Ci sono quelle storie che vengono riproposte non sempre con la fortuna di essere apprezzate dal pubblico, ma non è il caso di Ripley, personaggio tratto dai romanzi di Patricia Highsmith, e che è tornato in auge quando Netflix (e ShowTime) ha proposto la sua serie tv, tanto che è diventato uno dei prodotti più visti sulla piattaforma.
Ma Tom Ripley era già stato al centro di altri due film prima che venisse interpretato da Andrew Scott, e proprio fra queste tre diverse versioni vorrei fare un confronto, fra similarità, differenze e scoprire quale meglio rende secondo me l'essenza del personaggio.
L'incipit è sempre lo stesso e penso che ormai sia più che noto: siamo negli anni '60, ed il giovane e scapestrano Thomas Ripley viene assoldato dal benestante signor Greenleaf affinché riporti a casa suo figlio Richard "Dickie" che si trova in Italia, dove fa una vita da nababbo con la compagna Marge Sherwood, con la scusa di cercare ispirazione per dipingere. In Tom però scatterà altro nei confronti di Dickie, una sorta di amore-ossessione che non solo è legato allo stile di vita agiata che il ragazzo conduce, ma anche verso il rampollo stesso, e proprio per questa sua estrema brama si ritroverà a compiere i peggiori atti pur di arrivare al suo scopo.
Roba che l'Oliver di Saltburn non si è inventato nulla a confronto.
Erano gli anni '60 anche quando un giovanissimo e ancora non particolarmente famoso Alain Delon vestì i panni di Ripley in Delitto in pieno sole (Plein soleil), che è poi fra i primi adattamenti cinematografici di questa storia.
Titolo Originale: Plein Soleil Genere: drammatico, thriller Durata: 118 minuti Regia: René Clément Uscita in Italia: 1960 Paese di produzione: Francia, Italia |
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In questo caso si conosce poco della vita e della provenienza di Tom, si sa solo che appunto che è stato ingaggiato dal padre di Philippe (sì, non Dickie) "Filippo" Greenleaf (Maurice Ronet) affinché lo convinca a ritornare a casa. Tom e Philippe sono già a Roma, folleggiando come sempre, ma sarà una lunga traversata verso Taormina che spingerà Ripley ad iniziare il suo piano di rivalsa e vendetta contro lo pseudo amico.
Filippo infatti si prende gioco di Tom più e più volte durante il viaggio, al punto da sottovalutarlo anche quando questo gli dichiara apertamente le sue vere intenzioni. Così Tom avrà la strada spianata e alla prima occasione utile metterà in atto i suoi intenti criminali, e da quel momento costruirà un castello di inganni verso la famiglia Greenleaf e Marge (Duval in questo caso), iniziando a spacciarsi per Philippe, imitando la sua voce e scrivendo lettere per suo conto, e soprattutto riuscendo più e più volte a farla franca quando la polizia indagherà sulla scomparsa del ragazzo.
Delitto in pieno sole prende la storia di Ripley per farne un thriller abbastanza lineare, in cui a dirla tutta il personaggio principale viene un po' appiattito. Alain Delon è bravissimo ad interpretarlo, ha un fascino naturale, ma già non conoscere almeno sommariamente le sue origini e far diventare le sue intenzioni come mosse sì, dalla voglia di riscatto, ma soprattutto dalla vendetta verso Filippo, toglie alcune sfaccettature a Tom. In questo caso infatti il rampollo dei Greenleaf è davvero il tipico spaccone insopportabile che non si crea scrupoli con nessuno, lo si vede sin dalle prime scene, e che non rispetta nemmeno le aspirazioni della sua ragazza, quindi è più una rivincita che Tom vuole nei confronti di Philippe.
In questo Ripley infatti secondo me manca quella fascinazione e quella ambiguità che Tom ha nei confronti di Dickie, ma sembra più che altro interessato ai suoi soldi e a Marge, e ovviamente a salvarsi la pelle. Credo sia stata una scelta voluta sia per semplificare i livelli narrativi, sia forse per evitare di sfociare in temi più spinosi per l'epoca.
Tom infatti sembra abbastanza intenzionato a sedurre Marge, anche solo per aggiungerla all'elenco di cose che ha sottratto al suo "amico" più che per reale amore.
Se il Ripley di Delon come dicevo si perde qualche sfaccettatura, un po' più didascalici risultano anche il Filippo di Ronet e la Marge di Marie Laforêt, che si strugge per il suo amato in maniera molto semplicistica, senza poi avere una reale influenza nella storia.
Ma questo non toglie meriti al cast che è convincente (c'è pure un cameo di Romy Schneider) e Plein soleil in generale è un film che si lascia seguire, nonostante possa risultare un po' datato: infatti ha un ottimo ritmo, vengono raccontati abbastanza bene tutti i vari escamotage e spostamenti che Ripley mette in atto, oltre alla sua affabilità.
Cambia però il finale, che forse aggiunge una accezione morale che il romanzo di Highsmith sembra non avere.
Qualche decennio più tardi, il regista premio Oscar Anthony Minghella, riprenderà la storia di Ripley con un cast eccezionale: Jude Law, Matt Demon, Gwyneth Paltrow, Cate Blanchett, ma anche una bella scelta di attori italiani come Fiorello, Sergio Rubini, Stefania Rocca e Ivano Marescotti.
Era il 1999 e Il Talento di Mr. Ripley si beccò anche tante candidature ai vari premi, fra Golden Globes, Oscar e Bafta, ma le vittorie furono magre.
Titolo Originale: The Talented Mr. Ripley Genere: drammatico, thriller Durata: 139 minuti Regia: Anthony Minghella Uscita in Italia: 17 Marzo 2000 (Cinema) Paese di produzione: Stati Uniti d'America |
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Il Thomas Ripley di Matt Demon si avvicina per certi versi a quello di Delon, ma viene raccontato in maniera più ampia: sappiamo infatti che si occupa di piccoli lavori umili per sopravvivere, e come incontra quasi casualmente i genitori di Dickie, che lo assumono per riportare l'erede a casa. Inoltre sin da subito dimostra il suo carattere e i suoi talenti, perché sembra dolce e affabile, ma è anche scaltro e pieno di assi nella manica, al punto che pur rivelando a Richard il suo piano, saprà recuperare terreno e trovare un modo coerente e convincente per restare con lui.
Ripley infatti viene descritto come uno capace di imitare le voci, falsificare le firme degli altri, ma anche studiare le sue prede e trovarne i punti deboli. E poi c'è quella costante ambiguità, anche sessuale, nei confronti di Greenleaf che invece manca nel film degli anni '60.
Il Dickie di Jude Law è anch'esso ben bilanciato perché fa il latin lover affascinante e sensuale, un po' gradasso, ma è anche un po' gigione e a tratti ingenuo, egocentrico e lunatico al punto da far entrare Tom comunque nella sua sfera più privata e intima, e creando un legame che Ripley farà diventare malsano.
Ma anche Marge in questa versione riesce ad avere maggiore spazio e voce in capitolo.
Narrativamente parlando credo che questo film del 1999 sia quello più articolato e complesso, perché racconta tutte le tecniche e le fughe di Ripley, e tutte le occasioni in cui dovrà agire per attuare il suo piano, ma in questo caso abbiamo un maggior numero di personaggi principali e secondari che finiscono per mettere Tom in ulteriore difficoltà, come ad esempio Meredith Logue interpretata da Cate Blanchett. Questo però non va ad appesantire troppo la visione, proprio perché sono personaggi funzionali alla narrazione.
Ho trovato anche lo scontro fra Dickie e Tom, che poi è il momento di svolta, più convincente e coerente con il Ripley che ci hanno presentato, che in Delitto in pieno sole, in cui sembra più calcolato.
È insomma un crescendo, un vortice quello rappresentato in questo film che diventa sempre più oscuro, e che ha tutte le caratteristiche del thriller psicologico, fino al finale che lascia quell'alone di ambiguità su cosa sarà del destino di Ripley.
Nonostante i suoi 25 anni di età credo che Il Talento di Mr. Ripley sia ancora godibile e affascinante, con una regia piacevole e ottime interpretazioni. Avrei forse evitato una rappresentazione dell'Italia così stereotipata, ma in questo senso si vede anche molto di peggio in pellicole contemporanee, quindi ho poco da lamentare.
La versione in formato miniserie di Netflix, arrivata il 4 Aprile di quest'anno, si innesta quasi perfettamente in mezzo ai due predecessori cinematografici.
Andrew Scott è un Ripley più scafato, che vive di espedienti poco leciti per cercare di sopravvivere, per cui con altrettanta premeditazione accetterà il ruolo che gli richiede il signor Greenleaf, e dovrà adattarsi a tutto pur di raggiungere i suoi scopi. È un Tom più freddo, distaccato, calcolatore, a tratti quasi senza emozioni quello di Scott, e la sua è una interpretazione perfetta.
Il titolo non credo sia stato scelto in modo casuale per distinguersi dalle produzioni precedenti: infatti il "talento" di Ripley in questo caso è la sua astuzia più che la capacità di imitare qualcuno, e tutto gira intorno a lui.
Manca però quella ambiguità sessuale che invece si trova spiccata nella versione del 1999, e secondo me, questo ed altri elementi, contribuiscono a settare la miniserie Netfilx molto più sul genere crime-thriller, mettendo da parte la componente psicologica del personaggio: questo Tom non mi è sembrato affascinato da Dickie, ma più che altro dalla sua posizione sociale e dal denaro, oltre che costretto a muoversi nel delicato castello di bugie che ha costruito. In questo senso ad esempio, nello scontro fra i due protagonisti, c'è meno pathos drammatico, si parla meno dei sentimenti che Ripley prova per il rampollo e più di come si sia compromessa la sua posizione. Sono insomma molto vaghe le vibes omoerotiche nella miniserie.
A proposito di Richard, interpretato qui da Johnny Flynn (visto l'anno scorso in The Lovers) non mi ha conquistato in questa veste forse meno stereotipata e più realistica, quasi bohemien del giovane americano che si trasferisce in Italia (la vera Atrani in questo caso e non la finta Mongibello) per dipingere, ma in cui manca verve e un carattere forte e deciso. Ad esempio la leggerezza del Dickie di Jude Law mi convince di più quando si tratta di non dar peso alle stranezze di Tom, mentre questa versione più serie e posata rende meno credibile le sue decisioni. È interessante che comunque abbiano scelto degli attori più maturi per i ruoli.
La Marge Sherwood di Dakota Fanning è invece praticamente una via di mezzo rispetto alle precedenti versioni, quindi a tratti sospettosa di Tom, ma non abbastanza da non cadere nel suo inganno.
Dai nomi che ho snocciolato comunque potete capire che le interpretazioni sono comunque ottime, e non posso non nominare anche i personaggi secondari e le partecipazioni dei nostri attori italiani come Margherita Buy e Maurizio Lombardi.
Ripley non manca poi di tensione, e riprende quel finale aperto che già avevamo visto, ma comunque si discosta molto dai film per quanto riguarda lo stile, visto che Steven Zaillian (già regista di The Night Of per dirne una), che ha diretto e scritto la serie, ha dato un taglio più autoriale. Non solo il bianco e nero, ma anche i tempi dilatati da una macchina da presa che indugia su dettagli, parti di corpi, sguardi e oggetti, costruendo dei quadri estatici che richiamano il cinema degli anni passati.
Una scelta stilistica che rende la serie meno adatta ad una maratona di streaming e diversa rispetto alle altre produzioni, ma ammetto che non l'ho amata dogmaticamente, perché a volte mi è sembrato che alcune parti di alcuni episodi funzionassero meno proprio perché troppo allungati.
Inoltre si gioca a sottrazione visto che la pluralità di personaggi del film del 1999 non trova spazio nella miniserie, e fa strano considerando gli 8 episodi da quasi un'ora ciascuno.
A questa versione seriale di Ripley si deve però riconoscere una cura dei dettagli estrema, una eleganza nel raccontare l'Italia degli anni '60 che passa anche dalle musiche (si punta giustamente su Mina e non sul jazz) e che secondo me è il riflesso del fatto di essere una produzione Showtime, che in cambio ha preso da Netflix Uncoupled (che non avrà mai una seconda stagione), e sottolinea che forse la qualità va ricercata su altre piattaforme.
Questo Ripley mi ha completamente soggiogato dal punto di vista fotografico, di regia e montaggio. Spesse volte ho fatto stop e rewind per godermi nel dettaglio le soluzioni visive applicate accennate a fotogrammi, gli scorci, le angolazioni, le luci, le ombre, i tagli. Trama e storia sono passate in secondo piano (essendo anche straconosciute), le motivazioni e le psicologie anche. E' stato pure rapimento visivo, estasi armonica, lo ammetto.
RispondiEliminaÈ vero, è incantevole anche nel senso letterale del termine. Spero allora di averti dato un focus maggiore sulle personalità 😉
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