Cent'anni di Solitudine
Prima Parte
Non credo di aver mai letto, specie per intero, l'opera di Gabriel García Márquez, eppure ho avuto l'impressione che questa serie Netflix, almeno nei primi 8 episodi fino ad ora disponibili, abbia saputo traslare bene in immagini tutta la vicenda dei Buendía. Nella mia trama sono stato piuttosto stringato sui fatti, perché si tratta appunto di una epopea familiare che è un costante flusso di avvenimenti, in cui le nuove generazioni si accavallano alle precedenti e in cui ne capita di ogni.
Si chiama realismo magico: a circostanze comuni, a volte anche ispirate anche a fatti realmente accaduti in Colombia e nell'America Latina del XIX secolo, si uniscono momenti magici, strani, soprannaturali.
Eppure la serie, anche dovendosi confrontare con queste stranezze, che a volte diventano eccessi, riesce ad essere credibile, ben studiata e chiara.
Fortunatamente siamo guidati da una voce narrante quasi onnisciente che ci chiarisce e ci anticipa cosa accadrà e soprattutto le sensazioni dei personaggi.
Oltre che per il genere particolare, capisco però che 100 Years of Solitude può risultare un'opera un po' troppo ricca da affrontare, con troppi avvenimenti, troppe linee narrative, troppi personaggi, e che nel suo insieme sembri un po' monolitica e didascalica per via della costante progressione cronologica.
È come se non si uscisse mai dai binari dal racconto, come se ci fosse un senso di inevitabilità e ripetitività, che uniti al realismo magico rendono Cent'anni di solitudine non proprio adatta a tutti. Io stesso non ne ho fatto un binge watching ma mi sono preso il mio tempo e così l'ho apprezzata per questa sua costante vena poetica e appunto per la sua intensità.
American Primeval
Prima stagione
Il 9 Gennaio su Netflix non è arrivata solo Ilary (che quando ne ho parlato sembra avessi invocato Belzebù) ma anche una serie tv decisamente più strutturata e curata e mi riferisco ad American Primeval.
Serie tv western-drammatica scritta da Mark L. Smith, già sceneggiatore di Revenant, American Primeval ci porta nel selvaggio west, nello Utah esattamente, a metà '800, quando gli Stati Uniti erano in una fase istituzionalmente ancora embrionale, e i territori erano zone complicate e conflittuali. Da un lato ci sono infatti gli indiani che reclamano giustamente le loro terre, dall'altro ferventi mormoni che credono di poter istituire un governo collaterale basato sulla fede, e poi c'è l'esercito ufficiale col ruolo di evitare che si formino altre forze che spadroneggiano a loro piacimento.
Seguiamo in particolare le vicende di Sara (Betty Gilpin), una donna in viaggio con il figlio Devin appena adolescente, per raggiungere il marito nell'immaginaria Crooks Springs. Non sarà un percorso semplice vista la natura difficile del territorio, e le lotte di potere interne, ma la donna sarà aiutata dal solitario Isaac (Taylor Kitsch).
Il sapore di una storia vera sullo sfondo, ovvero la Guerra dello Utah ed il massacro di Mountain Meadows, danno ulteriore fascino alla serie, ma è comunque godibile già di suo.
A me American Primeval ha ricordato un po' The English, miniserie con Emily Blunt e disponibile su Paramount +, per le tematiche, pur avendo uno stile parzialmente diverso e soprattutto riuscendo ad essere molto più dinamica, ritmata e con i giusti momenti di suspense. È poi una miniserie autoconclusiva e composta da soli 6 episodi che non sbrodolano in durata.
Allo stesso tempo American Primeval è sicuramente adatta a chi invece il far-west lo apprezza, quello sporco, freddo, inospitale, fatto di violenza e senza delle regole scritte. Si ha la percezione di tensione, di paura, di inatteso, grazie anche ad una fotografia altrettanto fredda e desaturata, in coerenza con la vicenda che va a raccontare. Purtroppo, tocca ammetterlo, ogni tanto ci sono delle scene davvero troppo buie, il tipico approccio realista che adesso piace molto in fase di produzione, ma che è davvero fastidioso per lo spettatore. Ci sono anche momenti di violenza un po' splatter, più adatti a stomaci forti.
Il cast, in cui figura un altro volto noto come Shea Whigham, nei panni dell'esploratore americano realmente esistito Jim Bridger, è stato scelto bene e sono tutti bene impegnati in dei ruoli che hanno comunque una parabola ed una evoluzione.
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