La settima stagione di American Horror Story sta per concludersi anche in Italia e nonostante le grandi aspettative si è rivelata per me una delusione, e, in parte, una occasione persa. Vi racconto perché.
L'ho già detto: parlare male di American Horror Story sembra quasi un hobby, anzi se non lo fai c'è il rischio di apparire come quello che scende dalla montagna e non capisce nulla di serie tv. Ma fra dire "fa schifo" e argomentare ci sono di mezzo un mare di parole che possono spiegare, secondo una logica, come mai questa stagione a me non sia piaciuta.
Le fondamenta di questa storia mi aveva attirato moltissimo, e poteva essere la carta vincente di questa settima stagione. Ryan Murphy infatti ha deciso di togliere di mezzo tutta la parte soprannaturale, fatta di streghette, fantasmi, vampiri decaduti, alieni e mostri di ogni genere, per dar spazio alla cosa che dovrebbe far più spavento, ovvero la realtà, l'orrore umano. E lo fa con la quotidianità di oggi.
Questa stagione di American Horror Story infatti non va molto lontano nel tempo ma inizia dallo scorso anno quando Donald Trump è stato eletto presidente.
Già questo ci ha messo un po' a tutti ansia e panico, specie a leggere i suoi tweet, ma quelli di AHS fanno di più, ipotizzando una possibile realtà contemporanea dove un giovinotto, Kai Anderson, senza scrupoli e un po' fuori di capoccia, tenta di salire al potere e lo fa in un modo molto particolare.
A fare da contraltare, per buona parte del tempo, c'è Ally Mayfair-Richards che rappresenta un po' l'utente medio di internet, quello che crede ai link su Facebook, e che ha paura di tutto pur credendosi informato.
Avevo già accennato che ero incuriosito dal fatto che l'ascesa di Kai sembrava seguire un po' i passi della diffusione dei grandi totalitarismi: una figura carismatica che tramite la propaganda, la politica del terrore, la violenza e l'eliminazione di eventuali concorrenti ed oppositori, riesce ad ottenere potere.
Il problema è che la storia di questa ascesa si perde in esagerazioni, isterismi, momenti prevedibili, senza senso o semplicemente inutili che non aggiungono nulla alle vicende anzi la rendono ridicola e poco credibile.
In particolare tutto quello che riguarda la parte horror/splatter mi è parso spesso inserita a caso, giusto per rispettare in un modo un po' posticcio quel "Horror" all'interno del titolo. Inutile anche la solita sessualizzazione di alcune scene, forse un tentativo pruriginoso di scandalizzarci, non sapendo che noi abbiamo già Canale 5 e Italia 1 per certe cose.
Anche in Cult, come nelle passate stagioni, ci troviamo filoni narrativi che iniziano ma non portano a nulla se non fare da riempitivi per i quaranta minuti di puntata.
L'aggiunta poi di ben due puntate in cui si divaga dalla storia principale e ci ricostruiscono due fatti realmente accaduti mi sanno ancora di più di una trama povera di spunti. Ho capito che vuoi giocare la carta del realismo, ma creare una storia credibile è diverso che raccontare una storia già accaduta. E tu dovresti fare la prima, non la seconda, anche perché hai a disposizione dieci puntate. Non so se mi spiego.
Comunque a tutti questi filoni ovviamente corrispondono altrettante tematiche, molte delle quali ovviamente attuali ed importanti, che restano appesi come capi bianchi stesi al sole: si asciugano e ingialliscono. Non hanno il tempo di svilupparsi, ma vengono tutte mischiate e tritate insieme, per poi essere lasciate senza un proseguo.
Un altro punto debole dalla trama è che, nonostante ci provino diverse volte, l'effetto sorpresa in American Horror Story manca quasi del tutto sia a lungo che a breve termine. A breve termine, sul momento non ti sorprendi, non resti col fiato sorpreso perché gli autori sono in grado di rendere i personaggi del tutto antipatici per cui non ti interessa minimamente delle loro sorti; e dall'altro lato sono in grado di bruciarsi parte dell'intreccio narrativo. Due esempi che mi vengono in mente, uno di minore e uno di maggiore importanza sono la questione dei clown, che tempo dieci minuti ed hai capito come funziona. Un secondo aspetto bruciato è il ruolo di Ally, che capisci più o meno dove vuole andare a parare, soprattutto appena scatta quel twist tanto criticato a cui ora arrivo.
Se la storia comunque scricchiola e non ha la giusta (per me) coerenza, è colpa anche della costruzione e sviluppo dei personaggi.
In American Horror Story Cult ne gravitano parecchi, e ne escono altrettanti, ma il focus è principalmente su due in particolare: Kai e Ally.
Kai è un personaggio che a quanto ho letto in giro è piaciuto molto soprattutto nell'interpretazione di Evan Peters, a me invece non ha dato nulla. Di fondo Kai ha un grosso problema: nonostante il personaggio sia stato costruito abbastanza bene ed approfonditamente, manca una cosa importante, ovvero l'essere convincente. Kai riesce a sedurre con modi diversi tante persone, riesce a far fare loro cose anche molto particolari e forti, anche al limite dell'umanamente accettabile, ma se all'interno della storia il carisma di Kai ha la sua efficacia, a me non è arrivato. E, più in generale, secondo me funziona solo all'interno della storia seguendo una regola non ben chiara.
Non darei la colpa ad Evan Peters per la sua recitazione, ma forse al suo posto avrei visto un attore più adulto, perché lo sappiamo che i ragazzetti bellocci non hanno bisogno di chissà quali mezzi per essere convincenti, gli sarebbe bastato aprire un profilo Instagram e iniziare a fare markette.
Dall'altro lato c'è Ally, interpretata da Sarah Paulson o, per meglio dire, la Margherita Buy americana, visto che ormai è un'affiliata di American Horror Story e non fa altro che urlare, piangere, dar di matto, e mettere dolcevita col collo alto perché fanno di classe ma disimpegnato. Ally ha tantissime fobie, è insicura, è debole, e le sue paure possono essere invalidanti anche nei rapporti col figlio. Paure che la portano a fare scelte sbagliate. Paure che a me mettono voglia di darle due sberle e di urlarle di svegliarsi un attimo, di avere più polso. Ma la violenza nel caso di Ally non serve perché lei, così quasi per magia, quasi come una guerriera Sailor, si trasforma in risoluta, calcolatrice, spavalda e spietata. Così di punto in bianco, da una puntata all'altra.
Se la fine di Kai viene semplicemente abbandonata a se stessa, il percorso di Ally è prevedibile già a metà stagione e allo stesso tempo risulta forzata, poco credibile. Mi è piaciuto il messaggio che passa ovvero che nessuno fra quelli che sono arrivati al potere, o vorrebbero arrivarci, hanno le mani pulite, ma plasmare la storia a proprio piacimento giusto per farla funzionare secondo le logiche dello sceneggiatore o del regista non è secondo me il modo di condurre i fili narrativi.
Quindi sì, American Horror Story Cult aveva componenti per poter creare una stagione solida, con una storia consistente, attuale, che poteva essere una critica forte alla società, che poteva essere più irriverente, giocando magari molto di più sulle elezioni, ma pur mantenendo una sua logica, una sua coerenza, un suo ambiente e una sua originalità.
Questa settima stagione dello show americano secondo me invece ha punzecchiato su alcuni aspetti, con frecciatine che vanno effettivamente a sottolineare i problemi attuali (ad esempio la gestione dei social media, di internet e della televisione), ma buttate in un contesto annacquato, in una storia in cui solo grazie a giri pindarici si riesce a venirne fuori.
Apprezzo il passo avanti, ma restiamo comunque indietro.
Voi avete visto Cult? Che ve ne è sembrato?