Jennifer Lopez: Halftime, fra occasioni mancate e ipocrisia

Con curiosità mi sono approcciato al nuovo docu-film su Jennifer Lopez, visto che si tratta indubbiamente di una delle pop star americane più conosciute al mondo, e anche da noi in Italia. Credo che infatti abbia una fama trasversale, visto che fra generazioni più o meno recenti conoscono il suo nome e almeno parte della sua carriera.
Ma speravo che Jennifer Lopez: Halftime riuscisse a dare una visione ancora più profonda e sensibile della sua vita, ma purtroppo fallisce in questo intento.


Genere: biografico
Durata: 95 minuti
Regia: Amanda Micheli
Uscita in Italia: 14 Giugno 2022 (Netflix)
Paese di produzione: Stati Uniti d'America 

Attrice, performer, cantante, e adesso pure paladina dei diritti delle donne latine e degli ispanici in genere: è questa la pluralità di ruoli che JLo cerca di far passare attraverso questo il nuovo documentario, ma il risultato è un auto incensarsi caotico e un po' schizofrenico.
Jennifer Lopez: Halftime infatti prosegue come sulle montagne russe, iniziando proprio dall'organizzazione per lo show durante il 54° Super Bowl del Febbraio 2020, per poi passare rapidamente alla sua infanzia, al rapporto burrascoso con la madre, ai primi ingaggi come ballerina che sembrano volerla incasellare solo in questo campo, e poi i primi successi. Si torna poi ancora una volta alla performance da creare in vista di uno degli spettacoli più visti al mondo, e si cerca a tutti i costi di inserire tematiche più sensibili, come l'immigrazione e l'accettazione di sé.



Nel suo insieme Jennifer Lopez: Halftime non mi è sembrato composto al meglio. Infatti tutte queste parti del documentario, che vanno e vengono, a volte sembrano scollegate e incomplete, forse nel tentativo di farci stare quanta più roba possibile e rendere il tutto una sorta di biografia dei primi 50 anni di Jennifer Lopez.
Allo stesso tempo avrei asciugato il minutaggio dedicato a mostrare il risultato dell'Halftime, perché la performance la possiamo recuperare in qualunque momento, mentre a noi interessano i retroscena. 
Non per mettere il dito nella piaga, ma avrei evitato anche il filtro sfocato di alcune inquadrature, per mettere a fuoco solo la protagonista, perché è davvero fastidioso.

Ma non è solo però una struttura generale un po' caotica, in questo continuo muoversi fra passato, presente e futuro senza quasi un percorso da seguire, a non funzionare del tutto, ma temo che anche il contenuto andasse rivisto, perché alcuni messaggi che vuole trasmettere risultano un po' strani e sempre rivolti all'esterno, ma mai con un senso di analisi, riflessione e autocritica. 

Jennifer Lopez è infatti da sempre un personaggio che vuole unire più talenti e ruoli, ma non viene mai messo in discussione all'interno del documentario il fatto che magari non è sempre possibile ambire al top in ogni singola categoria. Ed è secondo me una occasione mancata, visto che viviamo in una società in cui la sconfitta, anche parziale, viene demonizzata

Inoltre, tralasciando gossip più o meno verificabili, è a tutti noto che la carriera musicale di Jennifer Lopez non è iniziata nel modo più limpido, visto che più e più volte pare abbia sottratto brani e persino parti cantate ad altre artiste, quindi avrei cercato di soprassedere sulla visione della donna che si è fatta da sola ed ha fatto strada solo grazie al suo talento. 

E ancora, lamentare ad esempio il dover dividere il palco con Shakira, con la scusa che ai piani alti che controllano il Super Bowl ci sia ancora l'arcaica idea che "servano due donne latine per fare il lavoro di una persona bianca", mi è sembrato un atteggiamento ipocrita (e anche poco carino rispetto alla collega), visto che altri artisti hanno già condiviso il palco con altri cantanti in passato, ed accadrà in futuro sicuramente. 

Ma credo che le perplessità più profonde mi siano sopraggiunte per questo tentativo forzoso da parte di Jennifer Lopez di immergere gambe e braccia nella tematica politica e attuale, in maniera quasi esagerata, considerando che fino a ieri il suo intento era quello onorabilissimo, ma sicuramente più superficiale, di creare contenuti "mainstream" di intrattenimento di vario genere. 
Lei stessa infatti ammette candidamente di non essere mai stata interessata alla politica, ma arrivata a 50 anni, e vedendo l'America cambiare in peggio sotto ai suoi occhi, non ha potuto, a suo dire, tirarsi indietro. Un atteggiamento positivo e maturo, che però arriva in modo repentino e studiato, almeno da quanto si coglie da Jennifer Lopez: Halftime.

Il lato forse più genuino che emerge da questo documentario è forse la frustrazione nel non vedersi sempre riconosciuta il risultato dei suoi sforzi, ma pur riconoscendo l'indubbio, grande lavoro che l'artista svolge quotidianamente per portare avanti il suo brand, è chiaro che si parla di un personaggio affermato che non ha bisogno di ulteriori conferme esterne. 
Lo dimostra lo sciorinamento di guadagni e numeroni che inseriscono loro stessi alla fine di Jennifer Lopez: Halftime.

Le lacrime (non ne ho vista scorrere una ad essere sincero) per il mancato arrivo di un Golden Globe o di una candidatura agli Oscar, per quanto simboli di traguardi importanti, risultano un po' retoriche se fatte in un comodo albergo di lusso con trucco, capelli, e gioielli perfetti. E le trovo anche un po' contraddittorie, se poi l'intento della cantante è quello di influenzare ed ispirare le giovani ragazze e donne latine ad inseguire i loro sogni nonostante tutto e tutti, e "rendere nel suo piccolo il mondo un posto migliore". 

Sarebbe stato inoltre più interessante affiancare alla preparazione fisica per il Super Bowl, anche quella mentale e psicologica, considerando la parentesi sull'insistenza dei media sui suoi rapporti sentimentali e sul suo aspetto fisico. Ma, in questo continuo auto complimentarsi per l'impegno, non c'è spazio per qualcosa di più profondo. 
JLo tutto sommato mi suscita simpatia, credo sia una brava attrice, e credo che Jennifer Lopez: Halftime si guardi tutto sommato volentieri, vista la durata.
Ma, a parte questo, credo che il documentario non raggiunga il suo intento di spogliare Jennifer Lopez dal suo ruolo di imprenditrice e personaggio pubblico per restituirne una immagine più umana. 




2 commenti:

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  1. Difficile far entrare tutto in 95 minuti. Forse andava strutturato come una miniserie a puntate.

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    1. L'hai visto? Credo che il tempo fosse breve, ma si potesse fare un lavoro più omogeneo

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