Tre film per chi ama la musica... ma non i musical

Potrei inserire me stesso in quella categoria di strana gente che, pur amando la musica a 360°, ascoltando generi differenti senza troppa schizzinosità, non sempre si trova a suo agio con un musical. Quelle scene improvvise di gente che balla e canta per raccontare il suo stato d'animo o far procedere la narrazione, possono essere una croce, specie se pacchiane, fatte male, troppo frequenti o, peggio, utili solo ad allungare il film.
Nel corso delle settimane passate ho visto tre film che parlano di musica e soprattutto di musicisti in periodi storici differenti e in momenti particolari della loro vita, ed ho pensato di raccoglierli tutti in un'unica recensione.


Chevalier (2022)


Genere: drammatico, biografico, storico
Durata: 107 minuti
Regia: Stephen Williams
Uscita in Italia: 16 giugno 2023 (Disney+)
Paese di produzione: Stati Uniti d'America

Quando vengono pubblicate serie tv come Bridgerton o l'ormai cancellata My Lady Jane, c'è sempre qualcuno che lamenta la presenza di attori neri o di colore in ruoli che non sono coerenti con l'epoca storica, ma non è questo il caso, perché Chevalier racconta la storia di un uomo di ascendenza africana in una posizione di spicco alla corte di Maria Antonietta. Il suo nome è Joseph Boulogne Chevalier de Saint-George, conosciuto semplicemente come Chevalier, figlio di una schiava e del proprietario di una piantagione, che divenne uno dei più bravi compositori dell'epoca, tanto da essere appellato come il "Mozart nero", per far comprendere il suo talento attraverso un suo contemporaneo, e fu anche un abile schermidore. 

La vita di Joseph Boulogne però, nonostante la posizione di influenza e le conoscenze importanti, non è stata affatto facile, sia per il colore della sua pelle, che gli renderà impossibile poter diventare il direttore dell'Opéra de Paris, sia quando il potere della regina di Francia si spegnerà, e Napoleone Bonaparte tenterà di cancellare dalla storia la figura e le opere di Joseph.

Stephen Williams firma una biografia pulita, diretta e che ho trovato interessante, su una storia che non conoscevo e che mi fa piacere sia stata riportata ad un grande pubblico. Joseph Boulogne è a tutti gli effetti uno dei primi compositori neri della storia e uno dei migliori violinisti, che diventa un simbolo non solo di rivalsa, ma anche di come, nonostante gli ovvi tentativi di cancellarlo, l'arte riesca a sopravvivere nei secoli.

Partendo appunto da un assunto biografico, Chevalier romanza la storia vera e come una parabola narrativa inizia dalla giovinezza per arrivare al successo, passando attraverso una parentesi più romantico-drammatica, quando racconta la storia fra il violinista e la marchesa Marie-Josephine (Samara Weaving), e questa è forse la parte meno di impatto, e più prevedibile di tutto il film.
Quando si esce da questa divagazione, si torna a dei temi più spessi, non solo per quanto riguarda il razzismo subito da Joseph Boulogne, ma anche per il suo bisogno di riscoprire se stesso, visto che la sfavillante corte francese lo aveva allontanato dalle sue stesse origini.

Chevarlier trova ulteriore solidità in un'ottima messa in scena e delle interpretazioni convincenti. È vero che Weaving e Lucy Boynton (che qui interpreta Maria Antonietta) hanno ruoli più secondari non molto sviluppati, ma non per questo sono meno credibili. È però Kelvin Harrison Jr (che non ricordavo di aver visto in Elvis e L'assistente della star) a prendere la scena e a saperla tenere per tutto il tempo.

Quindi un buon film, che fa riflettere senza mappazzonare, con un buon ritmo, che cerca di uscire dalla bolla della biografia sempliciotta pur dando tutti gli elementi per conoscere la storia da inizio a fine, e che mette qui e lì dei bei momenti di musica classica.
Forse non ha l'impatto emotivo che mi sarei aspettato da un film da vedere al cinema, ma sicuramente nella collocazione streaming trova il suo ambiente ideale.


Back To Black (2024)


Genere: drammatico, biografico
Durata: 122 minuti
Regia: Sam Taylor-Johnson 
Uscita in Italia: 18 aprile 2024 (Cinema)
Paese di produzione: Regno Unito, Stati Uniti d'America

Da un artista che stava per essere dimenticato, ad un'altra che invece difficilmente potrà finire nell'obblio ma che merita di essere sempre ricordata, e proprio per questo ho visto Back to Black, biopic dedicata a Amy Winehouse, scomparsa prematuramente nel 2011.
Si parte dagli inizi della sua carriera, quando ancora era una ragazza inglese sconosciuta, fino ai suoi successi più grandi che la portarono a vincere un Grammy, passando attraverso il suo rapporto con la famiglia, specie il padre con cui condivideva la passione per la musica, e la nonna sua musa ispiratrice.

Ma Back to Black non può non raccontare anche i momenti più difficili, come l'abuso di droghe e alcol, la riabilitazione e i rapporti complicati con gli uomini, soprattutto Blake Fielder-Civil, che sposò nonostante avessero una relazione burrascosa. 
Non manca poi l'approccio che la stampa e i giornali di gossip ebbero all'epoca con la cantante, visto che agli inizi degli anni '00 i tabloid non sembravano avere limiti nell'intromettersi nella vita dei personaggi famosi.

Sembra non manchi nulla nel film di Sam Taylor-Johnson, e invece manca molto.
Iconico è un termine spesso abusato in circostanze in cui non ci azzecca nulla, ma nel caso di Amy Winehouse è forse il più appropriato. Anche solo nominarla porta alla mente la sua voce e il suo stile, senza poi contare l'impatto che ha avuto nel mondo della musica e dell'arte. 
Raccontarne la vita pubblica non è quindi indubbiamente semplice, ma è forse ancora più difficile mettere sullo schermo il suo privato, le sue contraddizioni, e la sua fragilità, e qui fallisce Back To Black.

Non riuscendo a scavare a fondo, ma mettendo in modo sequenziale tutti i momenti della vita della cantante inglese, che sembrano legati fra di loro solo dall'ordine cronologico e non dalle maree che Amy ha affrontato, interne o esterne che fossero, si toglie anche l'anima a questo film, qualcosa che facesse capire non solo il talento e i traguardi, ma anche l'emotività e la complessità di Amy.


Back To Black è allo stesso tempo frammentario e didascalico, facendo dei salti temporali che sembrano troppo netti e che vadano a togliere parti alla coesione del tutto.
E, ancora, è un film troppo pulito, che non si vuole sporcare, ma che sembra cercare quasi la leggerezza della fiaba drammatica e non la durezza della realtà.
È poi troppo secondo me il focus sull'interno, sul privato, e poco sull'esterno, sul suo impatto avuto nel panorama mondiale.
L'unico modo di salvare questo Back to Black è quello di considerarlo un omaggio, un modo per ricordare una artista che in pochissimo tempo ha saputo segnare un'epoca e rendersi distinguibile, ma anche guardare la buona interpretazione di Marisa Abela. Non ho visto infatti in lei il tentativo di emulare, di creare una macchietta, ma secondo me calibra abbastanza bene le caratteristiche di Amy Winehouse, anche quelle vocali.

Non il peggior film biografico, ma qualcosa in più si poteva fare. 



Io sono: Céline Dion (2024)


Titolo originale: I Am: Celine Dion
Genere: biografico, documentario
Durata: 102 minuti
Regia: Irene Taylor Brodsky
Uscita in Italia: 25 giugno 2024 (Prime Video Amazon)
Paese di produzione: Stati Uniti d'America

Da una voce iconica ad un'altra voce iconica e inconfondibile, che si racconta in un docufilm uscito su Prime Video a Giugno di quest'anno, e che non potevo non vedere.
Con oltre 250 milioni di dischi venduti al mondo Céline Dion è una delle cantanti di maggior successo, spesso paragonata o comunque messa al livello di artiste come Barbra Streisand, Whitney Houston, Aretha Franklin e Mariah Carey, ma da diversi anni non si esibisce più dal vivo. Dopo una serie di rinvii del suo tour, Céline non ha potuto più tenere il segreto e in un video diffuso a fine 2022 racconta la verità: le è stata diagnosticata una rara sindrome neurologica chiamata Stiff Person Syndrome, la sindrome della persona rigida, che provoca spasmi muscolari molto forti e dolorosi che rendono impossibile controllare il proprio corpo.
Proprio a causa di questa malattia, le è quasi impossibile cantare (le corde vocali sono controllate da muscoli in fondo) e lei stessa racconta in I am Celine Dion come sia cambiata la sua vita.

Ve lo dico subito: tocca preparare i fazzoletti se volete guardare questo documentario. Già dopo i primi 20 minuti mi sono ritrovato a singhiozzare colpito soprattutto dal modo in cui Celine Dion racconta di non riconoscersi più, di non sentirsi più se stessa, di non sapersi capacitare di non poter fare tutto quello che prima faceva senza problemi. Come si può in fondo separare quello che fai da tutta una vita, e per cui sei praticamente programmato, con quello in cui ti può trasformare una malattia?

Un racconto senza filtri, senza troppi giri di parole, che ho trovato per una volta onesto, diretto e sincero. Lei stessa si mostra nei suoi momenti di debolezza, ma nonostante la malattia non riesce a mettere da parte il suo umorismo e la sua grinta, o anche le sue piccole ossessioni, come quella per le scarpe. 


Parliamo pur sempre di una star mondiale, che ha fatto del suo essere istrionica la sua cifra, quindi è inevitabile che sappia stare su uno schermo di fronte ad una telecamera, e soprattutto che non possa negare la grandezza del suo strumento e della sua carriera, eppure non ho visto momenti di divismo, o di autocelebrazione, ma nemmeno di commiserazione verso se stessa.

Io sono Celine Dion è poi un documentario completo ma non didascalico: parte dall'infanzia, dalla sua famiglia numerosissima, proseguendo anche al matrimonio e alla perdita del marito, ma passando con la giusta attenzione in queste fasi della sua vita, con chiarezza ma senza eccessivi approfondimenti, perché il fulcro resta la malattia, che in realtà dura da 17 anni, e come la sta affrontando.
Fra le recenti apparizione e l'esibizione alla cerimonia di chiusura delle Olimpiadi di quest'anno, sappiamo che Celine Dion ha preso alla lettera la sua idea di rispondere a questa malattia al meglio che può. Resta comunque una riflessione, forse cinica, che fa ancora più male: se una star multimilionaria, che può accedere alle migliori cure e trattamenti, viene comunque schiacciata da questa patologia, come vive la gente "comune" con la sindrome della persona rigida?




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