Sono bastate poche foto online a smuovere la mia curiosità verso il nuovo Frankenstein di Guillermo del Toro, e non ho perso tempo a vederlo appena è arrivato su Netflix.
Genere: drammatico, horror, fantascienza Durata: 149 minuti Regia: Guillermo del Toro Uscita in Italia: 7 Novembre 2025 (Netflix) Paese di produzione: Messico, USA, Canada, Regno Unito |
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Sono fra quelli che, da La forma dell'acqua, a Pinocchio, passando per il forse meno d'impatto ma comunque riuscito La fiera delle illusioni, non si sono persi gli ultimi film del regista e anzi li hanno pure apprezzati.
È vero che con Frankenstein ci avrebbe proposto inevitabilmente una storia che ormai è stata utilizzata tantissimo, anche solo per riferimenti e spunti, ma la prospettiva di del Toro mi interessava.
Sin da subito era chiara l'intenzione del regista di dare nuova vita al romanzo di Mary Shelley, ma senza ovviamente creare un'altra storia. Il nuovo film infatti sin da subito ci mostra l'intento di sfruttare più punti di vista, ma per ovvie ragioni cinematografiche del Toro ne sceglie solo due.
Si parte con il racconto di Victor Frankenstein (Oscar Isaac, Scene da un matrimonio), su una nave bloccata fra i ghiacci dell'Artico, che si trova a dover spiegare al capitano Anderson la sua storia e chi sia quella strana Creatura che ha attaccato la nave.
Così Victor ricorda la sua infanzia difficile, fra gli agi certo, ma con suo padre Leopold (interpretato da Charles Dance, The day of the Jackal) severissimo, che fin da giovane cercò di inculcargli tutto lo scibile in campo medico. Le cose precipiteranno con la morte della madre di Victor, che perse la vita per mettere al mondo suo fratello William (Felix Kammerer), che finirà per essere il preferito del padre.
Una infanzia che segnerà Victor, inevitabilmente attratto verso un ramo della scienza complesso e oscuro come ridare la vita ai morti. Una volta adulto, contro tutta la comunità scientifica, il dottor Frankenstein riuscirà a proseguire le sue ricerche grazie anche all'incontro con il ricco mercante d'armi Henrich Harlander (Christoph Waltz, Only Murders in the Building). E i suoi esperimenti lo porteranno a dare (di nuovo) alla luce la sua prima Creatura.
Eppure questo nuova, incredibile scoperta, sarà per Victor l'inizio della fine, in un turbine di frustrazione, dolore e follia.
La Creatura (Jacob Elordie, La strada stretta verso il profondo Nord) infatti, sebbene quasi perfetta per forza e resistenza da un punto di vista fisico, non sembra sin da subito dotata dell'intelletto che il suo creatore sperava. A nulla serviranno i rimproveri di Elizabeth (Mia Goth), qui promessa sposa di William, che inviterà il dr. Frankenstein ad una maggiore empatia e delicatezza. Victor si incaponirà al punto che, convinto di non poter far più nulla, tenterà di porre fine alla vita del suo esperimento.
Così si apre il racconto della Creatura, della sua fuga da un luogo che doveva essere casa ed invece era diventata solo un piccolo mondo fatto di paura e rabbia, con un "padre" incapace di aiutarlo, comprenderlo come avrebbe dovuto. Eppure, nonostante tutto, lungo il suo cammino, la creatura riuscirà a trovare un rifugio in quella valle di solitudine, capendo che nel mondo ci può essere anche amore.
È qui che il Frankenstein di Guillermo del Toro, nonostante le aggiunte e le modifiche all'opera originale, riesce a trovare una sua strada narrativa senza distaccarsi troppo dai temi che hanno sempre fondato questa storia.
Il regista infatti fa diventare Frankenstein la storia di un trauma generazionale che non viene spezzato, e sottolinea come la parte "mostruosa" della creatura è solo il frutto di abbandono, risentimento, della negazione del riconoscimento e dell'accudimento da parte di una figura paterna distorta. Così ci si ritrova con molti più livelli di umanità: da Victor che è figlio di un fallimento genitoriale, alla creatura che deve ereditare anche la solitudine del "padre".
Tutta questa catena di metafore viene raccontata attraverso un film drammatico e gotico che sembra quasi una fiaba, visivamente è ricchissimo, appagante, curato e imponente. Mi è piaciuto tutto quello che riguarda l'impianto tecnico, dai costumi alle scenografie passando per le musiche, che è pieno di simbolismo.
E anche gli attori sono tutti molto convincenti, soprattutto Jacob Elordi che riesce a bilanciare imponenza fisica a vulnerabilità nonostante strati e strati di protesi.
Ma allora perché Frankenstein per me non è un capolavoro?
Di base, in estrema sintesi, direi per la durata, che però a cascata implica diverse cose. Il ritmo infatti non è costante, e non tutte le parti di questo doppio racconto sembrano avere una importanza tale da giustificare un minutaggio così lungo. In questo sbilanciamento di porzioni della storia si perdono secondo me alcune dinamiche sottili, che vengono accennate o date per scontato. Penso ad esempio al legame fra Elizabeth e la creatura, che sembra basato su poco o niente e non ha tempo di maturare, anzi il loro primo incontro direi che non ha proprio pathos.
Ma è soprattutto il finale, o meglio il terzo atto, che secondo me crolla nel ritmo.
Anche le variazioni proposte da Guillermo del Toro, a mente fredda, non mi sono risultate tutte convincenti, specie nel suo altro protagonista: Victor Frankenstein. Il rapporto con un padre anaffettivo può essere interessante, per quanto non generalmente originale, ma spinge a pensare che lo scienziato si muova più per una quasi tardiva ricerca di approvazione, e non per la sua estrema voglia di "giocare a fare dio" e le altrettante assurde conseguenze che ne derivano.
Parlavo sopra di quanto tecnicamente questo Frankenstein sia bello e non lo rinnego, ma ci sono alcune scene in cui la grafica al computer è così palese da disturbare. Inoltre alcune sequenze hanno una allure estetica derivativa, quasi come se fossero state ispirate ad altri film.
Frankenstein di Guillermo del Toro secondo me mostra tutta la voglia del regista di dire la sua su questa storia, se ne sente il legame e riesce a mantenere quell'aura di dramma malinconico che ci si aspetta da un adattamento di Mary Shelley.
Per fortuna non manca l'emotività e l'intensità che mi aspettavo, anche se segue tutte le onde di quei momenti non sempre necessari.
È per questo che c'erano dei passi da fare per arrivare ad un vero e proprio capolavoro.