Cara Parigi,
Sono trascorsi due giorni da quando ti ho lasciata e porto ancora i segni delle tue giornate.
Dall'aereo mi sembrava di scorgerti in quel manto di nuvole fra cui stavamo volando, ché ti stampi nelle cornee come poche cose sanno fare.
Sul polso rivedo ancora i localetti di Boulevard de Belleville, con la paglia sparsa sul pavimento o arrabattati alla meglio.
Ricordo il calore di quei posti, in grado di farti scordare gli occhi stanchi e il mal di testa.
Ricordo il calore di quei posti, in grado di farti scordare gli occhi stanchi e il mal di testa.
Parigi, sei come un libro che non smetteresti di sfogliare, dove ogni parola, spontanea o studiata, è un luogo che ti porta altrove.
Ci hai raccontato la storia di mille volti, tutti diversi - tranne i cinesi, non li distinguerò mai - che se pensi che i francesi sono un po' stronzi poi una signora ti ferma e ti aiuta con le indicazioni senza nemmeno chiederlo.
La Senna è il tuo segnalibro che divide ogni capitolo, rilegata da ponti diversi ma ugualmente belli. E sei piena di sottotesti fatti di infinite metropolitane che confondono anche chi ti abita.
Sei come una donna nuda di cui potresti vedere tutto, ma di cui non saprai mai nulla senza conoscerla davvero.
E io, in fondo, devo fare molta strada per conoscerti.
E io, in fondo, devo fare molta strada per conoscerti.
Mi hai solo mostrato che l'autobus 72 fa un bellissimo giro lungo la Senna, e che esiste un ristorante con un solo tavolo.
Ho scoperto che puoi far festa in casa di qualcuno fino alle 3, mentre la gente ti guarda da sotto e sorride un po' invidiosa e che la fuga degli italiani all'estero è tangibile e forte.
Ho scoperto che intorno a Quai de Valmy sembra d'essere a Milano e che i tuoi mercatini sembrano la metafora della vita: piena di tesori, tutti da scoprire, ma che la fretta può farti perdere.
Ho visto la tua torre, credevo fosse un pezzo di ferro e invece vederla esplodere di luce mi ha sopraffatto.
Ho visto la tua torre, credevo fosse un pezzo di ferro e invece vederla esplodere di luce mi ha sopraffatto.
Ti ho annusata, Parigi, e adesso so che odori di piscio, ma anche di vaniglia, di burro, di vino caldo e di sorrisi.
E ci hai dato così tanto che provo vergogna a farlo, ma c'è ancora una cosa da chiederti a cui tengo.
Fra le tue pagine ho conosciuto Simon, il bimbo che guarda le stelle e gliele vedi brillare negli occhi anche di giorno.
Sta facendo dei passi nel mondo dei grandi, ma non fargli perdere, tu che puoi, la spontaneità che nasconde dietro ad un sorriso. Non farlo smettere di arrossire quando la gente aspetta in fila per parlargli, e non fargli perdere quello sguardo dolce di quando si imbarazza.
Fa che non diventi una fattucchiera repressa, ma che resti l'osservatore del cielo attento e garbato qual è e, se possibile, resti saldo a quel filo d'aquilone in grado di non farlo perdere su nel cielo.
Senza di lui questa magia non ci sarebbe stata.
Adesso devo augurarti buonanotte, mia cara Parigi, da qui giù così lontano.
Sei e resterai per me una maratona, che ti spezza le gambe ma ti fa battere forte il cuore.
E sono pronto a correrti ancora.
Con amore,
Pier.