Queer As Folk, la recensione del nuovo reboot

Per molti Queer as Folk, la famosa serie creata da Russell T. Davies agli inizi degli anni 2000, è un cult nel settore LGBTQ+, uno di quei telefilm che non puoi non conoscere, specie in relazione all'impatto sociale che avevano all'epoca certe tematiche, la cui rappresentazione in televisione era quasi assente. Io ricordo che la vidi con parecchia curiosità, ammetto anche un po' pruriginosa, ma presto l'interesse si sgonfiò sia per la versione americana che per quella britannica: mi sentivo poco rappresentato dai personaggi e che le vicende mi sembravano poco stimolanti e troppo incentrate sul sesso.

Quando però ho sentito parlare di un reboot di Queer As Folk ho pensato che potesse essere l'occasione giusta visto che nel tempo ho apprezzato altri lavori di Davies, come It's a Sin e la prima stagione di A Very English Scandal

Disponibile su StarzPlay, canale che trovate su Amazon Prime Video e su Apple Tv+, la nuova versione di Queer As Folk prende le mosse dalle precedenti stagioni ma si rinnova su più fronti presentando nuovi personaggi e contesti attuali. L'ispirazione di partenza deriva da un fatto realmente accaduto ovvero la sparatoria al Pulse Nightclub nel 2016, ad Orlando, e dal trauma che deriva da un evento del genere. Qui ci troviamo al Babylon, e scopriamo le vite di Brodie, un ragazzo tornato in città dopo aver lasciato medicina, Ruth, una donna transgender che sta per avere un figlio con la loro (perché usa il pronome they/their) partner Shar, e conosciamo anche Mingus, un diciasettenne con il sogno di diventare una drag queen. 


Questi, ed altri personaggi, si troveranno ad affrontare il dramma causato dalla sparatoria, che ha lasciato dietro vittime e traumi, ma anche i propri personali problemi legati alla sfera affettiva, in un ventaglio di persone e personalità che tenta di essere quanto più inclusivo possibile.
È questo forse uno dei punti di forza di Queer As Folk 2022, visto che è davvero ampiamente queer, e prova a toccare argomenti e tematiche a volte non semplici da raccontare ma al tempo stesso importanti.
Colpisce indubbiamente la dualità fra cui oscillano alcuni dei personaggi, che da un lato si mostrano quasi come dei paladini della comunità LGBTQ+, ma dall'altro hanno mire egoistiche e puramente personali.

C'è poi Ryan O'Connell che nei panni di Julian, il fratello di Brodie, ci apre una porta su cosa significhi essere disabile e omosessuale, un po' come aveva fatto in Special, mostrandone anche alcune ombre, seppur credo che la sua visione sia poco verosimile. È più interessante la parentesi di Mariv (Eric Graise).
Questo ampio range di personaggi corrisponde indubbiamente ad un altrettanto ampio campo di temi come la genitorialità, il superamento di un lutto, l'accettazione di sé, i rapporti amichevoli e familiari.
Il problema però è che tutto viene sviluppato poco, perché questa nuova versione di Queer As Folk ha una sceneggiatura davvero povera e con delle linee narrative che non riescono ad avere una esplosione così coinvolgente. Infatti per buona parte dei primi episodi mi sembrava che si rimestasse sempre sulle stesse situazioni senza saper creare degli sviluppi, al punto che mi sono proprio annoiato.

Fortunatamente da oltre metà della prima stagione si aggiungono nuovi tasselli alla storia, ma arrivano secondo me troppo tardi per poter ribaltare del tutto la narrazione.
Inoltre, nel corso delle puntate, il trauma della sparatoria sembra un argomento da far lampeggiare selettivamente qui e lì più che qualcosa che ha davvero coinvolto i personaggi. 
Purtroppo ancora una volta secondo me si gira troppo attorno all'apparenza, alle feste, al sesso più o meno incontrollato, allo "sballo" e meno a creare una storia solida e realistica, che riesca a fornire davvero una rappresentazione dell'omosessualità e della queerness più ampia e non la stessa macchietta che viene venduta ormai da decenni.


A reggere la bandiera dello scarso approfondimento e della superficialità c'è Brodie, quello che dovrebbe il personaggio principale, che si trascina portandosi dietro un tormento, un malessere quasi adolescenziale che non nasce da una situazione specifica, o per lo meno non ci viene spiegata ma che sicuramente ha origine prima della sparatoria. Peccato però che parliamo di un ragazzo alla soglia dei trent'anni.
Lui viene volutamente scritto per essere antipatico, ma senza darci una panoramica del suo vissuto.
La scena che più mi ha colpito è stata proprio la discussione che si tiene nel settimo episodio fra Brodie appunto e suo fratello Julien, dove entrambi si accusano a vicenda, in breve, di avere una vita più facile dell'altro. Anche qui, invece che scavare a fondo in queste tematiche familiari, è tutto un oscillare fra chi ha fatto sesso con chi e chi è più attraente dei due.

Non se la passano meglio le altre storyline, come quella fra Ruth e Shar: una parabola buttata alle ortiche, con risvolti forzati e anche imbarazzanti.
Spiace per Kim Catrall il cui personaggio ha secondo me molto potenziale anche nel suo cambiamento, ma finisce per avere una deriva quasi bizzarra per come viene narrata.
Questo nuovo reboot di Queer as Folk non riesce a slegare i personaggi dalle loro vicende sessuali, ma soprattutto, nonostante ogni fascia della comunità meriti rappresentazione, e la serie si pone con una impostazione corale, non riesce a mettere in luce personaggi più empatizzabili, realistici, umani, approfonditi e sfaccettati come le storie che vorrebbero raccontare.
Non mi stupisce insomma che la serie non avrà una seconda stagione. 



2 commenti:

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  1. Anche i reboot son sempre un po' rischiosi!
    Non ho visto la nuova versione di Queer As Folk perché Sky non l'ha trasmessa.
    Ma in fondo in fondo mi sarebbe piaciuto vederla, dal momento che ho visto sia l'originaria versione britannica che quella successiva statunitense.

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