tenere in considerazione.

Il Sulfur 10% Powder-to-Cream Concentrate infatti risulta completamente invisibile sulla pelle: si fonde perfettamente, non crea alcun spessore o texture, ma ci accorgiamo dove lo applichiamo perché la zona diventa più opaca, viste le sostanze seboassorbenti. Ho provato anche ad applicarci sopra del correttore, e questo prodotto non ne ha alterato la performance, anche se dopo qualche ora la zona appariva sicuramente un po' più polverosa.

Inoltre ho trovato questo nuovo trattamento The Ordinary abbastanza delicato perché non va a seccare la pelle magari intorno all'imperfezione che vogliamo ridurre, né crea quella pellicina che a volte viene dopo che un brufolo è guarito. 

Non posso però non sottolineare che se questo Sulfur 10% Concentrate ha un effetto attivo sulle imperfezioni, non crea una barriera fisica sulla pelle. Molti infatti usano i cerotti idrocolloidali non solo per far guarire l'acne, ma anche per proteggere la cute ed essere meno tentati di schiacciare o grattare le imperfezioni. 
Lo spot treatment proposto da The Ordinary, nonostante la sua texture trasformista, non riesce a riprodurre lo stesso effetto di protezione concreta, ma può coesistere e collaborare nella stessa routine insieme ai cerotti senza sostituirli completamente.

Secondo me il Sulfur 10% Powder-to-Cream Concentrate è un prodotto estremamente versatile, che può essere una alternativa se non ritenete gli hydrocolloid patch abbastanza efficaci, o se dovete trattare aree più ampie del viso, arrivando anche in quei punti in cui cerotti fanno fatica ad aderire.


Voi conoscevate questa novità The Ordinary?




💖Alcuni link sono affiliati, per te non cambia nulla, ma puoi usarli per sostenere le mie recensioni. Grazie!

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