Nelle ultime settimane ho terminato alcune serie tv e docuserie Netflix che sono uscite negli ultimi mesi, un po' a rilento forse, ma conto di concludere altro prima che finisca questo 2024. Intanto metto qualche punto, e anche qualche puntino sulle i.
Beauty in Black
Prima stagione
Il 24 Ottobre è spuntata su Netflix una serie tv che tendenzialmente si rivolge ad un pubblico afroamericano, visto che è composta quasi da soli attori neri e di colore, ma sembrava avere di base una storia interessante, dura e tutto sommato con qualche spunto originale, tanto che è stata una delle più viste sulla piattaforma. Il titolo completo è Tyler Perry’s Beauty in Black, visto che è diretta e prodotta dallo sceneggiatore americano, e seguiamo le vicende di due donne in due ambienti diversi ma che in qualche modo collimano. Da un lato c'è Kimmie (Taylor Polidore Williams) che non ha una vita facile: scopriremo che è stata cacciata di casa poco prima che compisse 18 anni e che è diventata una spogliarellista sotto la protezione di Jules (Charles Malik Whitfield) che gestisce tutti i "dipendenti" di questo locale di strip.
Non una vita semplice, anzi gliene succederanno di ogni, ma anche Mallory (Crystle Stewart) non se la passa benissimo: è vero che ha uno stile agiato essendo una imprenditrice di successo, ma fra problemi legali e un matrimonio chiaramente in crisi, Mallory deve anche barcamenarsi nella famiglia estremamente disfunzionale del marito, i potenti Bellarie.
Se la si approccia con molta superficialità, e senza particolari aspettative, Beauty in Black può essere quella serie tv tutto sommato svelta che sa intrattenere. E capisco che questi toni freddi, cupi, sboccati, a tratti violenti, possano essere pane per i denti di molti, perché in un certo senso, quello che crea Tyler Perry, è un mondo in cui non è possibile riscattarsi o quasi. Kimmie ad esempio per quanto ci provi, più volte afferma che non le è possibile scappare da Jules, così come Mallory, per altri motivi indubbiamente diversi, non può allontanarsi dai Bellarie.
Se si scava un po' più a fondo però non c'è molto altro che possa dirvi di Beauty in Black, e io stesso ve l'ho raccontata come un tema delle medie perché la storia alla fine, seppur con le sue sterzate, è molto lineare, anzi ricorda un po' una soap-opera e spesso capisci dove andranno a parare. Il grosso problema per me è che manca di sottigliezza, sia nella caratterizzazione dei personaggi che nella narrazione. Un esempio no spoiler è come vengono rappresentati gli stessi Bellarie che dovrebbero essere appunto questi ricchi viziosi e senza scrupoli che possono permettersi tutto, contro una classe di più poveri (gli spogliarellisti in questo caso) che invece non hanno alcuno scampo.
Ne consegue che nessuna tematica contemporanea un po' più di spessore che Beauty In Black si ritrova anche solo involontariamente a sfiorare, venga in qualche modo approfondita o trattata con il giusto senso critico. Piuttosto che dare spazio ad appunto questi aspetti, la serie preferisce infarcire gli episodi di dialoghi spesso troppo lunghi, un po' come se fossero delle supercazzole senza uno scopo.
A pesarmi c'è anche una generale recitazione non proprio di alto livello, in cui non spicca una particolare interpretazione, specie purtroppo della protagonista, che appare a volte come lagnosa pur essendo una che deve essere stata indurita dalle circostanze.
Beauty in Black è la perfetta serie tv Netflix in questo senso: è una produzione fine a se stessa, che cerca di creare una narrazione specifica, riuscendoci poco, e provando più che altro di tenere viva l'attenzione del suo pubblico attraverso qualche momento discinto e qualche colpo di scena. Può funzionare come scacciapensieri, ma nulla più.
Pare che la serie sia stata già confermata per una seconda stagione, o meglio una seconda parte, ma non si sa ancora quando uscirà.
The Diplomat
Seconda stagione
L'anno scorso avevo ampiamente espresso le mie perplessità su The Diplomat, la serie tv con Keri Russell, che al netto del grande sforzo produttivo e delle ottime interpretazioni, non mi aveva lasciato molto. Purtroppo confermo e sottoscrivo le stesse impressioni anche per la seconda stagione, che è stata resa disponibile il 31 Ottobre di quest'anno sempre su Netflix.
Diciamo che più che appunto un nuovo ciclo di episodi, The Diplomat 2 è sembrata un naturale proseguo, come se fosse una seconda parte della prima stagione, e dove appunto non ci sono grandi cambiamenti, e purtroppo nemmeno miglioramenti.
Ritroviamo infatti la diplomatica Katherine "Kate" Wyler (Russell) che cerca di scovare il mandante dell'attacco alla portaerei britannica che avevamo visto nella prima stagione, e questo ovviamente scatenerà una serie di strategie e dinamiche da mettere in atto, perché sembra che di fondo ci siano esclusivamente interessi politici.
Devono però anche essere chiariti i motivi dell'attentato al marito di Kate, Hal Wyler (Rufus Sewell) che in questa seconda stagione vediamo lavorare un po' più dietro le quinte, non senza però scontrarsi con la moglie per atteggiamenti e vedute differenti.
Ancora una volta The Diplomat si dimostra una buona serie tv per come si pone, quindi con ritmo, con cura, cercando di creare un contesto contemporaneo credibile e portarci nelle sale del potere per vederne in fondo il marcio. Il fatto è che tutto questo viene fatto in un modo che trovo stancante: è un continuo buttare in mezzo nomi, cose e città, aggiungere personaggi più o meno noti e raccontare vicende che alla fine si fa fatica a seguire. È come se tutto sia importante ma niente in fondo lo sia davvero perché più e più volte mi sono ritrovato estraneo, esterno e disinteressato a questo flusso costante di dinamiche.
Per fortuna i due episodi in meno rispetto alla prima stagione fanno sì che si siano dimenticati di inserire quei siparietti comici che erano completamente fuori dal contesto drammatico e thriller della serie. Ma allo stesso tempo queste sei puntate sembrano anche troppe, perché non c'è mai un punto, non c'è mai un unico focus, ma tante linee sfocate da seguire.
Si è cercato di costruire un po' di più il personaggio di Kate, che finalmente si rende conto che può ambire anche a far progredire la sua carriera, e sul finale ci ritroviamo una sempre ottima Allison Janney. in un ruolo che non vi svelo se ancora dovete vedere la stagione.
È un peccato secondo me che tutto il potenziale di una serie come The Diplomat non venga usato meglio, magari con un atteggiamento un po' più semplice, ma che creerebbe in me un maggiore interesse e affezione.
È già stata confermata la terza stagione, quindi immagino la vedremo nel 2025.
Cold Case: chi ha ucciso JonBenét Ramsey
Docuserie
Ho alcuni documentari Netflix che vorrei vedere, ma ho iniziato da Cold Case: chi ha ucciso JonBenét Ramsey, ultimo arrivato, il 25 Novembre, sulla piattaforma, che essendo basato su una vicenda reale che non conoscevo mi sembrava doppiamente interessante.
Nel 26 Dicembre 1996 ero un bambino di sette anni che probabilmente aveva appena trascorso le feste con zii parenti e cugini, più o meno come aveva fatto JonBenét, una bambina di sei anni che abitava in Colorado. Tuttavia, quella notte, sua madre Patsy Ramsey trovò sulle scale a chiocciola un foglio su cui si chiedeva un riscatto per liberare la figlia che era stata rapita. Lei e suo marito Johnny allertarono subito la polizia, nonostante il foglio intimasse loro di non farlo, e si aprirono subito le indagini e le ricerche, ma fu tutto inutile: il corpo di JonBenét venne ritrovato senza vita quella notte stessa, in un seminterrato in disuso della casa dei Ramsey.
Ad oggi è ancora ignoto l'assassino, ma furono gli stessi familiari della bambina ad essere accusati.
In tre episodi da circa un'ora ciascuno Cold Case: chi ha ucciso JonBenét Ramsey spiega chiaramente, in tutti i passaggi, quello che accadde ormai quasi 30 anni fa, soprattutto approfondendo quello che venne dopo, quando l'onta di essere i probabili assassini, macchiò per sempre la vita dei coniugi Ramsey. Questo accadde principalmente perché sia i media che la polizia cercavano, per ragioni differenti, un colpevole, anzi un mostro, che da un lato potesse cibare la sempre più morbosa curiosità di chi si interessava alla vicenda, dall'altro chiudere in maniera sbrigativa possibile il caso.
Tuttavia quella fame divenne sempre più forte tanto che nacquero tantissime teorie e complotti spesso macabri, dietro la morte di JonBenét, soprattutto legati alla sua attività di reginetta nei concorsi di bellezza per bambine e alla possibile scia pedopornografica.
Un caso che mi ha ricordato un po' Asunta, altro documentario di Netflix che ha alcuni contorni simili con la vicenda dei Ramsey.
Cold Case è comunque una docuserie ben fatta secondo me, perfetto per gli amanti del true crime, che catapulta lo spettatore direttamente nella metà degli anni '90 e che trova soluzioni visive interessanti. D'altronde la regia è di Joe Berlinger, che si è spesso focalizzato sul raccontare storie di crimini e serial killer.
È indubbiamente una docuserie schierata, per quanto sia completa, che chiaramente parteggia per i genitori di JonBenét ma per me non è stato un problema. Il vero intoppo per me è stato però il terzo episodio: se i primi due mi sono sembrati molto scorrevoli, chiari e comprensibili, il terzo mi è sembrato un po' più lento, non solo perché ormai avevamo conosciuto buona parte del caso, ma anche perché si dilunga con scene in cui semplicemente brevi testi raccontano come mai ad esempio il fratello di JonBenét, Burke, non ha voluto essere intervistato, o alcune parti più recenti delle indagini. Inoltre può essere un documentario non adatto a tutti, ha immagini forti oltre ad un tema delicato e sicuramente può triggerare chi ha vissuto circostanze simili.
The Diplomat ha i suoi lati negativi ma come la prima, è finita lasciandomi con l'ansia che riprenda subito.. le ultime due puntate da urlo davvero, come tensione e soprattutto qualità di sceneggiatura.. una ricchezza difficilmente riscontrabile in tante altre serie..
RispondiEliminaEcco, a me questa tensione non arriva... cioè sì, ma è tutto un "ok, dobbiamo parlare ma dobbiamo stare attenti, chissà cosa potrebbe succedere" e alla lunga è "troppo".
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