Giugno se ne va e con esso la sfilza di Gay Pride che da nord a sud hanno glitterato l'Italia e il mondo tutto.E se vi stesse chiedendo come mai un blog come il mio, chiaramente schierato con la bandiera arcobaleno, non abbia dato segni di presenza o interesse ad una di queste manifestazioni, la risposta è semplice.
Non mi interessa.
In Sicilia, a Palermo, si è tenuto il Pride Nazionale, ma, se non per altre motivazioni, non ci avrei messo piede.
Ma prima di essere accusato di pressappochismo andiamo per gradi.
La mia opinione si discosta un po' da quella che è la media gaia riguardo l'argomento.
In realtà non ho nulla contro il Pride, non la considero una "baracconata" come si sente dire in ogni dove dalle fasce omofobe o presunte tali.
Anche perché, moltissime volte, a boa di struzzo, costumi striminziti, e musica a tutto volume, seguono famiglie e gente comune che appoggia la causa pur non riguardandoli direttamente.
Il Pride vuole commemorare i
moti di Stonewall del 1969, momento storico da cui nacque il
Movimento di liberazione omosessuale. Un movimento diverso da quello già esistente, chiamato "Movimento degli omofili" che era più morigerato e moderato.
Insomma è come l'arrivo di Lady Gaga dopo anni di Beyoncè.
Note storiche citate male a parte, resta l'idea che il Pride volesse rompere i canoni, i tabù che aleggiavano nelle società di qualche decennio fa.
Società chiuse e ancora incapaci di gestire la gay thing.
Allora si pensò di creare un punto di rottura.
Mostriamoci come siamo, andiamo in giro per le strade e facciamo vedere al mondo quanto siamo belli, colorati, magari esagerati, ma insomma, spezziamo le catene del perbenismo.
Idea brillante, se si considera che siamo all'incirca intorno agli anni '70.
Il problema delle società, tuttavia, è che si evolvono.
A volte in peggio, a volte in meglio, altre a metà.
Così ti capita che quella drag queen che prima vedevi esclusivamente ad una serata a tema e quindi poi alla parata dell'orgoglio LGBT, adesso te la ritrovi alle 5 del pomeriggio su un emittente nazionale, e che quella storia di un amore omosessuale, un tempo taciuta, adesso finisce sulle pagine dei giornali.
Questo vuol dire che siamo arrivati ad un punto di parità fra tutti, indifferentemente dalla loro sessualità?
Quale diventa quindi il senso attuale di un Pride?
Sinceramente non lo so.
Se si guarda all'attivismo, in tutte le sue svariate forme, probabilmente quella della parata in tal modo è forse l'ultima e la meno efficace.
In poche parole i tabù li abbiamo già rotti, frantumati, fracassati e sbriciolati per bene nel corso di anni di Pride, ma ci serve altro.
Il principale problema della nostra civiltà è certamente una profondissima mancanza di cultura.
Mi spiego meglio, anzi vi faccio entrare nella mia cucina all'ora di cena.
Il tg manda il servizio sulla
sentenza della Corte Suprema statunitense con cui, in sintesi, sono stati dichiarati stessi diritti fra nozze omo e eterosessuali.
Mio padre e mia madre, gente semplice, di cultura media, di paese ma non retrogradi, non sono d'accordo, parlando di matrimonio cattolico e concordando per una semplice convivenza.
Intervengo io spiegando loro che nessuno vuole sposarsi in chiesa ma si parla di semplici diritti quali assistenza in caso di malattia, adozione e successione post mortem.
Non so se li ho convinti, tuttavia mi è sembrato stessero riflettendo sulle nuove informazioni che gli avevo fornito.
Questo è un esempio di come ancora non sia capillare la diffusione di certe informazioni.
Ma mi chiedo, fossero scorse le immagini di un Pride qualsiasi, come avrei potuto spiegare loro i ragazzotti in slip, se non con la sola "libertà di espressione"?
E soprattutto, in che modo li avrei fatti riflettere positivamente?
Pier ma tu ci stai sottilmente dicendo che si dovrebbe abolire il Pride e marciare tutti impettiti in giacca e cravatta?
No.
Il Gay Pride così composto, però, non risulta più come un momento di rottura degli schemi, ma come una condizione per esibire se stessi con modi più o meno egocentrici, in una società che in fondo non è così aperta.
Tutto lecito, per carità ma possiamo anche salutare gli eventuali vantaggi della parata.
È noto che fra le fila dei marciatori orgogliosi, una buona, larga parte partecipa alla manifestazione per puro spirito ludico, perché si sta insieme, perché si gioca, si vedono bei ragazzi e così via, ma con la giustificazione sempre in tasca che si sta facendo dell'attivismo in favore dei diritti LGBT.
La mia risposta è di nuovo no.
Il Pride a mio avviso risulta, sotto questo punto di vista, un fallimento. Non solo per la sua natura, ma anche per il modo in cui viene recepito dai mass media, per i modi in cui viene manipolato.
È come voler insegnare la grammatica ad un bambino con i testi delle canzoni di Britney Spears.
Nella sua testa si formerà l'idea che articoli determinativi siano Oh La La.
Gli attivisti veri sono altri.
Quelli che si occupano di andare nelle scuole per parlare ai ragazzi, specie di piccole comunità, per sensibilizzarli.
Quelli che creano e partecipano ad associazioni per confrontarsi, raccontare se serve la propria storia, per aprirsi verso gli altri.
Quelli che vogliono aggregazione fra TUTTI i componenti della società, non solo quelli belli alti e giovani. E non solo dei gay.
Quelli che fanno parte dei centri di ascolto.
Quelli che, genitori di omosessuali, decidono di aiutare altri genitori.
Quelli che marciano contro l'ultimo gesto di omofobia, tenendo a mente i precedenti accaduti.
Quelli che si impegnano nelle piazze, nelle strade, sotto i palazzi, creando eventi, distribuendo materiale, manifestando e protestando se serve.
Lo vorrei tanto, ma credo che cantare per strada un All I wanna do is love your body di aguileriana memoria, non mi servirà ad avere i diritti che mi spettano.