Ma purtroppo è sempre più frequente: la seconda stagione di tantissime serie tv che raggiungono un certo successo, finiscono per essere banali, deludenti, tante spanne sotto la prima stagione. La speranza è che riescano a risorgere dalle ceneri con una terza stagione, e così è stato per The Handmaid's Tale, andata in onda su Tim Vision dal 6 giugno al 15 agosto.
Un'altra stagione che si ritrova a dover camminare da sola, senza appunto un romanzo che faccia da fondamenta come la prima, ma che comunque è riuscita, almeno per me, a risultare coinvolgente da inizio a fine, e a fare quel passo avanti che appunto il secondo ciclo di episodi non aveva affrontato.
O per lo meno, una cosa buona la seconda stagione l'aveva fatta, ovvero darci qualche indizio sul fatto che Gilead non fosse così impenetrabile, così controllata, inespugnabile e perfetta nella sua struttura e con le sue leggi. Avevamo scoperto che c'era un gruppo che dall'interno stava cercando di ribaltare il sistema, e che questa operazione, con tutte le difficoltà del caso, aveva fatto tremare (in tutti i sensi) i piani alti.
La paura che anche questa terza stagione di The Handmaid's Tale potesse risultare ripetitiva e poi non così risolutiva era però tanta anche perché abbiamo ripreso da dove avevamo lasciato lo scorso anno. Tuttavia finalmente ci siamo mossi parecchio più avanti sia narrativamente che in termini di personaggi. Un po' forzatamente forse, perché diciamolo June poteva finire ovunque e più logicamente non propriamente a far l'ancella, conosciamo meglio il Comandante Joseph Lawrence, che secondo è stato interessante da scoprire.
Lawrence è un uomo molto combattuto, ha contribuito a creare Gilead ma adesso ne è spaventato, si ritrova compresso dalla sua creatura, e come un criceto sulla ruota è costretto a pedalare. E quindi alternerà queste due facce per tutto il tempo: da un lato sottolineando lui stesso che è comunque l'uomo di casa, quello che porta i calzoni, quello al comando, per non farci dimenticare che siamo in un patriarcato tossico, dall'altro lato però ci mostra anche quello che è costretto a fare in questa macelleria umana in cui tocca scegliere il pezzo migliore, e diventerà una spalla per June, anch'ella finalmente slegata dal circolo delle passate stagioni. Anche June finirà per perdere di stabilità, un po' come Lawrence, perché Gilead alla fine è anche questo, ti entra dentro, ti sconvolge, ti inghiotte, e lei stava per perdere la sua strada, digerita com'era dall'atmosfera malsana, dai modi, dalle regole del mondo in cui è intrappolata. Ma riuscirà a riemergere, a trovare lucidità, a ritornare quasi letteralmente su suoi passi a quando tutto è cominciato.
Per creare questo movimento ho avuto l'impressione che questa terza stagione di The Handmaid's Tale abbia dovuto spostare anche un po' lo stile della serie. Se prima era un dramma dalla quasi costante denuncia sociale, adesso, sebbene ci vengano mostrate altre nefandezze che le ancelle devono subire, si passa più verso l'azione, e sembra a tratti un film di spionaggio. È stato tuttavia un cambiamento necessario per una storia che non può continuare all'infinito e che prima o poi deve avere un epilogo.
È un cambio che generalmente si muove lento, che si prende i suoi tempi e che a livello narrativo, a volte, si disperde, ma non credo si stato solo un modo voluto dagli sceneggiatori per allungare il brodo, ma una scelta per farci capire che i tempi di Gilead, in cui possono muoversi i personaggi, sono effettivamente lenti. In ogni caso questa terza stagione non mi ha mai annoiato anche in questi tempi "morti", anche quando ci si muove verso approfondimenti che non danno molto alla storia principale.
Per la prima volta ad esempio ci viene mostrata un'altra parte degli Stati Uniti che troviamo trasformati, ed immagino che per gli americani sia stato visivamente decisamente più forte, anche per quel che rappresentano certi luoghi e simboli politicamente. Questa è un po' una parentesi che di per sé non offre molto narrativamente, anzi non ho capito benissimo il personaggio del comandante Winslow che poteva diventare quasi un "outsider" incastrato nel meccanismo, ma in realtà mi è parso solo un modo di dimostrare ancora una volta la scala gerarchica di Gilead.
Più interessante e forse anche più attesa la digressione su zia Lydia, che ci viene mostrata come una donna difficile ben prima dell'avvento del nuovo regime, e che anzi troverà in questo un ruolo naturale. Anche lei non offrirà molto al proseguo della storia, ma quell'episodio l'ho trovato interessante, ma tutti questi approfondimenti e divagazioni finisco per avere in primis un impatto visivo ed emotivo importante.
Se devo muovere una critica l'unica parte che ho trovato un po' scontata e strana è tutto quel che riguarda i Waterford. Entrambi i coniugi hanno esaurito chiaramente il loro percorso nella serie, e trovargli una collocazione non è facilissimo, ma così mi sembra un po' macchinoso. Se Fred risulta innocuo perché mi pare chiaro che venga portato avanti un po' svogliatamente, senza molto da fargli fare e dire, il voltafaccia di Serena, anzi i voltafaccia, mi son sembrati appunto un po' forzati, e in parte prevedibili per i suoi stessi discorsi. Ma se su questo posso chiudere un occhio, visto che d'altronde un personaggio può far come crede, ritengo invece ci sia un aspetto che non ha totalmente senso, e devo scendere un po' nello spoiler.
Secondo me continuare a battere sulle pretese di Serena nel conoscere, o meglio nel voler far parte della vita della piccola Nichole è qualcosa di completamente assurdo: lei non è nemmeno la madre "adottiva" in quanto Fred non è il padre biologico, la coppia non l'ha cresciuta se non per pochi mesi, per cui sono pretese senza alcuna logica reale e non hanno ragione di essere portate avanti. Sia Serena che Fred inoltre si sono dimostrati collaborativi con il Canada per cui non è nemmeno una moneta di scambio (che sarebbe comunque orrendo) ma stanno letteralmente incoraggiando una matta sotto tanti punti, anche umani non solo genitoriali (se le due cose si potessero distinguere). C'è una scena in particolare che mi ha fatto pensare che gli sceneggiatori si fossero ammattiti: Serena e Nichole praticamente da sole di notte all'aperto. Vi pare normale?
A parte questi piccoli intoppi, The Handmaid's Tale secondo me resta un must watch: anche solo l'ultima puntata, in questo mix di tensione, dramma, passione molto forte, riesce a ripagare di qualunque sbavatura, e più in generale questa terza stagione ha riconfermato i pregi della serie. Non ho nominato la bravura di Elisabeth Moss, ma è così palese e crescente che è impossibile non notarla, così come non sono tornato a parlare delle scelte grafiche, di regia, di colori sempre curatissime.
Non mi sono ancora approcciato, ma avendo a disposizione Tim Vision non ci vorrà ancora tanto tempo per farlo ;)
RispondiEliminaC'è sempre tempo per recuperare 😁
EliminaMi hanno detto che è una serie tv molto forte, specialmente per noi donne, ma che merita, quindi non so se guardarla o meno, vedremo!
RispondiEliminaLo è assolutamente, per come risultano attuali i temi e per come vengono raccontati
EliminaIo, purtroppo, sto facendo una fatica immensa. Ormai è diventato realmente inverosimile e la Moss, per quanto brava, coi suoi soliti sguardi in camera mi ha già rotto tre quarti di palle.
RispondiEliminaahaha gli sguardi in camera non li capisco moltissimo anche io!
EliminaLeggo qua e là per evitare spoiler, ma questa terza stagione per me non s'aveva proprio da fare. O almeno non così: lenta e in cui niente succede (e quello che succede non ha senso, la stupidità degli uomini di Gilead è imbarazzante). Mi sto trascinando gli ultimi episodi da settimane ma gli innumerevoli primi piani di June stancano solo a pensarci. Ce la farò?
RispondiEliminaCe la farai 😁 e una volta finito ti leggerò!
EliminaPer me la prima stagione resta la migliore. E' quella che mi ha angosciata e stupita di più allo stesso tempo. La seconda mi ha annoiata, salvo qualche scena (esempio quella finale shock) e la terza idem. Ma Emily? Perché non hanno proseguito la sua storyline, interessante e ricca di spunti di riflessione? T.T
RispondiEliminaSiete in diversi che vi siete annoiati con la terza, e un po' mi spiace perché per me è stata valida.
EliminaSu Emily credo non ci fosse molto altro da raccontare, se non la ripresa appunto della vita normale in Canada, ma abbiamo capito che sta andando bene, per cui...
Il problema di fondo è che June visto il clima piuttosto dittatoriale della serie doveva finire appesa già da un bel po', invece al massimo viene punita a spazzare e lavare il pavimento, mentre altre solo per essere delle semplici comparse finiscono appese per molto meno.
RispondiEliminaLa apprezzo moltissimo dal lato estetico, ma da metà della seconda stagione in poi trovo questa serie piuttosto borderline e contorta per quel che concerne i personaggi.
I personaggi sembrano un po' fare le cose a caso.
Su June condivido, è quel che intendevo con "perché diciamolo June poteva finire ovunque e più logicamente non propriamente a far l'ancella".
EliminaPer il resto credo che sia voluto questo effetto caos/lentezza: i personaggi non hanno modo di comunicare fra loro e di sapere cosa accade
Devo dire la verità, io causa stanchezza, impegni vari e lavoro, mi sono arenata alle prime puntate di questa terza stagione, per cui mi sono letta qualche spoiler (ma non ho tanti problemi al riguardo se non sono spoiler grossi). Effettivamente hanno dato una bella svolta alla stagione con questo cambio di dimora per June e, come hai detto tu, anche nello stile. Devo cercare di rifarmi al più presto!
RispondiEliminaLo capisco bene perché le prime puntate possono essere un po' lente, quindi se hai altro da fare skippi facilmente, se invece hai tempo secondo me più avanti migliora!
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