La Prova e Dostoevskij, due serie tv poliziesche che funzionano ma non brillano

Sono meramente accomunate dal genere di cui fanno parte queste due serie tv poliziesche che ho visto nelle ultime settimane. Quindi non è un confronto, non è una gara che vuol paragonare quale delle due è migliore, ma ognuna ha pregi e difetti. Tra l'altro, oltre alla tematica centrale, ovvero la ricerca di un killer che in qualche modo si frappone nella vita del protagonista, entrambe le serie tv hanno stili molto diversi fra loro.


Dostoevskij 
Miniserie


Filippo Timi interpreta Enzo Vitello, ispettore di polizia ormai logorato da più fronti. La sua carriera ha subito infatti una forte battuta d'arresto perché la ricerca di un serial killer, che lui e gli altri poliziotti chiamano Dostoevskij, per via delle lettere che lascia sul luogo dei suoi omicidi, non sta trovando lo sviluppo sperato. La sua vita personale invece non ha più alcun bagliore di speranza, visto che la figlia Ambra (Carlotta Gamba) lo odia per essere stato assente e incapace di darle l'amore che ogni bambina necessita.
Così Vitello, che viene anche svalutato e deriso dai suoi colleghi, credendo di non avere ormai più nulla da perdere, inizierà a condurre le indagini a modo suo, fuori dagli schemi e dal protocollo delle forze dell'ordine.

Ideata, scritta e diretta dai fratelli Damiano e Fabio D'Innocenzo, e disponibile dal 27 Novembre su Sky Original, Dostoevskij è un thriller poliziesco che sta stretto in questo genere.
Tutta la serie tv è cupa, crea degli ambienti sporchi e logori, una realtà pesante e dura da cui sembra impossibile sfuggire, e dove ogni personaggio, chi più chi meno, è ormai temprato dall'ambiente.

Non so se ci sia stata una voluta, ma io ci ho visto un po' di ispirazione da True Detective nel raccontare una storia già di per sé complicata, in cui i protagonisti sono coinvolti, e in una quotidianità per varie ragioni ostile. I fratelli D'Innocenzo hanno fatto proprio un ottimo lavoro nel rendere i luoghi e il tempo in cui si svolgono le vicende, non solo adatti ai fatti raccontati, grazie ad un'ottima costruzione, ma anche in qualche modo avulsi da una qualunque riconducibilità specifica.


Enzo Vitello è proprio l'emblema di questo male diffuso, di questa realtà senza speranze, che in qualche modo viene raccontata dalle lettere lasciate da Dostoevskij e in cui il poliziotto si ritrova, ed è questo che in fondo lo spinge a voler proseguire le indagini. Filippo Timi fa un lavoro eccellente in tal senso, si è messo completamente a favore del suo personaggio, senza limiti fisici, e ci restituisce un protagonista intenso e tormentato, inseguito dai suoi stessi fantasmi a cui non riesce a sfuggire.

Dostoevskij però non è il thriller poliziesco adatto a tutti. In prima battuta perché è una miniserie cruda, a volte violenta ed esplicita, un po' come appunto True Detective, quindi se siete sensibili o preferite prodotti più soft, potrebbe in qualche modo turbarvi.
E c'è poi un aspetto che è pesato anche a me, ovvero una grande introspezione nel raccontare appunto le vicende personali di Enzo Vitello. Ci sono praticamente intere puntate quasi del tutto dedicate al suo rapporto con la figlia Ambra, e onestamente molte volte tutta questa voglia di scavare nelle loro faccende non ce l'avevo. 


Per quanto diventerà nel corso degli episodi comprensibile come mai Enzo sia così tormentato ed abbia trascurato la figlia, molto spesso i due si scontrano in modo anche molto violento, e nonostante delle prove attoriali ottime, tutto questo risvolto drammatico prende spesso il sopravvento sulle reali indagini per scoprire chi sia Dostoevskij. Anzi, anche la ricerca del killer è un po' sofferente, non solo perché messa da parte, ma anche perché noi da spettatori non veniamo più di tanto coinvolti dalle indagini.

Aggiungeteci anche dei dialoghi a volte artificiali, specie quando danno del "vecchio" al protagonista che alla fine ha solo cinquant'anni, e un sesto ed ultimo episodio buio e lento, ed avrete il quadro completo su come mai non sono stato convinto fino in fondo. La sensazione generale è che, per quanto ben fatta, Dostoevskij sia stata forse un po' azzoppata da una ricerca di un taglio autoriale ad ogni costo, che alla fine la rende troppo fredda e poco coinvolgente.


La Prova
Miniserie

Ha un approccio del tutto diverso, più generalista, la miniserie in quattro brevi episodi arrivata su Netflix il 7 Gennaio di quest'anno e che racconta di un caso davvero accaduto in Svezia. Siamo nella cittadina di Linköping nel 2004, quando misteriosamente un bambino viene ucciso da un killer misterioso, e farà la stessa fine una donna che assiste alla faccenda e tenterà di fermare l'assalitore. Non essendo proprio abituata a casi del genere, la polizia del luogo brancolerà a lungo nel buio, ed il poliziotto a cui è affidata l'indagine, John Sunding (Peter Eggers), non riuscirà subito a dare alle famiglie la giustizia che meritano.
Serviranno ben 16 anni prima che John, che nel mentre ha anche dovuto affrontare dei problemi personali visto che la moglie incita lo lascia poco prima del parto, riesca a trovare il killer grazie all'aiuto di un esperto di genealogia forense.

La prova (Genombrottet è il titolo originale) rispetta più tradizionalmente i canoni del procedural drama, senza perdersi troppo in tante divagazioni, ma facendoci seguire proprio le indagini alla ricerca dell'omicida. In questo senso è efficace: secondo me arriva netta quella desolazione, quella frustrazione che devono aver provato le persone coinvolte nel non riuscire a risolvere il caso e trovare pace. Infatti, non essendo un serial killer, l'assalitore sembra avesse agito in modo del tutto casuale, rendendo praticamente impossibile trovare una pista da seguire ed un qualunque movente. 

Come in Dostoevskij, la parentesi personale dell'agente Sunding e di tutte quelle persone coinvolte, come la famiglia del bambino ucciso, danno un quadro più completo alla serie, ed offrono l'occasione per parlare di genitorialità. Qui però è tutto molto più sfumato e collaterale al filone principale, e anche i passaggi temporali non diventano motivo per prolungare troppo le cose.


Il problema di La prova è che è un crime fine a se stesso, che può risultare un po' freddo in generale, che non trova mai delle idee innovative per raccontare i fatti o per appunto brillare nel panorama del genere, e che anzi può risultare prevedibile ed affrettato sul finale. Ci si aspetta magari un colpo di scena in grado di ribaltare tutto, che però non arriva e un po' ti fa domandare se fosse il caso di farci una serie.

Credo infatti che non ci fossero nel caso delle vicende de La Prova, tutte le sfaccettature necessarie per creare una miniserie solida come ad esempio Asunta, per restare nel genere proposto da Netflix, ne la 
Anche la messa in scena, al contrario di Dostoevskij, non è particolareggiata o ricercata, ma nella media delle serie tv della grande N o la minuziosità di Qui non è Hollywood.
Ma nell'insieme è interessante da seguire, specie se siete fans del true crime, è interpretata discretamente, e poi è molto breve, quindi perfetta per chi non ama impelagarsi in storie prolisse e in decine di puntate.

0 comments:

Posta un commento

E tu cosa ne pensi?

Info Privacy

Vi sono piaciuti