Ho visto Queer di Luca Guadagnino: ha saputo ripagare le aspettative?

queer luca guadagnino recensione

Genere: drammatico, sentimentale, storico
Durata: 135 minuti
Regia: Luca Guadagnino
Uscita in Italia: 17 Aprile 2025 (Cinema) / 1 Agosto 2025 (MUBI)
Paese di produzione: USA, Italia


William Lee (Daniel Craig) è un bon vivant americano sulla quarantina che vive una vita fatta di alcol, droghe e bei ragazzi dopo essere espatriato in Messico negli anni '50. Eppure la sua esistenza è profondamente solitaria: oltre ad essere diepndente da sostanze di varia natura, Lee frequenta bar gay per incontri casuali ed ha una particolare predilezione per avvenenti ragazzi più giovani di lui. Un giorno in particolare resta colpito dal giovane marinaio Eugene Allerton (Drew Starkey) che, per quanto non accetti di definirsi omosessuale, finirà per avere rapporti fisici con William.

Proprio questa nuova ossessione verso Allerton, spingerà Lee ad una avventura assurda: un viaggio nella giungla amazzonica alla ricerca della droga Yage, che sembra essere in grado di dare la telepatia. William però scoprirà che quella sostanza non è inebriante come alcol ed eroina, ma spinge a guardarti dentro.

Tratto dall'omonimo romanzo dello scrittore americano William S. Burroughs, che al suo interno ha inserito più di qualche collegamento alla sua stessa biografia, Queer è un film indubbiamente complesso su un personaggio che, sulla carta, è pure interessante.
Lee infatti è un omosessuale che deve fare forse il triplo della fatica ad accettarsi: non solo per l'epoca in cui si trova, ma anche per la difficoltà di avere riscontri esterni, in un periodo in cui l'omosessualità era spesso associata al travestitismo o ad una marcata femminilità. 

Così Queer rimbalza costantemente fra interiorità ed esteriorità, -vedi anche solo l'esempio emblematico della telepatia (conoscere i pensieri per influenzare le azioni) - e che Guadagnino traduce in allucinazioni, in visioni, incubi, in scene oniriche e fusioni corporee a volte anche un po' crude che fa vivere appunto al suo protagonista. William Lee è infatti ammantato dall'ossessione, dalla solitudine, da un desiderio forte ma non corrisposto, e Daniel Craig fa un lavoro ottimo e veste finalmente panni diversi dal solito.
Sono però davvero troppi gli angoli spigolosi di Queer che me lo hanno reso poco digesto. 

La divisione in tre capitoli ad esempio non aggiunge molto da un punto di vista contenutistico, ma rende frammentaria la narrazione, come se facesse dei salti sconnessi. Il ritmo iniziale trova quindi una stasi nella parte centrale, per poi accelerare nelle battute finali. Proprio il terzo capitolo è la parte che ho apprezzato meno, caotica e a tratti stramba.
Un po' lungo tutto Queer ho avuto la percezione di seguire un percorso poco lineare, scattoso, in cui sembra mancare una amalgama a volte e soprattutto, almeno per me, provare un grosso distacco emotivo verso i personaggi.

Se per Lee l'interesse scema nel corso del film, per Allerton non si riesce mai a provare un briciolo di empatia, essendo tra l'altro, quasi completamente privo di dialoghi.
Un atteggiamento anaffettivo, che allontana secondo me il concetto di storia d'amore e depaupera anche questo rapporto sentimentale, intenso ma contrastato fra i due uomini.

Le anticipatissime scene di sesso fra Daniel Craig e Drew Starkey, che dovevano essere quasi shockanti, in realtà sono delle sequenze normali, non così conturbanti come si paventava. 



Anche la messa in scena, la cinematografia di Guadagnino, la fotografia, per quanto appaganti esteticamente, alla lunga danno a Queer quasi un aspetto artificioso, plastico. Non ho capito anche la scelta della musica contemporanea: è vero che i brani inseriti sono azzeccati, ma non è chiaro se sia un tentativo di far uscire la storia da un periodo storico specifico o se semplicemente sia una scelta creativa.

Io ci provo a dare il mio tempo ai lavori di Luca Guadagnino, ma puntualmente li trovo belli da vedere ma poco vicini alla mia sensibilità, poco toccanti. Spesso durante la visione mi pento quasi di aver iniziato, con l'impressione di sprofondare in una pesantezza non preventivata e non supportata da quello che appare sullo schermo.

Sì, sono fra quei pochi che hanno trovato quantomeno strano la liaison di Chiamami col tuo nome, che ricorda Queer soprattutto nell'amarezza del finale, ma penso che con Challengers abbia trovato più di qualche opinione affine alla mia. 
Purtroppo devo dare ancora una volta un pollice verso a questo ultimo film visto che la storia promettente alla fine non porta da nessuna parte.

Pur essendo molto vicino alle tematiche toccate, la sensazione è che Guadagnino sia quasi concettualmente anacronistico e ripetitivo. Non siamo tutti personaggi frustrati alla ricerca di un amore non corrisposto su cui ossessionarci. È vero che si tratta di una paura comune, nel mondo LGBTQ+, l'idea della solitudine e di una morte altrettanto solitaria, ma, lungi dal farla diventare una banale seduta di psicoterapia, non siamo tutti soli al momento della morte?

Insomma Luca, qui stiamo già inguaiati senza grosse riflessioni esistenzialiste, magari qualche volta ci possiamo fare una risata?





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