Il Gattopardo su Netflix: ecco perché la nuova serie tv mi è piaciuta (nonostante tutto)

L'abbiamo attesa a lungo e finalmente il 5 Marzo su Netflix è arrivata la serie tv Il Gattopardo, opera che si ispira al romanzo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, già usato da Luchino Visconti per creare l'omonimo capolavoro del 1963 con un cast storico. Eppure Netflix, pur avendo a che fare con una storia che aveva già lasciato un solco nella memoria di molti, ci ha provato e secondo me c'è riuscita.

Non credo che serva ricordare la trama, ma la racconto brevemente per i più smemorati e i più giovani: siamo nella metà dell'800, in Sicilia, e conosciamo Don Fabrizio Corbera Principe di Salina (qui interpretato da Kim Rossi Stuart) stimato nobile conosciuto come il Gattopardo, che vive degli agi che la tradizione gli ha concesso insieme alla sua famiglia. Ma nel resto d'Italia sono gli anni del Risorgimento, che ovviamente coinvolgerà anche la Sicilia, in particolare quando Giuseppe Garibaldi sbarcherà con i suoi mille sull'isola per unificare l'Italia. Così la nobiltà, e Don Fabrizio in particolare, dovrà fare i conti con un grosso cambiamento storico e sociale, fatto di rivolte che coinvolgeranno anche suo nipote Tancredi (Saul Nanni).

Anche chi come me non ha letto da poco il romanzo di Tomasi di Lampedusa o ha visto il film di Visconti di recente, non può certo dimenticare la magnificenza che queste due opere hanno lasciato al mondo della cultura, e, inevitabilmente, notare tutte le differenze che Il Gattopardo originale aveva rispetto a questa produzione Netflix. Ma fatemi dire che, guardata nel complesso, la nuova serie tv mi è sembrata comunque piacevole e appagante.

È importante secondo me avere ben presente che Netflix non solo non poteva competere con i capolavori del passato, ma nemmeno doveva proprio perché il suo pubblico è diverso. Il compito di una piattaforma streaming del ventunesimo secolo è principalmente quello di vendere un prodotto ad un pubblico ampissimo e variegato, internazionale, molto probabilmente giovane e che magari non ha nemmeno mai letto o avuto a che fare con Il Gattopardo nelle sue prime vesti.
A mio avviso è quindi inevitabile che una nuova miniserie su questa storia non fosse pensata per coloro che invece amano e conoscono a menadito le versioni già edite, ma per quelli che magari si potranno avvicinare a queste in futuro attraverso un mezzo come Netflix che è vicino alle loro abitudini e al loro gusto.

Tutto questo si esplica anche nel fatto che gli sceneggiatori di questo "nuovo" Gattopardo sono Richard Warlow (The Serpent) e Benji Walters (Obsession), quindi non italiani. 

Se partite con questa visione secondo me apprezzerete molto di più questa miniserie Netflix o quantomeno ne capirete la ratio.
Tra l'altro a mio avviso ci sono tanti aspetti che funzionano anche a prescindere da un inevitabile confronto.
Ad esempio, rispetto al film e al romanzo, il personaggio di Concetta (interpretato da Benedetta Porcaroli) diventa più centrale, quasi colei che ci porta per mano in questo mondo fatto di cambiamenti e contrasti. La sua figura si fa più interessante non solo perché ci permette di raccontare un rapporto padre-figlia che in un certo senso è universalizzabile, ma perché fa da specchio a Don Fabrizio.
Se infatti il principe fa sempre più fatica a muoversi in questa Sicilia in rivolta, con una società che in parte lo stima in parte lo detesta, lo struggimento di Concetta è più intimo e personale, rivolto appunto al suo amato Tancredi, ma è sempre creato dall'avanzare del nuovo - ovvero la "popolana" Angelica (Deva Cassel).

Il calderone delle cose riuscite in questa nuova versione de Il Gattopardo non è poi così vuoto anche per altri motivi. Infatti la miniserie può contare su un impianto tecnico valido, con ottime scenografie e una curata ricostruzione dell'epoca, oltre che valorizzare la bellezza della Sicilia (seppur con una visione assolata e polverosa che risulta già vista). 

Ci sono poi tante scene ben costruite, alcune scelte creative apprezzabili che riguardano ad esempio la scelta degli attori e dei costumi. In particolare l'Angelica di Deva Cassel, per quanto le sue doti recitative siano ancora limitate, funziona bene come personaggio di rottura, con una bellezza conturbante, sensuale, con questi abiti rossi come la passione (o la rivoluzione), diversa sicuramente da Concetta, ma non per questo inferiore. 

In generale tutto il cast mi è sembrato azzeccato da un punto di vista estetico, anche se avrei voluto una maggiore attenzione sull'accento siciliano, visto che ognuno sembra parlare con una cadenza diversa e a volte anche più di una in base alle scene. Avrei anche voluto qualche sfumatura in più nella caratterizzazione dei personaggi, ma immagino che il genere e lo scopo della serie li abbia leggermente appiattiti.
In questo senso forse la meglio riuscita è proprio Concetta, che finalmente ha un carattere deciso, ribelle ma sempre conscio della sua posizione sociale ed umana. 

A scene riuscite ne corrispondono altre che avrebbero sicuramente meritato una maggiore forza, come se mancasse a volte quel nervo, quella capacità di far risaltare certe dinamiche o certi dialoghi. Però, dall'altra parte, la deriva da soap televisiva che alcune parti de Il Gattopardo raggiunge, non è stata fastidiosa quanto temevo, risultando coerente nell'insieme.

Ma ci sono altre cose, un po' più sottili, che questa nuova serie Netflix riesce a fare e non sono da sottovalutare. Da un lato infatti secondo me sa portare un messaggio che è forse fuori da un'epoca specifica e che riguarda oggi come ieri: ci sarà sempre una classe dominante, in vista anche solo all'apparenza, che prima o poi verrà soppiantata da una borghesia in ascesa, in un flusso quasi continuo di privilegi che vengono passati di mano in mano, ma che comunque non arrivano a tutti. Non a caso Concetta, che è maggiormente protagonista, pur essendo nobile e ricca, resta pur sempre una donna con limitato spazio di manovra. 

C'è poi l'effetto nostalgia che secondo me un'opera come Il Gattopardo deve saper suscitare e che questa serie tv Netflix sa ricreare. Infatti riescono a farci entrare nell'ottica dei protagonisti principali, nella loro prospettiva, trasmettendo un senso non di rimpianto (che sarebbe ingiusto) ma di malinconia, di ricordo, di epoche ormai passate, fatte, nel bene o nel male, del loro splendore e dei loro fasti.


Se quindi gli amanti delle opere originarie soffriranno un po' con la visione di questa versione de Il Gattopardo, io credo che, seppur con i suoi limiti e i suoi difetti, Netflix abbia saputo creare un period drama familiare che ha anche qualche punto di forza da non sottovalutare.




6 commenti:

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  1. Piaciuta anche a noi, anche se, da residente, ne avrai tratto impressione maggiore, magari un senso diverso sulla mentalità che, almeno a tratti, è stata fatta trapelare. E non mi è dispiaciuto neanche Kim Rossi Stuart pensa un po'.. ;)

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    1. Diciamo che da residente è più facile notarne di difetti più che i pregi. Ma comunque credo che fra le proposte di Netflix ci sia molto di peggio. Rossi Stuart non è stato male, ma credo che la sceneggiatura non sempre l'abbia aiutato

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  2. Kim Rossi Stuart non lo si vedeva da un po' o sbaglio?
    Felice che sia stato ripescato.

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    1. Sì, erano due o tre anni che non era in un progetto 😊

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  3. Sono ancora combattuta, anche se i ricordi del romanzo e del film di Visconti sono molto sbiaditi, mi fido poco di Netflix e del suo voler ovviamente ammiccare al pubblico giovane con attrici forse troppo giovani per reggere i ruoli. Non so, anche se un po' mi rincuori, tentenno... fortuna che nelle ultime settimane Netflix sta sfornando altri titoli più nelle mie corde.

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    1. Io comunque non credo che ci sia qualcosa di così oltraggioso nella serie. Per esempio mi hanno fatto notare (non lo ricordavo) che qui il numero dei figli è inferiore. A mio avviso per una mera questione di praticità. Comunque sì, tanta roba per adesso.

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