Il panorama seriale di questo 2025 è davvero brulicante di titoli che mi fanno gola, e sto cercando di stare al passo, seppur a fatica. In questa prima settimana di Marzo ho cercato di terminare alcune delle serie tv che stavo seguendo, ma quelle su cui vorrei ora fare il punto non mi hanno convinto fino in fondo.
Paradise
Prima stagione
Ci credereste mai che una mente come quella del creatore di This is Us e Rapunzel, per dirne due, ovvero Dan Fogelman, si sia lanciato a creare una serie tv che spazia dal thriller al distopico?
L'ha fatto con Paradise, serie tv su Disney+ il cui episodio finale della prima stagione (ma una seconda è già stata confermata) è arrivato proprio il 4 marzo, e che è mi ha dato molto a cui pensare.
Non è facile parlare della trama senza rischiare lo spoiler, ma vi basti sapere che seguiamo le vicende del capo alla sicurezza del presidente degli Stati Uniti, un certo Xavier Collins (Sterling K. Brown, sempre da This Is Us), il quale un giorno trova proprio il presidente Cal Bradford brutalmente assassinato. Già qui una stranezza: Collins aspetta per lanciare l'allarme, e man mano capiamo anche le ragioni. Infatti il Potus (qui interpretato da James Marsden) non era solo ben protetto, ma vive in una paradisiaca cittadina che sembra troppo bella per essere vera. Così, strato dopo strato, scopriamo che niente è come appare, e che Xavier non solo si dovrà impegnare a scoprire cosa è accaduto al presidente, ma anche cosa accade fuori da quel bozzolo.
Lo so, la mia è una trama un po' criptica, ma Paradise è una di quelle serie tv in cui non solo è facile spoilerare, ma che rivela tutti i suoi snodi nel corso degli episodi e con diversi colpi di scena, e che tra l'altro si muove molto fra passato e presente attraverso tanti flashback.
Inoltre ha al suo interno più umori, visto che dal thriller, principalmente di spionaggio, ci si sposta a questo distopico/catastrofico, passando per il drammatico. I flashback infatti servono non solo a raccontare letteralmente gli eventi, ma anche costruire i personaggi con le loro storie e appunto le loro problematiche, e cercare di far appassionare lo spettatore alle loro vicende.
Oltre appunto ad una storia da dipanare, Paradise punta molto sulle ottime interpretazioni del suo cast, che include anche Julianne Nicholson, che sicuramente riconoscerete per le tante produzioni a cui ha preso parte come Omicidio a Easttown, e Sarah Shahi da Sex/Life.
Altrettanto solide mi sono sembrate le scelte stilistiche in termini di regia e fotografia, con queste luci e queste ambientazioni che danno quell'impressione di posticcio che presto scopriremo non essere del tutto involontario. Ma Paradise si perde su altri fronti.
Infatti questi continui flashback mi sono sembrati eccessivi, e non hanno avuto un particolare appeal su di me, perché non sono riusciti appunto nell'intento di farmi affezionare in qualche modo alla parte drammatica e più personale dei personaggi. La scelta appunto di muoversi nel tempo dimostra anche i suoi limiti negli ultimi due episodi: per tirare le somme delle varie storyline, non potevano continuare con questi flashback e flashforward, ed hanno puntato ad una narrazione più lineare che potesse essere più chiara, perdendo di coerenza stilistica.
In questo senso Paradise fa una scelta che ho apprezzato, sciogliendo alcuni nodi della trama, ma lasciandosi spazio di manovra per muoversi verso una seconda stagione.
Per quanto nell'insieme sia tutto sommato ben fatta, ci sono altri aspetti, che non considero primari, ma nemmeno secondari, e che mi hanno lasciato perplesso in Paradise. Infatti sebbene non ci siano dei veri e propri buchi di trama, ci sono delle mancanze che rendono la logica dei protagonisti più fallace. Senza fare nomi e quindi spoiler, mettiamo il caso che uno dei personaggi voglia fare una rivoluzione, e piuttosto che mettere al riparo la sua famiglia, magari anche solo avvisandola di starsene in casa, organizza la sua rivolta pensando solo ai cavoli suoi.
O ancora, un altro personaggio spara ad un altro ma senza un reale movente di fondo, e senza che chi assiste gli ponga delle domande a riguardo.
Non sono del tutto convinto nemmeno della costruzione dei personaggi, specie ad esempio delle interazioni fra Samantha "Sinatra" Redmond (personaggio a mio avviso abbozzato) ed il presidente Bradford.
Tutti questi elementi mi hanno reso Paradise meno godibile di quanto sperassi a volte anche trascinata e ripetitiva, e per quanto la tematica possa risultare drammaticamente vicina a noi e non così assurda (ho ancora in mente l'eco del film Don't Look Up per restare in tema), mi ha dato un impatto inferiore rispetto a quanto mi aspettassi.
Non so se quando arriverà la seconda stagione, immagino fra un paio di anni almeno, avrò ancora voglia di proseguire.
Apple Cider Vinegar
Miniserie
Sarò un po' più coinciso con Apple Cider Vinegar, serie tv arrivata il 6 Febbraio, che si muove quasi sui binari della docufiction perché si ispira ad una storia vera, sebbene ci tengano a ripeterci che alcune cose sono state cambiate per proteggere degli innocenti e che la protagonista reale non è stata pagata per permettere a Netflix di raccontare la sua storia.
La storia è quella di Belle Gibson, nome che per noi italiani dirà poco ma che è stata per lungo tempo una wellness influencer molto famosa in Australia, dove è riuscita a costruire, tramite i social, un piccolo impero, diventando autrice ed imprenditrice. Fin qui tutto bene, solo che Belle non si limitava a suggerire uno stile di vita sano, esercizi e skincare, ma raccontava di essere guarita da un cancro al cervello attraverso l'alimentazione e le scelte quotidiane. Nel 2015 però si scoprì che Belle non aveva avuto alcuna malattia, ed aveva letteralmente truffato il mondo e i suoi follower che speravano di poter guarire con i suoi consigli.
Ideata da Samantha Strauss, già sceneggiatrice di Nine Perfect Strangers, Apple Cider Vinegar (letteralmente aceto di mele, uno dei prodotti ancora oggi ritenuto portentoso per qualunque problema, persino far crescere i capelli) racconta non solo la storia di Belle, qui interpretata da una bravissima Kaitlyn Dever, ma anche quella di un'altra influencer, Milla Blake (Alycia Debnam-Carey), che si inspira ad un'altra blogger che affermava di curarsi con metodi alternativi.
Un po' come avevamo già visto con Inventing Anna, anche questa nuova miniserie Netflix vuole raccontare i retroscena di una vera e propria truffa costruita attraverso menzogne, ma soprattutto attraverso l'uso dei social, e lo fa con uno stile molto interessante.
Apple Cider Vinegar ha infatti un buon ritmo, ed unisce scelte registiche differenti, oscillando dal pop al caustico, e appunto con accenni al documentaristico, con la rottura della quarta parete e i personaggi che si rivolgono direttamente in camera, per un approccio più pungente.
Questo secondo me riesce a raccontare bene il carattere particolare della protagonista, le sue manie di attenzioni e le sue tecniche di manipolazione sia dei media che delle persone che le stavano intorno.
Benché però ci provino a stimolare una riflessione molto più ampia sia sulla vacuità dei nuovi mezzi di comunicazione attuali, costellati da guru, fake news, disinformazione e truffatori di ogni specie, sia sull'arrivismo di alcune persone senza scrupoli, non sono comunque convinto del risultato finale.
Apple Cider Vinegar infatti secondo me sbrodola troppo con i tempi, cercando di raccontare più punti di vista, ma non riuscendovi bene, visto che ad esempio tutti i personaggi secondari sono davvero marginali, e al massimo fungono da modello per i danni che si ottengono da bugie e truffe di queste proporzioni.
Manca focus, manca una linea narrativa unica da seguire, tanto che sei episodi mi sono sembrati un po' troppi. Ma manca a volte anche la presa di posizione decisiva che condanni certi comportamenti. Nel raccontare ad esempio la famiglia ed il background di Belle, sembra quasi si cerchi una giustificazione del suo atteggiamento, quando in realtà non vi sono ragioni che possano stare in piedi.
Insomma Apple Cider Vinegar ha un punto di partenza stimolante e contemporaneo che però perde di vista nello sviluppo, ed eventuali riflessioni nascono da una visione critica dello spettatore, più che dalla miniserie stessa.
0 comments:
Posta un commento
E tu cosa ne pensi?
Info Privacy