The Residence, il guilty pleasure mancato di Netflix

The Residence, la nuova produzione di casa Shondaland, ha cavalcato le classifiche di Netflix e poteva pure conquistarmi senza troppo sforzo.
L'incipit infatti è quello di un giallo quasi alla Agatha Christie che mi piace molto: alla Casa Bianca un maggiordomo (Giancarlo Esposito) è stato trovato morto durante una importante cena di Stato con la delegazione australiana. Scattano così subito le indagini, che vengono affidate all'acutissima ed eccentrica detective Cordelia Cupp (Uzo Aduba), ed è importante che nessuno lasci l'edificio. Tutti verranno ritenuti possibili colpevoli, dallo staff della White House, fino agli invitati, passando per tutti coloro che potevano avere avuto un conto in sospeso col maggiordomo.

The Residence, disponibile dal 20 Marzo, ha una immediatezza che secondo me gli ha giocato molto a favore: un giallo da camera classico, che si muove in un contesto inusuale come la Casa Bianca e che è popolato di personaggi bizzarri, a cominciare dalla investigatrice, che setta subito l'umore e lo stile della serie. 

E come in un classico whodunit, tutti sono sospettati, in un marasma di volti, nomi, possibili moventi ed eventuali alibi da verificare attraverso l'arguzia della investigatrice Cupp. Ispirandosi al birdwatching di cui è una grande fan, Cordelia resta in silenzio ed aspetta, acuisce tutti i suoi sensi osservando tutto e tutti, per arrivare alla risoluzione del caso.

Buone carte da giocare insomma, ma The Residence è davvero troppo sotto ogni punto di vista, azzoppando la comicità che dovrebbe contraddistinguerla.
Sono troppi i personaggi, le facce, i ruoli, i sospetti, gli spazi e le azioni che ti mette davanti ma che difficilmente puoi riuscire a ricordare, anche quando l'episodio si concentra su un particolare sospettato. 

Come se non bastasse si aggiungono le indagini alle indagini, in un'aula di tribunale, dove si cerca di capire come Cordelia Cupp si sia mossa per cercare di risolvere il caso.

Così, se siete fra quelli che amate fare ipotesi sul presunto assassino mentre guardate un giallo, resterete meri spettatori delle vicende, a meno che non vi mettiate a prendere appunti. D'altronde la stessa Cupp ha le foto con tanto di cartello identificativo per ciascun sospetto, figuratevi se non serve a noi. Poi ci sono tanti dettagli che ci vengono tenuti nascosti, per cui fare i detective diventa impossibile. 

Tutte le micro storie che compongono l'intreccio narrativo ci vengono raccontate con dialoghi a fiume, e con un montaggio serrato ma che non fa altro che aggiungere altra carne al fuoco. L'uso costante di flashback poi appesantisce ancora di più la visione dando l'impressione che gli autori di The Residence avessero molti soldi da spendere e quindi minutaggio da riempiere anche a vuoto.

Così otto episodi che sbrodolano i 50 minuti diventano troppi, e la puntata finale ti dà il colpo di grazia diventando un'ulteriore ripetizione di tutto quello che avevamo già visto. E sapete cosa succede quando qualcuno ripete una battuta più e più volte? Che non fa più ridere.

The Residence poi non trova il suo punto di originalità, non solo perché pesca dai gialli classici, ma perché ricorda troppo Only Murders in The Building, persino nelle musiche scelte, e la stessa Knives Out, unendo thriller a commedia. Non che questi altri titoli si siano inventati nulla, ma arrivando dopo, The Residence non riesce a smarcarsi e trovare un suo punto di forza.

Si potrebbe dire che gli attori sono bravi, ed è così, specie Uzo Aduba che si cala perfettamente in questi ruoli sopra le righe, ma la sua Cordelia Cupp ricorda per doti intellettive Morgan/Morgane di High Potential senza però un approfondimento personale che la faccia in qualche modo uscire dal caso da risolvere.

Se allargo lo sguardo al resto del cast, mi ritrovo con altrettanti personaggi strambi, a volte esagitati, altre volte completamente sconnessi dalla realtà, che non fanno altro che allontanare ancora di più l'interesse verso una loro possibile evoluzione. 

Nonostante l'ottima messa in scena, The Residence non riesce a stare nei canoni del guilty pleasure, esondando da ogni punto di vista e imbolsendosi nel bisogno di strafare. Si perde quindi la brillantezza necessaria, ma anche freschezza e la velocità che secondo me questa comicità necessitava.

Paul William Davies, creatore della serie, dice di avere tante altre idee per Cordelia Cupp, ma Netflix non ha ancora dato il via libera ad una seconda stagione. 




6 commenti:

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  1. Sono d’accordo, da amante di Agatha Christie aveva tutte le premesse per piacermi ma l’ho trovato ripetitivo, prevedibile, a tratti noioso; una sforbiciata di 10/15 minuti ad episodio avrebbe migliorato il ritmo e la visione, l’unico episodio in cui non ho sbadigliato e sono riuscita a non distrarmi dall’inizio alla fine è stato il penultimo.

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    1. Concordo, episodi più brevi, più snelli, più veloci avrebbero salvato la serie.

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  2. L'avevo iniziata con molti pregiudizi, forse per questo dopo 3 episodi che sembravano strizzare l'occhio ai tanti whodunnit visti ultimamente senza portare qualcosa di suo, ho abbandonato.
    Ho troppo poco tempo e se nemmeno mi interessa capire chi è il colpevole fra un urlo e l'altro, posso passare ad altro.
    Sbagliare un guilty pleasure, questo sì che è un reato!

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    1. Non penso sia uno spoiler, ma dopo tutto il panegirico non è nemmeno interessante scoprire il colpevole. Ti senti talmente tanto sopraffatto dal resto che si perde anche il piacere della scoperta.

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  3. Poteva risparmiare un paio di episodi e, soprattutto, riservare un finale più efficace, ma rimangono l'originalità, la bravura e una costruzione intrigante che la elevano decisamente oltre la media dozzinale di tante, troppe altre serie.

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    1. Forse non l'hai vista, ma è una copia di Only Murders in The Building, non c'è molta originalità

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