Oltre a Baby Reindeer, la full-immertion nel mondo di Ripley, un paio di commedie leggere giusto per serate senza pensieri, e una miniserie basata su una storia vera, ho terminato anche altro dal catalogo di Netflix quindi posso finalmente sciorinare le mie opinioni.
Hacks
Prima stagione
Risalente al 2021, ma messa in streaming su Netflix dal 15 Febbraio di quest'anno, Hacks vede Jean Smart nei panni della famosa e ricchissima comica di Las Vegas Deborah Vance, la quale, nonostante abbia raggiunto appunto un certo status e una posizione invidiabile nel mondo della stand-up comedy, vede la sua carriera in discesa. Non è infatti più così fresca per il mondo dello spettacolo, e di conseguenza i suoi spettacoli sono stati via via ridotti. Per cercare di darle una svecchiata (è brutto da dire, specie ad una donna, ma tant'è) il manager di Debra le affida una giovane autrice Ava (Hannah Einbinder), che di recente ha perso il lavoro per un suo tweet alquanto discutibile. Fra le due non sarà subito amore, ma impareranno a conoscersi, capirsi, sopportarsi e supportarsi.
Prodotta da HBO Max e vincitrice di diversi premi, fra Emmy e Golden Globes, Hacks credo sia arrivata da noi non solo in ritardo, ma anche con un bagaglio di aspettative decisamente importante, almeno per quanto mi riguarda, e dopo questi primi 10 episodi non posso dirmi del tutto appagato.
Se l'incipit infatti non spicca per originalità (due generazioni che si scontrano nel mondo del lavoro e in ambito personale, finendo anche per andare d'accordo in alcuni frangenti) è lo sviluppo a non avermi tenuto incollato allo schermo. È vero, Hacks è una di quelle serie tv che guardi volentieri perché ben recitata, ben messa insieme, con una durata giusta per un prodotto che vuole oscillare fra momenti di dark humor poco politicamente corretto, a piccole parentesi più drammatiche, specie quando si tratta del risvolto umano delle delle due protagoniste, ma non lascia molto.
Sia Debra che Ava sono infatti due donne comunque sole, la prima con un bagaglio esperienziale pesante e ricco, la seconda sfrontata verso il mondo ma con ancora molto da imparare.
Però, vedete, anche queste mie descrizioni risultano in qualche modo già viste e sentite, perché in effetti Hacks non brilla, non ha quel fattore che, oltre ad una fattura generalmente pulita, la faccia distinguere. I momenti in cui ho (sor)riso sono davvero pochissimi, e la cosa strana è che vediamo solo in pochi attimi la protagonista su un palco alle prese con le sue battute, che tra l'altro fanno ancora meno ridere dei dialoghi "normali". Quando invece arriva quella parentesi di cui sopra, in cui dovresti riflettere o sentirti in qualche modo toccato da quel che accade, dalle esperienze di Ava e Debra, capisci subito dove andranno a parare.
Per me in questo senso è emblematico l'ottavo episodio, in cui, giustamente, uno dei temi riguarda le molestie che si possono subire nel mondo dello spettacolo, dell'importanza di denunciarle, e c'è ovviamente un confronto fra due generazioni differenti che hanno approcci diversi, ma è raccontato in un modo così didascalico che vedi già alle prime battute dove finiranno.
L'accoppiata Smart - Einbinder è una versione speculare dei ruoli che interpretano, con una prima effettivamente più rodata, convincente e d'esperienza, ed una seconda praticamente sconosciuta e che ancora deve farsi le ossa. Ava infatti è spesso eccessiva nelle reazioni, non sempre mi è risultata particolarmente simpatica, e i suoi dialoghi come dicevo non risultano particolarmente brillanti.
Discorso molto simile anche per i personaggi secondari, sviluppati in modo marginale ed inutili all'economia di insieme, come Marcus (Carl Clemons-Hopkins) ad esempio, assistente personale di Deborah dalla inesistente vita privata che si sente "minacciato" dall'arrivo di Ava.
Sebbene vicina per quanto riguarda la tematica della stand up comedy, Hacks è lontana anni luce da The Marvelous Mrs. Maisel ad esempio, pur restando una serie tv gradevole e di compagnia e che non richiede chissà quale sforzo per essere seguita.
La seconda stagione di Hacks è stata rilasciata su Netflix l'1 Giugno, ne ho parlato qui.
Ashley Madison: sesso, scandali e bugie
Docu-serie
Forse da noi in Italia non dirà moltissimo, ma negli USA Ashley Madison è una chat d'incontri che oggi vanta oltre 70 milioni di iscritti. Messa così non ci sarebbe nulla di strano, ma questo sito, nato nel 2002 e il cui nome è solo l'unione dei due nomi femminili più famosi in America, è stato creato ad uso esclusivo di uomini e donne sposati alla ricerca di relazioni extraconiugali, senza ovviamente il consenso del proprio partner. Un'app per fedifraghi che però, sin dall'inizio, pare ebbe un discreto e crescente successo, al motto di "La vita è breve. Fatti una scappatella".
L'allora CEO dell'azienda Noel Biderman infatti spinse il sito attraverso una campagna marketing serrata, con apparizioni televisive e pubblicità a più livelli, e a chi lo criticava dicendo di promuovere un sito immorale, lui rispondeva che stava solo fornendo un servizio a persone che comunque avrebbero tradito il proprio coniuge.
Tutto funzionava bene, diciamo così, fino a quando, nel 2015, Ashley Madison subì un attacco hacker che aprì un vaso di pandora: migliaia di informazioni personali, nomi, email e dati bancari vennero diffusi nel dark web e raggiunsero i media, rendendo pubblici i profili di utenti sposati che fino ad allora si erano fidati di un sito che prometteva riservatezza e sicurezza.
Fu uno tsunami che coinvolse migliaia di persone, alcune delle quali, incapaci di gestire la vergogna di essere stati scoperti, si tolsero la vita. Come se non bastasse però, l'attacco hacker, partito da un certo Impact Team, rivelò molti dei lati oscuri del sito, non solo per quanto riguarda appunto le persone che tradivano, fra cui anche personaggi più o meno noti, ma anche le politiche interne e le dinamiche di funzionamento non propriamente limpide, che cercavano di accalappiare sempre più utenti e farli sborsare per funzioni più avanzate.
Ashley Madison: sesso, scandali e bugie, arrivato su Netflix il 15 Maggio, mi ha fatto scoprire una storia che non conoscevo ma che fa riflettere, perché oggi con i social e le app condividiamo davvero di tutto con la tranquillità che tanto non ci accadrà nulla, ma vedere cosa potrebbe invece succedere quando quella sicurezza online viene meno, è davvero inquietante.
In questo senso è efficace anche a coinvolgere emotivamente lo spettatore, perché, anche senza segreti in grado di sfasciare famiglie, penso che tutti ci teniamo alla nostra privacy, e questa docuserie Netflix riesce a tenere viva l'attenzione sull'argomento.
Non mi è stato del tutto chiaro però in alcuni passaggi, perché ad esempio se in principio alcuni ex membri dichiarano di aver avuto appunto molti rapporti tramite il sito, poco dopo si afferma che Ashley Madison era pieno di bot e account fake per attirare l'attenzione di un pubblico maschile pagante.
È un documentario in tre episodi che si segue scorrevolmente e che raccoglie le testimonianze di ex "clienti" di Ashley Madison, anche quelli soddisfatti, dipendenti e dei media che ne raccontavano le vicissitudini. Non spicca però negli aspetti più tecnici: stile, regia, inquadrature e montaggio richiamano i tipici documentari già visti e rivisti, al contrario magari di White Hot.
Bridgerton
Terza Stagione / Prima Parte
È ancora presto per un giudizio definitivo su questa prima stagione dell'attesissimo Bridgerton 3 ma, avendo comunque visto metà degli 8 episodi direi che un'idea me la sono fatta, ed è il momento di parlarne.
Non credo sia uno spoiler perché ormai tutti sanno che questa sarebbe stata la stagione dedicata alla possibile relazione amorosa fra tra Colin Bridgerton (Luke Newton) e Penelope Featherington (Nicola Coughlan), e forse già questo non rendeva la stagione semplice perché i due li conosciamo già da tempo e, per quanto fossero affiatati anche negli episodi precedenti, era necessario trovare un modo convincente (specie per chi come me non ha letto i libri) per far nascere questo amore.
Fino ad adesso l'operazione mi è sembrata comunque riuscita, con qualche piccolo intoppo. La nuova coppia, i Polin come li chiamano su internet, è infatti affiatata e deve attraversare le sue tappe per poter consolidarsi.
Entrambi i protagonisti difatti crescono e partono da un glow-up sia fisico che caratteriale, con Colin di ritorno da un viaggio per l'Europa che l'ha visto maturare al punto da diventare lo scapolo più ambito della stagione, e Penelope decisa più che mai a trovarsi un marito, specie adesso che si è interrotta (definitivamente?) la sua amicizia con Eloise (Claudia Jessie). Non è facile per i due avvicinarsi, e sarà sempre più complicato gestire il loro rapporto, non solo perché Pen non è più amica di Eloise, ma perché deve nascondere la sua doppia identità rivelataci ormai in Bridgerton 2.
Credo che scoprire come verrà gestita questa circostanza sarà l'aspetto più interessante della seconda parte di questa terza stagione, che è partita con un incipit diverso, quindi non più il classico enemies to lovers che avevamo visto in precedenza, ma che non è del tutto efficace, come anticipavo, nello sviluppo.
Secondo me infatti la coralità di Bridgerton questa volta ha sfocato un po' troppo l'attenzione su quelli che dovevano essere i protagonisti assoluti della stagione. Infatti i personaggi che già conoscevamo, non sempre vengono narrativamente marginalizzati, come Anthony ad esempio, ma sono anche coinvolti in nuovi sviluppi. Troviamo ad esempio la stramba amicizia di Eloise e le nuove conoscenze "speciali" di Benedict Bridgerton e di sua sorella Francesca, finalmente al suo debutto in società, tutte linee narrative che immagino preparino la strada ai prossimi capitoli. Ma, se ciò non bastasse, ci sono altri personaggi, come ad esempio Will Mondrich, amico del duca di Hastings, e sua moglie Alice, che si ritrovano improvvisamente al centro della scena con un inaspettato upgrade sociale.
Quello che voglio dire, in breve, è che la carne al fuoco è davvero tanta, quindi spero che i prossimi episodi, usciti il 13 giugno e di cui parlo qui, sappiano concentrarsi più su Penelope e Colin, dandogli anche un intreccio narrativo più avvincente.
È inevitabile, penso per qualunque serie, che le nuove stagioni possano soffrire un po' di un senso di stanchezza, perché mantenere la qualità e la freschezza di un debutto non è semplice, quindi l'idea di dividere Bridgerton in due parti sicuramente ci dà come pubblico la possibilità di prendere un po' di respiro, lasciandoci con quel tanto di appetito che basta a voler sapere come sarà il proseguo, con una attesa più che ragionevole.
La struttura e le dinamiche della serie sono infatti sempre quelle quindi non posso dire che qualche passaggio mi abbia lasciato sorpreso. Continua però ad essere quel guilty pleasure che segui senza sforzo, e che ti riempie gli occhi con una produzione sempre più massiccia (e ricca) di costumi, scenografie, parrucche e le orecchie con i brani contemporanei stilizzati in arie da camera.
Hacks vista proprio per i tanti premi vinti/in lizza mi aveva convinto da subito. Frizzante, intelligente, e con la seconda stagione secondo me migliora visto che non si perde tempo a conoscere i personaggi ma li si approfondisce. Dagli un'altra chance, le due la meritano ;)
RispondiEliminaMi trovi d'accordo in linea di principio con le qualità che dici di Hacks, forse son sembrato poco entusiasta perché mi aspettavo qualcosa di più fresco, magari non innovativo ma con una marcia in più e non l'ho trovato.
EliminaSicuramente vedrò la seconda appena Netflix la butta fuori!