Zero Day
Miniserie
L'ho terminata da pochissimo, ma Zero Day è disponibile su Netflix da più di un mese e sembra ancora essere fra le serie tv più viste della piattaforma, anche se a me non ha proprio entusiasmato.
Robert De Niro indossa (alla perfezione, tocca dirlo) i panni di George Mullen, un ex Presidente degli Stati Uniti, che è stato particolarmente amato, ma che non si è ripresentato alle elezioni per motivi personali. Adesso però è stato chiamato dalla attuale presidente Evelyn Mitchell (Angela Bassett) per scoprire i colpevoli di un attacco hacker che ha avuto un impatto fortissimo non solo sull'economia, ma anche sui trasporti e su tutti gli ambiti in cui la tecnologia è fondamentale.
Pur avendo le carte in regola per essere la degna risposta di Netflix alla Paradise disneyana, Zero Day ha avuto su di me un impatto persino inferiore rispetto alla serie di Dan Fogelman. Infatti l'imponente apparato produttivo, che si è potuto accaparrare anche un cast non da poco, che include nomi come Matthew Modine (il "cattivo" di Strangers Things), Lizzy Caplan, Connie Britton, Joan Allen (che avevo confuso per Michelle Fairley) e Dan Stevens, purtroppo si è dovuto scontrare con grossi problemi nella sceneggiatura. L'impressione che ho avuto, per farla breve, è che mancasse la giusta tensione e quel senso di "necessità" che ti tiene realmente incollato allo schermo.
Zero Day infatti racconta una guerra tecnologica, che suona ancora più credibile di quanto proposto in Paradise, sottolineando non solo della fragilità del nostro sistema informatico, o della polarizzazione dei media, ma anche di quanto le istituzioni possano essere corrotte o corruttibili, a volte impotenti o capaci di azioni pericolose.
Peccato però che questi temi caldi come si suol dire, vengano trattati in modo un po' caotico, e allo stesso tempo senza quella necessaria ansia che invece dovrebbero suscitare. A volte ho proprio avuto l'impressione che Zero Day fosse un po' troppo old style, verbosa, e che in concreto accadesse ben poco nel corso dei sei episodi di cui è composta. Ma ho notato anche una certa incapacità nel chiudere tutte le parentesi aperte nel corso degli episodi.
Anche il suo genere mi è sembrato un po' confuso: sarebbe in teoria una miniserie distopica (ma non troppo) con un taglio complottistico, e invece mi è sembrata quasi una spy story procedurale abbastanza tradizionale, dove i cattivoni non sono così incisivi. Anzi, a proposito, proprio la scoperta dei colpevoli dello zero-day, rende il finale della serie ancora meno impattante.
Ed abbassandosi il pathos che Zero Day avrebbe dovuto suscitare, si innalza la sua dimenticabilità che me la rende una delusione.
Adolescence
Miniserie
Si è parlato tantissimo di Adolescence, la miniserie creata da Jack Thorne e da un impegnatissimo (su più fronti) Stephen Graham, che fa anche pare del cast, e io mi trovo fra quelli a cui è piaciuta anche parecchio.
In quattro episodi, tutti girati in piano sequenza, conosciamo la storia del giovanissimo Jamie Miller (Owen Cooper), un tredicenne che viene arrestato dalla polizia con l'accusa di aver ucciso una sua compagna di scuola. I modi in cui Jamie verrà preso in custodia e la accuse mossegli, manderanno la famiglia del ragazzo (Stephen Graham interpreta suo padre Eddie) in uno stato di shock, tristezza e profondo turbamento, incapace di metabolizzare una notizia così forte. Seguiremo così le indagini degli agenti Luke Bascombe (Ashley Walters) e Misha Frank (Faye Marsay) ma soprattutto l'effetto devastante sui Miller.
In quattro episodi, tutti girati in piano sequenza, conosciamo la storia del giovanissimo Jamie Miller (Owen Cooper), un tredicenne che viene arrestato dalla polizia con l'accusa di aver ucciso una sua compagna di scuola. I modi in cui Jamie verrà preso in custodia e la accuse mossegli, manderanno la famiglia del ragazzo (Stephen Graham interpreta suo padre Eddie) in uno stato di shock, tristezza e profondo turbamento, incapace di metabolizzare una notizia così forte. Seguiremo così le indagini degli agenti Luke Bascombe (Ashley Walters) e Misha Frank (Faye Marsay) ma soprattutto l'effetto devastante sui Miller.
Pur partendo da un crimine da cronaca nera, nello specifico un femminicidio efferato, Adolescence cerca di fare un passo ulteriore. La struttura, anzi direi quasi lo scheletro viste le poche informazioni che ci danno sul caso, della crime story serve a parlare di altro, e ogni singolo aspetto, da un dialogo, ad una reazione di uno dei protagonisti, cerca di suggerirci una tematica differente.
Già l'incipit è il manifesto di una situazione attuale: la violenza, specie verso le donne, è un problema della nostra società, ed è ancora più preoccupante perché spesso sono giovani e giovanissimi ad essere coinvolti. Adolescence non solo ha come protagonista un personaggio appunto adolescente, ma ci porta nel mondo dei suoi coetanei, nelle loro forme di comunicazione e di linguaggio che passa soprattutto attraverso i social. Così si parla di Incel, di emoji che assumono significati differenti da quello che rappresentano, e di altre teorie che circolano in rete e si solidificano nelle menti dei più giovani.
Già l'incipit è il manifesto di una situazione attuale: la violenza, specie verso le donne, è un problema della nostra società, ed è ancora più preoccupante perché spesso sono giovani e giovanissimi ad essere coinvolti. Adolescence non solo ha come protagonista un personaggio appunto adolescente, ma ci porta nel mondo dei suoi coetanei, nelle loro forme di comunicazione e di linguaggio che passa soprattutto attraverso i social. Così si parla di Incel, di emoji che assumono significati differenti da quello che rappresentano, e di altre teorie che circolano in rete e si solidificano nelle menti dei più giovani.
Questo si collega ad un discorso che adesso sembra essersi accentuato: il dialogo fra genitori e figli sembra quanto mai incapace di avere dei frutti, anzi sembrano due mondi che non si capiscono.
Ma i temi di Adolescence sono parecchi, a volte mostrati attraverso suggestioni o pochi momenti, altre in lunghe sequenze: dalla totale mancanza di rispetto delle istituzioni, la scuola soprattutto, da parte dei giovani, al ruolo dei genitori, anche come esempi, per i loro figli, passando per argomenti più intimi come l'autostima, l'educazione sessuale e sentimentale, specie dei maschi verso l'universo femminile.
Se proprio devo trovare qualcosa che non mi ha convinto di Adolescence, e che magari può annoiare qualcuno, è che certi messaggi li palesa molto chiaramente, come appunto un figlio che cerca di spiegare al genitore come comunicano i giovani oggi, mentre altre circostanze passano molto sottobanco, e si colgono solo attraverso alcuni flash.
È vero però che si tratta di argomenti molto complessi e non spetta ad una serie tv, che come primo compito ha l'intrattenimento, di avere una funzione pedagogica o documentaristica per grandi e più giovani, ma al massimo può essere una base per creare una riflessione. D'altronde Adolescence non parte nemmeno da un vero singolo caso di cronaca reale, ma prende una tendenza generale.
A potenziare questi temi c'è uno stile preciso, ovvero questi piani sequenza che ci fanno seguire quasi in prima persona tutte le emozioni che la serie tv vuole suscitare, ma anche dal talento degli attori stessi. Nel cast troviamo anche Erin Doherty, che torna a lavorare bene con Stephen Graham, e soprattutto Owen Cooper che riesce a passare in tutti gli stadi che Jamie attraversa.
Adolescence non è quindi solo una miniserie, ma è proprio una riflessione su noi e sulle prossime generazioni, che fa quasi passare in secondo piano il fatto principale e farci guardare ad un altrettanto sconcertante quadro di insieme.
Meravigliosa adolescenza. Quel finale, quel papà. Mi ha spezzato il cuore.
RispondiEliminaDà molto su cui riflettere quella serie
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