Garnier Color Sensation Color Retouch: copre davvero i capelli bianchi in 10 minuti?

Succede che ormai da anni tingo i capelli, ed è un processo che ho avuto modo di raccontare qui più e più volte.
Succede anche che nel tempo ho sperimentato diverse tinte per capelli "fai da te", con risultati più o meno variabili, fino ad arrivare a quella che preferisco e riacquisto abitualmente.
Succede però che la mia curiosità è sempre molta ed appena vedo un prodotto che sembra poter rendere il processo della tinta in casa più veloce e semplice, allora mi ci fiondo, sperando che sia davvero rivoluzionario.
È successo così che un paio di mesi fa ho iniziato a testare il nuovo Color Retouch della linea Color Sensation di Garnier, una gamma per il ritocco della ricrescita.


INFO BOX
🔎Tigotà, Grande distribuzione, Amazon 
💸 €2.99/3.99
🏋 20ml, 20ml
🗺 India
⏳  Kit monouso
🔬 Vegan

È pensata come una colorazione senza ammoniaca, che in soli 10 minuti dovrebbe coprire i capelli bianchi alla radice e all'attaccatura, quindi appunto andare a ritoccare quelle aree in cui sono più visibili, o in generale per ravvivare ed intensificare la colorazione dei capelli. Garnier dice che il suo effetto duri ben 4 settimane, ma ci tiene a specificare che non si tratta di una tinta permanente, ma che dovrebbe venire via con i lavaggi.
Inoltre dicono anche che può essere usata con qualunque altro marchio di tinta utilizziamo abitualmente, ma anche tutta una serie di avvertenze in caso di capelli trattati con henné o decolorati, in fondo come capita con le tinte casalinghe in generale. 
Proprio per essere quanto più adattabile possibile, è stata declinata in 8 diverse tonalità di colore definite come universali, e io nello specifico ho preso il Nero 1.0.

Garnier punta tutto sulla praticità per quanto riguarda questo Color Retouch, definendola facile da applicare come uno shampoo, oltre che veloce da fare agire sui capelli.

Nella confezione infatti si trovano due bustine che vanno miscelate fra di loro direttamente sui guanti o in una ciotola non metallica. La consistenza della due fasi unite è quella di una crema gel che in effetti non solo si applica bene, ma non gocciola. Tuttavia non la utilizzerei mai miscelando le due parti sul guanto di volta in volta perché si finisce per non avere mai le due parti unite in quantità uguali. Insomma mi sembra un processo inutilmente macchinoso quando si può utilizzare una ciotola, ma soprattutto si tratta di una tinta a tutti gli effetti che come tale richiede alcune precauzioni.

Infatti molto spesso le tinte vengono definite come degli shampoo per la loro praticità, ma secondo me può portare ad un fraintendimento da parte di chi non ha magari tanta esperienza, perché esistono già gli shampoo tonalizzanti, ma sono cose diverse.
Per esempio io ho sempre applicato la mia pasta all'ossido di zinco per evitare che si macchiasse la pelle all'attaccatura dei capelli o le orecchie, e ho sempre preferito stendere il Color Retouch Garnier con un pennello così da essere più preciso, ed evitare di distribuire il prodotto in maniera disomogenea.

Inoltre può macchiare tessuti, pelle e oggetti esattamente come qualunque altra tinta, quindi state attenti.

Ho poco da raccontare sugli ingredienti del prodotto perché ha in effetti tutta quella serie di sostanze chimiche che si trovano nelle colorazioni per capelli. Potrei sottolineare la presenza di olio di rosa canina, ma servirebbe a poco secondo me. Tuttavia l'ho trovata una formulazione abbastanza delicata perché questo Color Retouch non mi ha arrossato o seccato il cuoio capelluto, e nel mio caso è abbastanza sensibile e irritabile. 

Quindi vi dicevo, io l'ho usata come una tinta qualsiasi, applicandola con cura con un pennello e ho trasgredito alla regola su cui Garnier insiste di più, ovvero i tempi di posa. La verità è che conosco quanto siano refrattari i miei capelli ad essere tinti, specie i bianchi, e ho utilizzato il Color Retouch quando comunque avevo un mese di ricrescita, quindi dovevo coprire almeno un centimetro di lunghezza. Ho preferito tenere il prodotto in posa per almeno 20 minuti, e fortunatamente non mi ha creato problemi alla cute.


L'utilizzo di questo ritocco colore per me è stato molto semplice ed intuitivo, ma come anticipavo è necessario stare un po' attenti quando la si stende perché il prodotto è davvero poco: considerate che le due bustine miscelate compongono 40ml di tinta, mentre ad esempio la Casting Crème Gloss contiene 120ml di prodotto, o la stessa Garnier Good arriva a 100ml.

Quindi il Color Retouch ha in media 80/60ml in meno rispetto alle altre tinte casalinghe, e se magari vi sembra che non sia un problema, sappiate che può esserlo se avere più aree visibili da coprire, se volete rinnovare il colore delle lunghezze ad avete dei capelli molto lunghi, o anche semplicemente se siete abituati con altre tinte che sono molto più abbondanti. È vero che la crema colorante si stende molto bene e col massaggio si riesce ad "allungarla", ma ammetto che al primo utilizzo ero un po' nervoso che il prodotto non bastasse. In linea generale credo che appunto una confezione basti se avete i capelli corti e se dovete coprire attaccatura e la zona in cui fate la riga ai capelli.

Mettendo da parte tutta la questione della praticità, su cui ho più che altro avvertenze che criticità da sottolineare, la mia esperienza con il Color Retouch Color Sensation ha i suoi alti e bassi.
Ho iniziato a testarlo a maggio ma ho voluto attendere prima di parlane non solo per vedere come sarebbe durato il colore, ma anche per ripetere l'esperienza.
Devo ammettere che subito dopo il primo utilizzo sono rimasto stupito: infatti il Color Retouch non solo mi aveva coperto completamente i capelli bianchi, ma mi aveva dato un colore omogeneo, in una tonalità di nero intenso e abbastanza neutro non troppo blu o rossastro. Inoltre non avevo notato problemi sia al cuoio capelluto come anticipavo, sia ai capelli che tutto sommato erano abbastanza morbidi.

Il primo problema che ho riscontrato però è stato la rimozione della tinta: nonostante non sia in quantità esagerate, sembra che si incolli e non si sciacqui con facilità, ma soprattutto nonostante il doppio shampoo ed il passaggio col balsamo, ho notato il giorno seguente delle macchie sul cuscino. Ho pensato che fosse stata colpa mia che magari non avevo lavato comunque bene, ma l'esperienza mi dimostrerà altro.

Restando alla prima volta che ho utilizzato il Color Retouch Garnier, è stata la durata ad avermi lasciato perplesso: infatti già al terzo lavaggio la coprenza ha iniziato a cedere, mostrando purtroppo sui capelli bianchi un riflesso rosso che poco si addice al mio colore naturale e al mio incarnato. L'unica causa di un così veloce deterioramento del colore la posso addurre agli impacchi oleosi che faccio ai capelli, ma fortunatamente nelle aree in cui avevo tracce della precedente tinta il riflesso non era visibile. Dopo le fatidiche 4 settimane per me la colorazione non era più accettabile perché era scaricata ulteriormente sempre sui toni del rosso caldo, quasi carota.

Ho voluto rifare questo Color Retouch per vedere come avrebbe agito "stratificandosi" e diciamo che l'esperienza è stata leggermente differente, ma è cambiato anche un aspetto: ho terminato l'olio capelli che stavo utilizzando ed in effetti ho notato che il colore è scaricato molto di meno e i riflessi rossi sono appena visibili. Considerate che al momento in cui sto scrivendo sono passate più di 4 settimane dalla seconda colorazione e il colore è ancora presentabile. È vero che c'è sempre qualche riflesso rosso, ma è molto lieve e scuro abbastanza, quindi non posso dire che l'effetto sia sgradevole.
Anche in questa seconda esperienza c'è stato però il problema delle macchie sul cuscino, e anche mia madre, che ha provato il Castano Chiaro, ha notato lo stesso. 

Secondo me il Color Retouch Color Sensation è un prodotto adatto a chi deve fare la tinta prima delle tipiche 4 settimane ed ha bisogno di un ritocco veloce e facile e tutto sommato duraturo rispetto agli spray temporanei, specie se non fate impacchi oleosi. Inoltre penso che la confezione possa bastare per chi ha i capelli corti o molto corti e vuole tingerli senza sprecare un flacone intero e con un risparmio anche economico. 
Se invece avete capelli molto folti, lunghi, con molte aree visibili di bianco da coprire, e siete soliti fare la tinta ogni mese senza necessità di ritocchi prima, o comunque senza che la ricrescita vi "turbi" troppo, allora credo che un prodotto del genere non vi serva.


Voi l'avete provato?



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Tre film Netflix su cui pensavo peggio...

Un thriller, una commedia e un ibrido, sono i tre generi dei film che ho visto su Netflix in queste settimane e a cui onestamente mi ero approcciato con estrema superficialità pronto a tornare qui per lamentarmene. Invece, alla fine, tutto sommato posso ritenermi soddisfatto, conscio del fatto che sicuramente c'è di peggio, ma anche di meglio.


La probabilità statistica dell'amore a prima vista (2023)


Titolo originale: Love at first sight
Genere: commedia sentimentale
Durata: 91 minuti
Regia: Vanessa Caswill
Uscita in Italia: 15 settembre 2023 (Netflix)
Paese di produzione: Stati Uniti d'America

Volevo vedere questa commedia romantica già dall'anno scorso quando uscì a settembre, ma poi mi scappò di vista, perdendosi sotto altre uscite e dal peso del fatto che Netflix butta fuori tantissimi film di questo genere, che spesso però non sono validi nemmeno per tenerti compagni mentre dormi, ma ho trovato un posto per La probabilità statistica dell'amore a prima vista e non me ne sono troppo pentito.

Tratto da un romanzo di Jennifer E. Smith, il film ci fa conoscere Hadley (Haley Lu Richardson da The White Lotus) e Oliver (Ben Hardy) i quali si incontrano per caso in aeroporto, trovando subito un inaspettato affiatamento. Hadley e Oliver sono però due ragazzi molto diversi: lei americana, spigliata ma ritardataria, spesso incasinata, e deve arrivare a Londra per un matrimonio a cui non vorrebbe andare, ma cui non può mancare; lui invece è inglese, con un carattere chiuso, preciso e matematico in tutto, con una missione ben più triste. Servirà una grossa mano del destino affinché i due ragazzi possano rincontrarsi ed amarsi anche quando le cose non sembrano andare per il verso giusto.

La probabilità statistica dell'amore a prima vista è una di quelle commedie romantiche che ti fa credere che questo genere non sia del tutto morto e sepolto. 
Certamente anche questo film Netflix raccoglie cliché, battute e situazioni già usate in molte altre pellicole, ma messe così insieme mi è sembrato che si incastrassero bene fra di loro.
E così ti ritrovi coinvolto in una storia che ha un bel ritmo e che è sì la zuccherosa meet cute fra due giovani, ma che cerca di toccare temi più spessi, come l'elaborazione di un lutto e i rapporti con i genitori e la famiglia in genere osservati da punti di vista differenti.

Ci si affeziona ai personaggi e alle loro vite, ci si può commuovere ed il risultato, farcito con statistiche e percentuali sui primi incontri e sulle relazioni in genere, ti tiene compagnia. Poi ho trovato Haley Lu Richardson e Ben Hardy perfetti per questi ruoli, carini e coccolosi al punto giusto. 
Parliamo però pur sempre di un film Netflix e quindi anche La probabilità statistica dell'amore a prima vista non è esente da difetti.

Per dire il costante voice over alla lunga scoccia un po', e la presenza costante di Jameela Jamil richiede un ulteriore abbassamento della soglia della credulità. Ho poi volutamente saltato la scena del balletto al matrimonio perché onestamente non se ne può più di doversi sorbire uno dei momenti più cringe che il cinema continua ad offrire. In generale non ci si spreca troppo, come in effetti accade in tante commedie, nel dipingere i personaggi secondari.
Per il resto è un intrattenimento carino, non troppo banale, e con una messa in scena piacevole. 


 I Crimini di Emily (2022)


Titolo originale: Emily the Criminal
Genere: thriller
Durata: 97 minuti
Regia: John Patton Ford
Uscita in Italia: 12 Giugno 2024 (Netflix)
Paese di produzione: Stati Uniti d'America

Faccio un passo ancora più indietro con un altro film di un paio di anni fa, che non credo si sia fatto notare quando uscì al cinema, che però è arrivato su Netflix più o meno a metà Giugno e che ha avuto una chance con me per la presenza di Aubrey Plaza, che ormai si è data anche al cinema drammatico, anche lei da The White Lotus.
La storia è quella di Emily, una ragazza di più di 30 anni che stenta a sbarcare il lunario: lavora in un servizio di catering mettendo da parte il suo talento artistico, ma non è soddisfatta e soprattutto non riesce a ripagare il suo debito studentesco. La sua fedina penale non limpida inoltre non la aiuta e così Emily decide di trovare una strada secondaria, e finisce per partecipare a piccoli crimini. Una volta però entrata nel giro, sarà difficile non esserne ancora più coinvolta.

I Crimini di Emily si muove essenzialmente su due binari, da un lato il thriller crime, vista la prospettiva in cui la protagonista finisce, e dall'altro l'aspetto più drammatico, che riguarda soprattutto la vita di Emily e cosa l'ha fatta finire in queste circostanze. Entrambe le linee riescono a convivere bene insieme, raccontando alla fine una storia contemporanea.
Ok, non tutti si mettono a fare frodi bancarie per fortuna, ma I crimini di Emily mostra anche uno spaccato comune e diventa una critica sociale, soprattutto negli Stati Uniti, ma anche da noi. Il problema della disoccupazione e in generale della precarietà non solo su un piano lavorativo ma della società in generale è praticamente cronaca di ogni giorno, e questo film la racconta abbastanza bene. L'unica strada in cui ad esempio Emily potrebbe intraprendere per seguire i suoi sogni di artista è quella di uno stage sottopagato, e immagino come quella scena possa sembrare molto familiare a tantissimi.

Dall'altra parte, il filone crime, sebbene così impostato non sia il mio genere preferito, è convincente, ha ritmo e suspense e sa essere anche più crudo quando serve, pur unendo idee già viste.
I Crimini di Emily è però un po' un film fine a se stesso, nel senso che la parabola di Emily non ha un punto di redenzione o momenti che mi abbiano emozionato particolarmente da rendere il film adatto ad una seconda visione, nonostante la sua lunghezza giusta per la storia che racconta. Finisce quindi per essere un intrattenimento ben fatto, con i giusti accenti cupi e drammatici, con una Plaza che mi ha convinto, ma che non si avvicina minimamente a lasciare il segno.


La ragazza della palude (2022)


Titolo originale: Where the Crawdads Sing
Genere: giallo, drammatico
Durata: 125 minuti
Regia: Olivia Newman
Uscita in Italia:13 ottobre 2022 (Cinema)/ 6 Luglio 2024 (Netflix)
Paese di produzione: Stati Uniti d'America

Con 'La ragazza della palude' ho avuto un'esperienza simile a quella avuta con 'I crimini di Emily, anche se in questo caso ero ancora più reticente perché ne avevo sentito delle critiche che poi ho scoperto essere assurde. Uscito in sala nel 2022, è arrivato su Netflix a Luglio, La ragazza della palude è l'adattamento di un romanzo di Delia Owens, ed è prodotto dalla casa di produzione di Reese Whiterspoon, quindi almeno sulla carta farebbe anche promettere bene.

In questo caso conosciamo Kya Clark (Daisy Edgar-Jones) una ragazza che vive nelle paludi in un villaggio della Carolina del Nord e con una infanzia particolare e dolorosa: la sua famiglia si è disgregata per colpa di suo padre, un uomo violento e con problemi di alcolismo. Dopo la madre, lentamente anche i suoi fratelli l'hanno abbandonata e quando anche suo padre è mancato, Kya si è dovuta darsi da fare, crescendo molto velocemente. Diventata una giovane donna avrà i suoi momenti di rivalsa e scoprirà anche l'amore, ma non sarà comunque facile per lei, specie quando verrà incolpata di aver ucciso un ragazzo di una famiglia facoltosa.

Dicevo che La ragazza della palude mi era stato anticipato come una completa porcheria, ma sono sicuro di aver visto ben di peggio. Infatti la storia mi è sembrata interessante, con qualche twist che riesce a mantenere o rinnovare il ritmo, e con alcuni (pochi) momenti più toccanti. Alla fine si tratta di un coming of age di una outsider, una ragazza che per le circostanze della vita ha dovuto trovare il modo di sopravvivere quasi esclusivamente da sola con gli unici mezzi su cui sapeva di poter contare. 

È vero però che La ragazza della palude spara un po' nel mucchio cercando di toccare quanti più generi possibile, dal dramma che si riversa in melodramma, al poliziesco, per sfociare nel romantico, e non sempre riesce a dare spazio e spessore ad ognuno di questi stili.
Inoltre la storia non inizia proprio col piede giusto perché non si capisce come mai una bambina venga abbandonata sia dalla madre che dai fratelli con un uomo comunque non in grado di accudirla come si dovrebbe.

Capisco che per qualcuno tutto questo possa essere un guazzabuglio, o meglio che queste continue sterzate possano risultare troppo brusche e non convincere, ma alla fine secondo me è un film con una sua logica e che sa intrattenere, con delle linee temporali comprensibili e non mi ha annoiato troppo.

Per quanto non l'abbia amata in Normal PeopleDaisy Edgar-Jones sa comunque tenere sulle sue spalle un film intero, pur non avendo un personaggio così sfaccettato da interpretare, e credo stia crescendo come attrice.
Se lo avessi visto al cinema La ragazza della palude mi avrebbe forse lasciato un po' perplesso, ma penso che in streaming ci siano robe ben peggiori per poter ritenere questo film come il male assoluto. 




Il nuovo Lip Balm di The Ordinary è il prodotto che stavo aspettando!

The Ordinary ci sta letteralmente sfamando con tantissime novità di cui sto provando a raccontarvi la mia opinione nel corso del tempo. A giugno di quest'anno ad esempio si sono uniti alla loro gamma prima il Balancing & Clarifying Serum (qui la mia recensione) ed il 20 è arrivato un prodotto inedito per loro, ovvero il nuovo Squalane + Amino Acids Lip Balm.



INFO BOX
🔎 theordinary.comsephora.itlookfantastic.it 
💸 €11.40
🏋 15ml
🗺 Made in Canada
⏳ 6 Mesi
🔬 Cruelty Free

Se fino ad ora infatti The Ordinary si era occupata quasi esclusivamente della cura della pelle, adesso è passata anche a quella delle labbra, trasferendo quegli attivi che da sempre utilizza nella skincare e scegliendo quelli più adatti per questa area del viso.
Già dal nome capite che è arricchito con squalane ed una sfilza di aminoacidi skin identical, che fungono da emollienti e umettanti per la pelle, ma c'è altro.
Infatti il Lip Blam The Ordinary contiene anche due cere naturali, precisamente di semi di girasole e di acacia e gli esteri di jojoba, che forniscono quell'azione occlusiva che tutti i balsami labbra necessitano per trattenere l'effetto degli agenti umettanti.
Un altro ingrediente di origine vegetale è l'olio di semi di Baobab, che non solo è emolliente e nutriente ma ha anche un effetto antiossidante.

Al contrario di praticamente il 90% dei balsami labbra, lo Squalane + Amino Acids Lip Balm non ha una formula completamente anidra, ma contiene anche acqua, di conseguenza agisce come una emulsione e al contrario degli altri burrocacao non è soltanto uno strato nutriente e protettivo, ma agisce come se fosse una crema per le labbra.

Tuttavia la consistenza è quello di un balsamo appunto, abbastanza sodo appena lo si preleva, ma che non fa fatica a stendersi sulle labbra anche con lo stesso applicatore. Volendo si può prelevare il prodotto anche con le dita se non amate gli applicatori in plastica, ma io lo trovo comodo e pratico e non sbrodola troppo prodotto in una volta.  

Sempre a proposito della formulazione, The Ordinary come sempre non ha inserito fragranze o profumi, e soprattutto non ha sapore: è vero, non si mangia il balsamo labbra, ma comunque parlando o leccandosi inavvertitamente o anche solo applicandoli, alcuni prodotti che promettono di essere neutri hanno comunque un odore o un sentore, a volte sgradevole. Questo è davvero inodore e insapore.

Ho voluto aspettare un bel po' prima di parlarvi dello Squalane + Amino Acids Lip Balm non solo per vedere come si sarebbe comportato questo prodotto su di me, ma anche per il pack. Perché sì è molto carino, tascabile, lo metti in borsa e non occupa spazio, ma temevo che man mano che il balsamo terminava, poteva diventare difficile da prelevare. In realtà non solo il pack è morbido, ma la consistenza è sufficientemente fluida da fuoriuscire anche quando la confezione non è più piena. 

Quello che ho apprezzato sin dal primo momento di questo Lip Balm The Ordinary è la leggerezza sulle labbra, non crea strato, il fatto che non appiccichi e che abbia un finish naturale, non troppo lucido o glossato. In fondo l'azienda l'ha studiato per adattarsi sia alle preferenze maschili che femminili, preferendo un effetto naturale. Oltre alla giusta consistenza, che tra l'altro non sborda, mi è piaciuta anche la durata sulle labbra, e se magari durante il giorno posso più o meno prestarci attenzione, mi ha stupito applicarlo la sera e sentirlo ancora sulle labbra al risveglio al mattino. 

Ad avermi convinto però è stato il potere idratante di questo prodotto. È vero non è il balsamo labbra più nutriente e occlusivo che esista nel beauty mondo, ma su di me funziona molto bene. Da tempo infatti faccio fatica a trovare dei balsami labbra che non creino più danni che benefici, perché spesso mi irritano le labbra e le seccano ulteriormente, al punto che ho quasi smesso di usarli preferendoli ad una semplice crema idratante più corposa (ad esempio ho spesso usato il Natural Moisturizing Factors + PhytoCeramides). Con lo Squalane + Amino Acids Lip Balm ho trovato la quadra e più lo uso e più idrata le labbra. 

Da quando ho iniziato ad usare questo balsamo The Ordinary c'è stato di mezzo un viaggio a Roma e un leggero raffreddore e voi vi starete chiedendo cosa c'entrino i miei fatti personali con una recensione, ma sono entrambe situazioni mi hanno causato labbra secche. Con il raffreddore è più facile arrivarci, mentre durante il viaggio credo  le ragioni di questa secchezza siano dovute ad una sorta di allergia (mi era già successo a Siviglia ad esempio) e al cambio dell'acqua che uso abitualmente per lavarmi. 

Comunque, in entrambe le occasioni, questo balsamo labbra mi ha aiutato a mantenere la zona morbida, nutrita ed elastica, senza che la secchezza peggiorasse, e col tempo ha riportato la situazione alla normalità.
A rendere questo balm efficace secondo me è proprio il fatto che contenga acqua, come dicevo sopra, e quindi risulta emolliente ma idratante. 
The Ordinary dice anche che è possibile utilizzarlo per nutrire zone del corpo come cuticole o gomiti, ma a me sembrava uno spreco usarlo così e non l'ho mai provato, ma mi è piaciuto abbinarlo ad altri prodotti per le labbra per colorarle ma idratarle allo stesso tempo.

Nota a margine: devo sottolineare il rapporto quantità prezzo, visto che molti balsami labbra in stick contengono circa 5grammi di prodotto in media, o alcuni toccano i 10, ma The Ordinary arriva a 15ml.


State seguendo le novità di The Ordinary?




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Presunto Innocente è un successo su Apple Tv+, ma è migliore del film originale?

Ti giri un attimo e spunta un'altra nuova serie tv plasmata sulle basi di un film più "datato" e famoso, spesso ridando alla storia un nuovo successo. È successo con One day, Ripley, The Gentlemen e Mr & Mrs Smith, ed è accaduto di recente a Presunto Innocente, celebre film degli anni '90 con Harrison Ford, che Apple Tv ha trasformato in formato seriale, puntando ad alcuni dei nomi che potevano assicurare, almeno sulla carta, una buona riuscita della produzione. 

Visto che la serie tv è terminata proprio in questi giorni, ho pensato di recuperare il film originale per vedere quali fossero le differenze e se potessi eleggere la migliore produzione fra le due, e specie se la serie tv Apple sia in grado di superare il film diretto da Alan J. Pakula.


Entrambe le produzioni partono dalla stessa identica storia, tratta dall'omonimo romanzo di Scott Turow del 1987 e che ci racconta di come la vita del procuratore distrettuale Rusty Sabich e della sua famiglia verrà sconvolta quando verrà ritrovata morta una sua collega, ovvero Carolyn Polhemus.
A Rusty vengono subito affidate le indagini dal procuratore capo Raymond Horgan per trovare l'assassino, ma quando verranno ritrovate le sue impronte digitali nella casa di Carolyn, le cose cambieranno e lui diventerà imputato. Rusty e Carolyn hanno infatti avuto una relazione e dovrà cercare di scagionarsi, e mantenere unita la sua famiglia, visto che la moglie Barbara è ovviamente poco serena (per così dire) che le scappatelle del marito siano ormai diventate di dominio pubblico.


Titolo originale: Presumed Innocent
Genere: giallo, thriller, drammatico
Durata: 122 minuti
Regia: Alan J. Pakula
Uscita in Italia: 1990 (Cinema)
Paese di produzione: Stati Uniti d'America

Le differenze che quindi ho notato fra entrambe le versioni di Presunto Innocente, e che posso raccontarvi senza fare spoiler, non riguardano tanto le linee narrative, se non per aspetti secondari, ma più che altro in impostazioni, stili e approfondimenti sui personaggi.

Quando uscì nel 1990 avevo solo un anno, quindi credo di aver visto Presunto Innocente nella versione cinematografica solo nel corso degli anni a seguire, ma ho preferito rinfrescarmi la memoria con un rewatch recente, ed ho notato che si tratta di un legal thriller in senso più stretto. Infatti, non appena Rusty (interpretato di Harrison Ford appunto) diventerà un sospettato, il film sarà incentrato esclusivamente sul processo al suo protagonista e al modo in cui questo cerca di scagionarsi nell'aula di tribunale, messo in difficoltà in questo caso dal suo collega Horgan, che è un antagonista rispetto alla serie e difeso dal suo avvocato Sandy Stern (Raul Julia).

Nelle sue due ore di durata quindi si esploreranno tutte le ipotesi sulla morte di Polhemus, con una crescente e costante tensione di fondo, che poi esplode nel plot twist finale (che non vi dico anche se sono passati 35 anni).

Nonostante la sua "veneranda" età, Presunto Innocente mi è sembrato ancora oggi un film solido e convincente, che mi ha intrattenuto e che non risente troppo il fatto di essere ormai stato in qualche modo superato da altri film più intensi. Credo infatti che ad oggi non si possa considerare una delle migliori pellicole del genere, ma nel suo è un po' un cult, uno di quei film che non stancano e che ti riguardi senza restarne deluso. Una sorta di usato assicurato.
Pur restando molto nel genere del legal, e appunto buona parte delle storie si svolga in uffici e aule di tribunale, non riesce ad annoiare proprio perché hanno saputo mantenere un buon ritmo e hanno inserito nei punti giusti i colpi di scena. Anche la regia e il montaggio si mantengono puliti e chiari.

In questo caso l'interpretazione di Ford secondo me è calzante: il suo Sabich è un "brav'uomo", un padre di famiglia che sa di avere le sue colpe soprattutto nei confronti della moglie Barbara (qui Bonnie Bedelia, altrettanto brava) e che non vediamo mai avere reazioni brusche, ma è sempre pacato, riflessivo e misurato probabilmente perché calibrato da anni di lavoro nel settore. 

Risulta invece anacronistica la caratterizzazione di Carolyn Polhemus (qui Greta Scacchi), la quale viene presentata come una donna intraprendente a tratti arrivista, disposta ad usare la sua avvenenza per fare strada, tanto che non mancano i suoi primi piani ammiccanti. Un modo comunque svilente per descrivere una vittima che, seppur in un mondo di finzione, vive solo attraverso i ricordi e i flashback di altri uomini. 

Se il film funziona comunque nella sua quasi interezza, ha senso una serie tv basata sulla stessa storia? Secondo me sì.
La creazione di Presunto Innocente su Apple Tv+ è stata affidata a David E. Kelley, che tutti ricordano per successi come per Big Little Lies o Ally McBeal scavando più indietro nel passato, ma è anche il padre di Big Sky o peggio di Anatomia di uno Scandalo, che era un caos, eppure questa volta ha azzeccato più di qualche scelta corretta.

Il "nuovo" Presunto Innocente infatti cerca di calare il legal thriller in un contesto più contemporaneo, finendo per diventare un drama.
Jake Gyllenhaal (che è anche produttore) interpreta un Rusty differente rispetto a quello di Ford, molto più impulsivo, nevrotico, ossessivo, irascibile e disposto a tutto pur di dimostrare la sua innocenza. 
Rispetto al film come dicevo, non ci sono grossi cambi narrativi, se non il fatto che ad esempio nella serie si sottolineano molto più spesso gli eventuali probabili killer di Carolyn Polhemus (Renate Reinsve), ma che ci siano molti altri aspetti che facciano pensare che sia stato proprio Rusty ad aver commesso il crimine. Il protagonista inoltre non è difeso da un avvocato a parte, ma da Raymond Horgan (Bill Camp).

La modernizzazione di Presunto Innocente porta a sottolineare anche molto di più la questione politica, e quindi di giochi di potere all'interno del loro distretto.
Ma si sottolinea anche di più la questione della salute mentale e dei rapporti di coppia: è qui che dal dramma procedurale si passa secondo me al genere drammatico vero e proprio.

Questo può accadere ovviamente perché gli otto episodi della serie tv Apple hanno tutto il tempo per approfondire dinamiche che il film non aveva. È così che Barbara, la moglie di Rusty, qui interpretata da una bravissima Ruth Negga, riesce ad avere maggiore spazio e sviluppo, entriamo molto di più nelle loro dinamiche matrimoniali e familiari. Tutti i personaggi riescono ad avere maggiori sfumature e sfaccettature, dove ognuno comunque ha i suoi angoli oscuri.

Hanno saputo anche migliorare la percezione di Carolyn Polhemus, che non appare più come una arrampicatrice sociale, ma come una donna capace e più equilibrata, meno seducente e più umana, nel bene e nel male.
Tutti questi approfondimenti hanno però un costo: l'impressione è che qui e lì la serie tv sbrodoli un po', si perda magari in storie secondarie che, seppur ben portate avanti, si capisce essere state inserite come un riempitivo. Torna ancora una volta il classico colpo di scena finale che ti porta all'episodio successivo, ma hanno previsto per Presumed Innocent una uscita a cadenza settimanale, quindi a tratti mi infastidiva.

Un altro neo di questo remake potrebbe essere il fatto che già si conosce la storia, eppure, oltre ai cambiamenti fatti, hanno saputo mantenere una buona suspense. 
Nonostante poi non hanno usato una messa in scena o una impostazione tecnica straordinaria, l'impatto visivo è curato ed ha quella giusta oscurità, quel tono cupo che la serie merita.

Quindi togliendo di mezzo paroloni come "capolavoro", che secondo me si addice a ben pochi prodotti, e guardando a anche al panorama attuale, penso che la versione di Apple Tv sia stata una buona riscrittura di Presunto Innocente, anzi direi che così me l'aspettavo e che può rientrare nei migliori titoli dell'anno. 
È ormai noto che ci sarà una seconda stagione, che però sarà incentrata su un'altra storia diventando praticamente antologica. 



La Essence di Neogen con ingredienti fermentati è da provare

Dopo un bel po' di tempo torno a parlare di essence viso coreane e lo faccio con un brand che conosco ancora davvero poco, ovvero Neogen Dermology, con una certa coerenza.

Era infatti sempre di questa azienda la prima essence che ho utilizzato (qui) e quindi a distanza di tre anni mi sembrava interessante capire cosa avessero proposto di recente, anche perché Neogen, con i suoi 15 anni di esperienza nel settore può dirsi un'azienda affermata e affidabile.
Quindi vorrei dirvi la mia sulla Real Ferment Micro Essence, che contiene il 93% di Bio Fermented Complex.


INFO BOX 
🔎  Yesstyle (sconto PIER10YESTYL)Stylevana, Amazon
💸 €25
🏋 18g
🗺 Made in Corea
⏳  12 Mesi
🔬 //

Nello specifico, la formulazione di questa essence Neogen mi ha colpito perché non parte con l'acqua, ma subito con appunto questi attivi fermentati. Nello specifico abbiamo 

  • il 32% di Lisato di Fermento Bifida, un batterio che funge da probiotico per la pelle e che la protegge dai raggi UV, e la ripara, riducendone la sensibilità
  • il 28% di Filtrato di fermentazione di Saccharomyces, derivato dal lievito e che risulta lenitivo, idratante e antiossidante e anch'esso contribuisce a rinforzare la barriera cutanea
  • la linfa di betulla bianca asiatica, un'altra sostanza ricca di nutrienti e che funge da idratante e protettivo
  • il 9% di filtrato di fermentazione del riso, meglio noto come sakè, la nota bevanda giapponese, qui usata per il suo naturale contenuto di aminoacidi 
  • il 4% Fermento di Aspergillus, che è estratto da batteri e muffe e che oltre a fungere da anti ossidante pare abbia una attività schiarente per la pelle.

A queste sostanze seguono una serie di umettanti come glicerina, trealosio e betaine, e ancora tanti altri attivi.

La Ferment Micro Essence Neogen è arricchita infatti anche con lactobacilli, che immagino rientrino sempre nel suo complesso fermentato, e la formulazione si chiude con una sfilza di aminoacidi, acido ialuronico e niacinamide, che per una volta, in un cosmetico coreano, non si trova alle primissime posizioni dell'INCI.

Non avendo profumazione aggiunta io non ci sento alcun odore, ma è praticamente acqua, o meglio  è forse leggermente più densa dell'acqua ma è una essence liquida, infatti si può applicare un po' di prodotto sul palmo della mano o su un dischetto di cotone e poi tamponarlo sul viso. Io preferisco il primo metodo per rapidità e praticità, e anche per non avere sprechi.

Il mondo delle essence è per noi forse un po' strano: andrebbero usate fra il tonico, in passato ad azione pulente, ed il siero viso, con consistenza più corposa, e in teoria ognuno dovrebbe avere texture, attivi e scopi differenti rispetto agli altri step. La verità è che le cose oggi si sono mischiate e che le essence possono essere a tutti gli effetti le sostitute per altri step. Nel caso della Real Ferment Micro Essence per me è stata ad esempio un vero e proprio tonico viso, da usare su pelle pulita sia al mattino che la sera.

Però devo ammettere che per pelli più miste e grasse della mia può diventare anche un siero, perché è comunque molto più ricca di attivi delle solite essence e fa bene il suo lavoro. Io infatti noto che dona una idratazione profonda ma non pesante, non la trovo appiccicosa su di me o oleosa, e posso applicarci altri prodotti dopo quasi subito. Nelle varie prove che ho fatto non ho notato interazioni strane con prodotti di altri marchi, segno che prepara la pelle alla skincare, anche quando abbondo con i passaggi.
Dall'altro lato però fa la differenza quando ad esempio l'ho utilizzata in una routine rapida con solo essence, un siero e la protezione solare e il livello di comfort e idratazione si è mantenuto per tutto il giorno.

Non c'è una tipologia di pelle con cui questa essence Neogen mi sembra non possa andare d'accordo, perché credo che tutti vogliano una pelle più idratata ma non appesantita, e quindi si può usare anche da sola o ci si può giostrare come meglio si crede, aggiungendo altro se se ne sente il bisogno.
Anche chi ad esempio ama fare molti strati sottili di idratazione può trovare in questo prodotto una soluzione.
Su di me oltre ad idratare, rende il viso più elastico e morbido, e credo contribuisca anche a rinforzare la barriera cutanea perché quando l'ho usato ad esempio dopo la rasatura, non solo non pizzica ma mi dà anche una sensazione di freschezza e un effetto lenitivo.


L'unica cosa che invece non ho notato è una maggiore luminosità della pelle, ma credo che nel tempo possa contribuire in questo senso, specie se associato a prodotti che vogliono agire in questo senso.
Per me il solo neo di questa Real Ferment Micro Essence è la confezione in vetro poco travel friendly non solo per le dimensioni o la fragilità, ma anche per il peso, quindi è necessario in quel caso travasare in un altro flacone se lo si vuole portare dietro.
Non mi preoccupa invece il prezzo perché come molti prodotti coreani è disponibile anche in formato minitaglia (qui) per cui potete provarlo prima di fare un investimento più grande

Qual è il vostro rapporto con le essence coreane?



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Le serie tv FLOP dell'ultimo periodo 🙈

Nelle ultime settimane sono riuscito a terminare altre serie tv oltre a My Lady Jane, e di mezzo ci sono un paio di flop, di cui uno inaspettato.

Faccio un salto a Maggio quando su Netflix è apparsa Bodkin, serie che si muove nel range della dark comedy thriller, e che era stata oggetto di curiosità soprattutto perché prodotta nientepopodimeno che dagli Obama, sebbene nulla li colleghi direttamente a loro.

Ma ad aver attirato il mio interesse è stato il fatto che Bodkin è ambientato in uno sperduto paesello irlandese, dove il podcaster Gilbert Power (Will Forte) andrà insieme alla sua assistente Emmy (Robyn Cara) per scoprire la verità su alcune persone scomparse misteriosamente negli anni '90. A loro si aggiunge anche una giornalista investigativa proprio di origini irlandesi, Dove (Siobhán Cullen), che sta avendo qualche problema legale.
Tuttavia, una volta sul posto, i tre non saranno ben accolti e scopriranno che il cold case è tutt'altro che freddo o dimenticato fra gli abitanti della cittadina, e che questi nascondono molti altri segreti.

Fin da subito Bodkin è stata messa a paragone con Only Murders in The Building sia per la questione dei podcast che per tutti i misteri da risolvere, ma la verità è che la serie tv Netflix è molto più standard di quella con Selena Gomez (che comunque ha i suoi difetti).

Bodkin è infatti un giallo a tutti gli effetti, che addirittura si ispira a fatti realmente accaduti e che segue i canoni tipici del genere e che, come potete immaginare dalla trama che ho cercato di raccontarvi senza spoiler, non ha particolari guizzi creativi, svolte originali o momenti particolarmente shockanti. Ma soprattutto non ha quella comicità che una dark comedy dovrebbe avere. Ogni tanto Power cerca di fare da comic relif, d'altronde Will Forte nasce come comico, ma la sua linea narrativa è comunque fiacca con qualche idea strampalata qui e lì.
In realtà tutti i personaggi mi sono sembrati in parte stereotipi di come ce li si aspetta: l'assistente goffa e intimidita, il podcaster con problemi personali che cerca lo scoop per restare a galla, la giornalista dal muso duro, e nessuno dei tre riesce a suscitare una minima simpatia, nonostante il tentativo di dar loro una parabola di redenzione e crescita.

Se questa è però una visione che ritengo abbastanza oggettiva su Bodkin, c'è una parte soggettiva che me la fa considerare una delle serie più noiose che ho seguito di recente. Infatti, non so se proprio per l'assenza di stimoli innovativi, tutto l'intreccio che vuole mettere in scena è stato scarsamente interessante. I primi episodi infatti buttano in mezzo troppi personaggi e nomi, e quando le storie iniziano a svilupparsi è un po' una insalatona mal riuscita di fatti che non mi hanno tenuto proprio incollato allo schermo. Si crea così un intreccio di relazioni e segreti che non riescono a creare comunque quella suspence e quella tensione che uno spettatore di un giallo si aspetta, e di cui non sapevo che farmene.
Inoltre credo che di mezzo abbiano voluto unire troppe storyline che fanno perdere di mordente al filone principale e alle storie dei tre protagonisti.


Non posso poi non sottolineare come tanti colpi di scena siano poco credibili e repentini per poter essere convincenti e funzionare.
Salvo tutto sommato la recitazione, mediamente buona, e ovviamente i paesaggi irlandesi, ma questo non può bastare.
Sono arrivato quindi alla fine di Bodkin con un interesse pari a zero solo nella speranza che magari migliorasse più che per scoprire quale fosse la risoluzione delle vicende, e con altrettanto interesse mi avvicinerei ad una ipotetica seconda stagione.

A proposito di flop, purtroppo anche V.C. Andrews’ Dawn non è riuscita a risollevarsi con gli ultimi due episodi, nonostante le basse aspettative che avevo.

Vi avevo detto, parlando della prima parte, che avrei recuperato a tempo perso la serie su Dawn Longchamp, ispirata ai best seller di V.C. Andrews, perché non è stata la mia preferita. Aveva però un margine di miglioramento secondo me, che però non è avvenuto negli ultimi due capitoli, andati in onda su Rai e Raiplay il 24 giugno e l'1 luglio.
Intitolati Fantasmi dal Passato e Sussurri Nella Notte, gli ultimi due film che completano la saga dei Longchamp/Cutler vedono la protagonista alle prese con la gestione dell'albergo che ha avuto in eredità mentre la sua vita personale prosegue, con una bambina da crescere, e soprattutto continua ad essere perseguitata da chi la detesta, come la sorellastra. 
Uno sviluppo comunque organico alle vicende e se penso ad un young adult facile da seguire, Dawn potrebbe non essere la produzione peggiore mai vista, ma, con la visione d'insieme, non la consiglierei.

Il problema più pesante per questa serie tv è che non hanno saputo gestire il livello drammatico, per cui, anche quando accadono fatti molto gravi, persino alla protagonista stessa, che stravolgono le vicende, non si avverte quella importanza e quel peso emotivo che lo spettatore dovrebbe avvertire.
Ed il problema è che gli stessi personaggi a volte non sembrano nemmeno così turbati da quello che gli sta accadendo, come se nel microcosmo di V.C. Andrews’ Dawn non ci sia un reale rapporto di conseguenzialità a certe azioni e ai traumi che possono creare.
I salti temporali, che sono poi delle falcate nelle linee narrative, non aiutano in questa ricerca di profondità.
Ad esempio, da spettatore, mi sono ritrovato ulteriormente slegato dalle vicende quando la protagonista diventa Christie (Megan Best), la figlia di Dawn (Brec Bassinger), perché non solo non la conosciamo, e non ha tempo di poter essere sviluppata come personaggio, ma arrivati all'ultimo film si perde il senso di continuità.


Anche questi ultimi due film della serie Dawn vanno a toccare tematiche molto serie, come ad esempio l'incesto, ma che risultano più cringe che inquietanti, perché quel sapore di dark e gotico non viene mai raccolto a piene mani.

Inutile sottolineare a questo punto gli aspetti un po' più tecnici come ad esempio la quasi assenza di trucco invecchiante per dei personaggi che diventano adulti, perché a questo punto sarebbe come sparare sulla croce rossa.
Non avendo letto i libri da cui questi film sono tratti non so se il materiale di partenza fosse così o se l'adattamento gli ha tolto valore, ma nel panorama attuale una serie come Dawn non può che apparire come una produzione pigra e datata.
A questo punto posso dire che la ricerca di qualcosa che valga la pena vedere su Raiplay continua ancora.


La mia esperienza con il Youth-Extending Fluid SPF 50 di Paula's Choice

Se mi seguite su Instagram avrete visto nelle storie che sono stato fortunato per una volta ed ho vinto un kit di solari che Paula's Choice aveva messo in palio in un giveaway. Era da tantissimo che non usavo i prodotti del brand e quindi ero molto curioso ma, visto che la box contiene esattamente quattro diverse varianti degli SPF Paula's Choice, capite bene che provarli tutti in una volta per bene non era fattibile, quindi ho iniziato da quello che mi sembrava più adatto alla mia pelle nel periodo estivo e con questo clima tropicale.


INFO BOX
🔎 Sito dell'azienda, rivenditori, Amazon
💸 €47
🏋 60ml
🗺 Made in USA
⏳ 12 Mesi
🔬 //

Il Youth-Extending Daily Hydrating Fluid SPF 50 è infatti un solare viso rivolto a pelli normali, miste e grasse, proprio grazie ad una texture leggera e fluida, che non contiene oli, ma al tempo stesso risulta idratante che può sostituire la crema di tutti i giorni.

Si tratta di un solare con filtri chimici con una protezione ad ampio spettro UVA/UVB, e nello specifico, troviamo

  • Octinoxate 7,5%
  • Octisalate 5%
  • Octocrylene 2%
  • Avobenzone 2%

ma la sua formula è ovviamente più complessa. Paula's Choice ha infatti aggiunto glicerina per idratare, ed una sfilza di attivi antiossidanti per potenziale l'effetto protettivo della pelle, anti inquinamento e anti radicali liberi. E quindi troviamo tocoferolo, estratto d'uva, di tè verde, di aneto, di camomilla, sambuco nero, bacche di goji e melograno. Alcune di queste sostanze in realtà hanno anche altri effetti, soprattutto lenitivi e antiinfiammatori, e in questo senso si aggiunge anche l'estratto di avena.
Nella formulazione non ho notato alcool e nemmeno profumo, per renderla immagino più universalmente apprezzabile e delicata. Inoltre non è indicata come water-proof, altro segnale che possiamo definirla a tutti gli effetti una crema idratante con fattore di protezione

Già dal nome potete immaginare che questo Fluid SPF 50 è proprio un solare liquido, io infatti ho preso l'abitudine di shakerarlo prima di applicarlo anche se l'azienda non dice nulla a riguardo, e questa sua consistenza lo rende molto facile sia da prelevare che da stendere. Io lo trovo fresco, dal tocco molto leggero tanto da non sentirlo sul viso, decisamente setoso e soprattutto non noto scia o aloni bianchi, ma mi si assorbe bene e velocemente lasciando su di me un finish luminoso. 

Paula's Choice dice infatti che dovrebbe avere un effetto matt, ma onestamente su di me sembra più un glow naturale, non untuoso, ma indubbiamente non opaco al 100%. Sicuramente però si riesce facilmente ad opacizzare con una cipria, senza dover fare troppi ritocchi durante il giorno.
E a proposito di applicazione, il Youth-Extending Daily Hydrating Fluid è andato abbastanza d'accordo con il mio contorno occhi, non bruciando su questa zona, ma la sensazione che ho avuto è che forse ci sono protezioni solari ancora più delicate.

Ho dovuto giocare un po' con questo prodotto Paula's Choice, ed ho capito che sul mio tipo di pelle, a tendenza mista sulla zona T con le alte temperature, funziona bene se prima do una idratazione leggera ma stratificata al viso, quindi tonico, siero e magari una crema-gel e soprattutto lo trovo ideale nelle giornate più calde e con un clima più umido.

Ho notato infatti che se ad esempio lo applico e resto molto tempo in un clima secco, come una stanza climatizzata, la mia pelle sotto a questo Daily Hydrating Fluid tende un po' a diventare tirante come se mancasse una quota umettante che il prodotto non riesce ad apportare. Di conseguenza mi trovo più lucido perché la pelle cerca di recuperare la situazione producendo più sebo, ma non è ciò di cui sento bisogno.

Sembra un discorso delirante, ma è vita vera di tutti i giorni. E se vi steste chiedendo perché, se so che resto in uno spazio chiuso e secco, non utilizzi una crema idratante più corposa prima di questo solare Paula's Choice, la risposta è semplice: infatti non vivo comunque H24 con nell'aria condizionata (per fortuna), quindi rischierei di appesantire il viso quando invece sono al caldo.

Se sono in giro invece la mia pelle trova il perfetto equilibrio con lo Youth-Extending Fluid SPF 50, mantenendo il comfort nel corso delle ore. Più volte mi sono stupito la sera rientrando a casa e trovandomi il viso in buono stato, senza che la zona T ad esempio fosse eccessivamente lucida o in generale appesantita. 
Mi è piaciuto anche come base trucco perché non interferisce con gli altri prodotti che applico sopra e come specificavo qualche riga fa, se desidero mattificare alcune aree con una cipria, queste restano opache.

È quindi un solare che ho apprezzato per la vita di tutti i giorni, che non ha avuto interazioni strane, tipo spellicolamenti, con i vari prodotti a cui l'ho affiancato e che applico senza pensarci troppo. Secondo me più che per pelli grasse o particolarmente impure, che magari preferiscono avere anche nel solare degli attivi anti imperfezioni, è un prodotto adatto a pelli che restano nel range della "normalità", e anche per climi meno ostili.


Voi avete provato i solari Paula's Choice?
Qui trovate la mia recensione del loro Advanced Sun Protection Daily Moisturizer SPF 50.



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My Lady Jane non c'entra niente con Bridgerton, ecco perché

C'è stato tanto chiacchiericcio sulla serie tv My Lady Jane, disponibile in streaming su Prime Video dal 27 giugno, e che solo nelle ultime settimane ho avuto modo di recuperare, non capendo la direzione delle critiche che ha ricevuto.

Traendo ispirazione dalla base letteraria del romanzo omonimo di Cynthia Hand, Brodi Ashton e Jodi Meadows, My Lady Jane tenta una riscrittura, in chiave ironica e contemporanea, della storia che tutti conosciamo, o almeno dovremmo.

Siamo in Inghilterra intorno alla metà del 1500, ed alla morte di Enrico VIII (quello famoso per cambiare moglie ogni minuto), gli succedette suo figlio Edoardo VI, il quale però essendo cagionevole, morì all'età di 15 anni. Qui si aprì un po' il caos sulla successione: Edoardo infatti aveva lasciato un testamento in cui voleva come suo erede la cugina lady Jane Grey, scavalcando lo stesso testamento del padre che invece affermava che in assenza di figli da parte di Edward, il trono sarebbe spettato a sua sorella Maria (la sanguinaria) e Elisabetta (I). C'erano però diversi intoppi burocratici, senza contare poi tutte le altre persone che nella linea di successione avevano la precedenza rispetto a Jane.

Eppure Jane riesce a diventare regina, ma solo per 9 giorni, perché poi Maria la fa accoppare e si prende il posto che comunque le spettava.

Ma, nella serie tv Prime Video, sin da subito il nostro narratore ci racconta che l'intento è di scoprire cosa sarebbe accaduto se Lady Jane fosse riuscita a regnare più di 9 giorni, grazie al suo temperamento forte e coraggioso in grado di convincere il suo popolo della sua autorevolezza e legittimità. 

Le difficoltà per Jane non riguarderanno però solo la sua ascesa al trono, e gli intrighi di palazzo, ma prima dovrà gestire il rapporto con la madre, che la obbligherà a sposare Guilford Dudley per cercare di salvare la sua famiglia, poi dovrà convivere con un questo uomo che sembra diametralmente opposto a lei. Ma sarà governare il vero problema: in questa Inghilterra di My Lady Jane infatti non è la divisione fra cattolici e anglicani a creare tumulti interni, ma quella fra Etiani e Veritiani.

I primi infatti hanno le sembianze di esseri umani che però sanno trasformarsi in animali quando serve, ma i veritiani non accettano quelle che reputano delle creature malvagie e cercano di emarginarli o, peggio, ucciderli in ogni occasione possibile. 

Una riscrittura della storia che consente quindi di raccontare un'altra vicenda: Lady Jane infatti diventa una giovane eroina sveglia e intelligente, che crede nell'indipendenza e nell'inclusione, oltre che nell'amore vero, e che sfida il sistema e la visione arcaica della società.
Il tono settato da My Lady Jane è ironico, con degli spruzzi di nozioni storiche reali qui e lì, ma con una impostazione da commedia poco politicamente corretta (e spesso sboccata) che alla fine vuole intrattenere, ben lontana da qual si voglia intento documentaristico, ed è qui che sono scattati i paragoni con Bridgerton, che però reputo poco corretti.

È vero che entrambe le serie tv sono anacronistiche, sia per le scelte di musica, costumi e dialoghi, sia per gli attori (anche in My Lady Jane molte persone nere o di colore assumono ruoli che nell'Inghilterra del '500 non avrebbero mai avuto), ma qui secondo me finiscono le similarità.
Soprattutto tocca fare una premessa: è vero che Bridgerton ha avuto un enorme successo, ma già prima della serie di Shonda Rhimes c'erano altri titoli con uno stile simile.

Mi vengono in mente Vanity Fair, Gentleman Jack e Dickinson, tutte pubblicate prima e con pennellate più contemporanee, ed anche La fantastica signora Maisel (era il 2017) aveva una protagonista poco aderente ai canoni degli anni '50.

Ma My Lady Jane aggiunge altri due aspetti che non troviamo in Bridgerton. È infatti una serie ucronica, un what if vero e proprio, al contrario della serie Netflix dove i personaggi sono per la maggior parte inventati, e soprattutto c'è la componente fantasy che smonta qualunque forma di realismo, e i momenti di azione per dare un tocco epico al tutto.
Bridgerton inoltre punta molto sull'intreccio sentimentale e sessuale, mentre qui è un aspetto quasi secondario. 
Insomma io non so se quelli di Prime Video si siano messi ad un tavolo per trovare una risposta a Bridgerton, ma a me My Lady Jane ha ricordato più il film Disney Roseline, soprattutto per il tipo di comicità che porta.
Questo significa che la serie tv Prime mi abbia convinto del tutto? Assolutamente no.

Se è vero che riesce ad intrattenere e che il cast, capeggiato soprattutto da Emily Bader e Edward Bluemel (che avevo visto di recente in Belgravia: The Next Chapter), se la cava molto bene, non posso dire che My Lady Jane mi abbia tenuto incollato allo schermo tutto il tempo.
Il problema per me è stato soprattutto il ritmo e la lunghezza delle otto puntate che non mi è sembrata sempre in linea con le vicende che raccontano. L'unico stimolo ad una sorta di binge watching è il cliffhanger finale di ogni episodio, ma non sempre in me è scattata la voglia di proseguire con la puntata successiva.

Più nello specifico mi è sembrato che abbiano tentato di tenere insieme una serie di idee già viste, spesso riproponendole come se fossero particolarmente valide quando invece mi sono sembrate fiacche, come ad esempio la liaison fra la madre di Jane, lady Frances Grey (Anna Chancellor) ed il più giovane fratello di Guilford. Parentesi leggere, che poco influiscono sulla storia in generale, ma che non sono poi così divertenti. 

Ho sofferto anche la caratterizzazione stereotipata dei protagonisti, specie per quanto riguarda Guilford, ma anche Jane non ha una costruzione e uno sviluppo così solido. Poi non si capisce come mai nei primi episodi puntino tanto alle sue capacità di conoscere ed usare le erbe quasi fosse una sorta di maga, per poi abbandonare l'argomento e riprenderlo vagamente nell'ultimo episodio. 
O ancora Maria, la futura sanguinaria, ci viene presentata come una pazza furiosa, che nelle camere private diventa una maîtresse dedita al sadomaso, come se una parafilia debba essere per forza una caratteristica di una persona non propriamente equilibrata. 

Se non siete fra quelli che urlano all'oltraggio appena vedono personaggi reali inseriti in contesti non storiograficamente accurati, o che magari si annoiano con i period drama tradizionali che non allargano gli orizzonti verso generi differenti magari più leggeri, allora My Lady Jane potrebbe essere la vostra serie. Per me si deve ancora lavorare un po' su originalità, creatività e ironia.

A proposito, l'episodio finale, e lungi dal fare spoiler, lascia aperto uno spiraglio ad una seconda stagione, ma pare ormai confermato che la serie è stata cancellata da Prime Video dopo questa prima stagione. 



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